Un'inchiesta del sindacato evidenzia come spesso le norme di sicurezza anti Covid sui cantieri ticinesi non sono rispettate o lo sono parzialmente. "Chiediamo a SUVA e SECO più controlli"
BELLINZONA - Lo scorso 9 novembre, i delegati presidenti nazionali del settore edilizia del sindacato Unia hanno denunciato la situazione catastrofica sui cantieri svizzeri per quanto riguarda la protezione individuale anti-covid 19. Distanze non rispettate, poche mascherine, mancanza di messa in quarantena malgrado i colleghi trovati positivi, controlli rari... questo è il triste scenario emerso a livello nazionale.
Il sindacato Unia Regione Ticino e Moesa ha voluto approfondire e valutare la situazione a
livello cantonale, procedendo a un’analisi più precisa e statisticamente valida. In questo senso, tra l’11 novembre e il 17 novembre, è stata analizzata la situazione su 132 cantieri
ticinesi, circa il 13-15% del totale.
Le domande poste nei cantieri riguardano le cinque principali misure di prevenzione della salute degli edili: presenza e fornitura di disinfettante, presenza e fornitura di mascherine, applicazione o meno di un sistema di tracciamento, aumento o meno del numero di baracche (rispetto distanziamento sociale), aumento o meno dell’igienizzazione di baracche e bagni. Molte di queste misure non sono considerate come obbligatorie oppure la loro interpretazione è resa troppo complessa da risultare di difficile applicazione. Per il sindacato Unia, le misure citate e usate per il sondaggio costituiscono la base minima per il rispetto della salute individuale e collettiva.
Disinfettante
Agli edili sono state poste tre domande relative al disinfettante: a) è fornito dalla ditta?, b) è presente in baracca?, c) sono presenti delle postazioni con disinfettante in cantiere? Rispetto a quest’ultima domanda, il criterio ritenuto è minimalista: viene considerata una postazione anche un solo punto posto in cantiere (esclusa la baracca) nel quale è messo a disposizione del disinfettante a tutti gli operai e persone attive. Non è stato valutato il criterio più restrittivo di avere diverse postazioni sparse sul cantiere o per piano.
Il 75% dei cantieri intervistati, pari a 99 unità, ha indicato che la ditta fornisce del disinfettante. Il
68,94% dei cantieri riforniti afferma che il disinfettante è presente solo nelle baracche. Indicazione confermata dal fatto nel 74,24% dei cantieri sondati non esistono apposite postazioni con disinfettante collocato in cantiere, a disposizione di tutti i lavoratori attivi (muratori, artigiani, direzione lavori, fornitori, ecc.).
Mascherine protettive
La prima domanda riguarda la fornitura o meno da parte delle ditte di questo strumento di protezione fondamentale. Ebbene in 112 cantieri edili sui 132 analizzati, pari all’84,85% del totale, le ditte edili riforniscono i propri operai di mascherine protet tive, contro un 15,15% che si rifiuta di assicurare questa prestazione primaria.
Interessante è valutare con quale frequenza le ditte riforniscono i propri operai. Il 9,82% ogni giorno, l’81,25% su richiesta degli operai, l’1,79% una volta la settimana e il 7,14% molto raramente (meno di una volta la settimana...). Se su questo fronte la situazione sembra
piuttosto positiva, preoccupa il fatto che il 15,15% (20 unità) non si senta minimamente in obbligo di fornire alle proprie maestranze questo semplice ma basilare strumento di protezione individuale.
Tracciamento in cantiere
Quale sistema di tracciamento è stato considerato il più semplice, ossia la tenuta di un registro
all’entrata del cantiere nel quale ogni lavoratore è obbligato a scrivere l’ora di arrivo e quella di
partenza, lasciando i principali dati personali (nome e cognome, ditta, numero di telefono). Se nei piccoli cantieri l’afflusso di persone è tutto sommato limitato e queste sono spesso tutte conosciute, nella maggior parte dei cantieri il flusso di personale coinvolge anche decine e decine di lavoratori, una parte della quale lavora fuori dallo schema di “squadra fissa”: lavoratori in subappalto, artigiani, tecnici. Quando la rotazione di personale è elevata è più che giustificato pretendere la tenuta di un registro di tracciamento.
L’inchiesta ha posto due domande principali. In primo luogo, se nel cantiere dopo il lock-down di marzo e aprile è stato introdotto almeno un sistema di tracciamento. In caso di risposta affermativa, è stato chiesto per quanti mesi tale sistema è stato operativo in maniera seria. La situazione da questo punto di vista è pessima.
Solo nel 22,73% dei cantieri visitati, ossia in 30 su 132, è stato introdotto un sistema di tracciamento. E solo in 6 cantieri (20%) è stato tenuto in vigore, seriamente, per almeno 4
mesi. Peggiori ancora sono stati i risultati relativi alla seconda domanda: da novembre, con la seconda ondata, è stato introdotto un sistema di tracciamento in cantiere? Ebbene solo nel 13,64% dei cantieri sondati (18 su 132) è stato introdotto o è in funzione.
Appare dunque indiscutibile come i cantieri ticinesi possano essere dei luoghi di lavoro totalmente privi di controllo a posteriori in grado di bloccare la diffusione del virus. Di conseguenza, è oggi quasi impossibile affermare che nei cantieri ticinesi non ci siano focolai del virus poiché non esiste alcuna possibilità di tracciare la propagazione dello stesso a partire da questi posti di lavoro. Se a ciò si aggiunge il fatto, più volte denunciato, che molti imprenditori nascondono quarantena e contagi dei propri dipendenti, lo scenario risulta allarmante.
Distanziamento nelle baracche e pulizia/igienizzazione dei locali comuni
La questione è assai rilevante nell’ambito della protezione dal contagio. La prima domanda posta riguarda se le baracche in cantiere sono abbastanza grandi da permettere la distanza di 1,5 metri fra ogni operaio seduto (oppure se ogni secondo posto a sede è mantenuto libero o se un tavolo è da quattro persone). Nel 57,58% dei casi, la risposta è stata positiva, ossia in 75 cantieri su 132. La seconda domanda rinvia a una possibile soluzione per le baracche che non permettono il distanziamento sociale necessario, a sapere se per mangiare sono stati organizzati dei turni. In questo frangente, prevalgono assai nettamente le risposte negative: l’85,71% del totale. Ciò significa che la responsabilità nel trovare una soluzione è scaricata agli operai, i quali devono ricavare dei locali mensa alternativi. Nella bella stagione, il problema non si è posto. È invece cambiato con l’avvento della stagione fredda.
Infine, è stato chiesto se le baracche e i bagni sono puliti con una frequenza maggiore da quando è scoppiata la pandemia. Ben l’80,30% dei cantieri (106 su 132) non ha assolutamente conosciuto un cambiamento da questo punto di vista, nel senso che sono rarissimi gli
interventi professionali di igienizzazione supplementari nei cantieri a causa della pandemia. Anche qui, nei rari casi, sono gli operai che cercano di ovviare a questo problema, naturalmente sprovvisti degli strumenti tecnici specifica. L’igiene dei locali comuni (baracche e bagni) non ha conosciuto praticamente nessun cambiamento tra la fase normale e quella post lock-down.
L’assenza di controlli
In tutti i cantieri visitati è stata confermata, da parte degli operai, la totale assenza di interventi specifici e supplementari relativi all’applicazione conforme dei “controlli Covid-19 sui cantieri” definiti dalla Seco e della Suva. Dalla fine del lock-down a oggi sono pochissime le segnalazioni di controlli avvenuti. Appare incontestabile che nei fatti sia stata lasciata carta bianca ai datori di lavoro nel decidere l’introduzione o meno delle misure di protezioni, legali e dettate dal rispetto dei propri lavoratori.
Il commento di Unia
L’inchiesta mette in evidenza come sui cantieri la lotta alla pandemia sia un fattore chiaramente
secondario davanti agli imperativi di continuare a macinare cifra d’affari e profitti.
Evidentemente i martellanti appelli alla responsabilità individuale si arrestano sulle soglie delle imprese edili. Inutile ricordare che gli sforzi individuali trovano il loro limite all’interno di un quadro collettivo caratterizzato dagli interessi padronali che vanificano troppo spesso qualsiasi lodevole sforzo individuale.
Considerato che le misure preventive per difendere la salute dei lavoratori edili, e di riflesso dell’intera popolazione ticinese, non sono applicate in maniera generalizzata e che questa scelta imprenditoriale rischia di contribuire ad aggravare gli effetti della pandemia, in un contesto generale che denota un certo rilassamento sul tema (stabilità o diminuzione dei contagi, allentamento delle misure) il sindacato Unia Regione Ticino e Moesa non può che chiedere con forza a SUVA e Cantone l’aumento di controlli -approfonditi e articolati- sui cantieri edili e artigianali ed il rispetto vincolante delle misure di protezione da parte delle imprese, perché l’economia non può essere sostenuta a qualunque costo!
Il mantenimento della situazione attuale, in un contesto professionale dove -lo scorso mese di marzo- imprenditori e forze sindacali convergevano riconoscendo come nel settore era “oggettivamente impossibile garantire ai lavoratori la tutela della salute, sia durante i processi lavorativi, sia in altri momenti legati all’attività professionale (trasporto da e per il cantiere, spogliatoi comuni, luoghi di ristoro” non potrebbe che portare ad una logica situazione di nuovo lockdown di settore.
A chi grida allo scandalo o all’impossibilità di un nuovo fermo cantieri, il sindacato Unia ricorda che anche in una logica di presa a carico degli interessi economici del settore, appare evidente che più si attende e più saranno grandi i danni provocati dall’inevitabile assunzione di misure ancora più invasive.
Da fine aprile, l’edilizia ticinese ha ripreso la propria produzione a pieno regime, senza registrare vuoti o cali. L’attività in questo settore risente solo marginalmente dagli effetti della pandemia. La Seco prevede per il 2021 la ripresa, seppure lieve, della crescita degli investimenti nel settore edile. La questione è però quella di sapere se la salute pubblica è un bene fondamentale che deve prevalere sugli interessi economici: quesito che dovrebbe far riflettere la sezione ticinese della Società Svizzera degli Impresari Costruttori che dopo la fine del lock-down si è preoccupata di chiedere una serie di deroghe al Contratto collettivo cantonale (CCL) dell’edilizia, di pretendere aiuti dallo Stato e di minacciare, davanti al rifiuto dei sindacati di usare la pandemia per attaccare i disposti contrattuali, di non rinnovare il CCL cantonale perché non abbastanza foriero di flessibilità.