CORONAVIRUS
Sacha Dalcol, il Coronavirus e un mese #sempreindiretta in radio e in tv
Intervista a tutto campo al vicedirettore di Teleticino che, da quando è scoppiata l'emergenza, è diventato uno dei volti più apprezzati dal pubblico ticinese: "Ecco come ci ha cambiati il virus"

di Andrea Leoni

Da un mese, insieme a tutta la redazione di TeleTicino e Radio3i, è #sempreindiretta . Se c’è una conferenza stampa a Bellinzona o a Berna, o un evento più clamoroso degli altri all’interno del vortice di questa crisi epocale, la lucina rossa del live si accende immediatamente. E si va in onda sia in radio che in tv. Il lungo Tg speciale delle 18.00 è ormai diventato un appuntamento fisso per moltissimi ticinesi. Una lunga maratona giornalistica cominciata 30 giorni fa, ma dal traguardo ancora sconosciuto. Sacha Dalcol com’è cambiata l’informazione a Melide nelle ultime settimane?
“Come tutte le aziende abbiamo dovuto fare di necessità virtù, adeguandoci ai cambiamenti imposti dal virus e sfruttando tutti gli strumenti a disposizione. Dal punto di vista professionale sono soddisfatto di come siamo riusciti a reinventarci, facendo capo a tutte le forze disponibili a Melide in tv, in radio e al web. Guardando il bicchiere mezzo pieno, parlo sempre dell’aspetto lavorativo, il Covid19 ci ha imposto nuove forme di lavoro e di collaborazione. Sono state abbattute molte barriere. Pensa solo alle interviste via telefono o Skype. Solo poche settimane fa sarebbe stata considerata anti-televisiva un’informazione confezionata con questi mezzi. Al tempo del Coronavirus, invece, quel che conta è il contenuto, la forma va in secondo piano”.

Quali sono stati a tuo avviso i tre momenti salienti di questo mese di emergenza straordinaria in Ticino?
“In primis direi l’inizio, la prima settimana dopo Codogno. Poi la fase centrale, quella legata al dibattito sulla chiusura delle scuole, dove c’è stata una reazione incredibile da parte del pubblico, che aveva preso particolarmente a cuore la questione. Quella è stata una settimana molto dura da gestire anche dal profilo giornalistico, perché gli ascoltatori chiedevano spiegazioni lecite alle autorità e non si capiva perché il Governo non prendesse una decisione netta. Dico difficile perché in quel contesto, da giornalista, ho dovuto un po’ assumere il ruolo di mediatore, cercando di fare una sintesi tra quello che dicevano le autorità e ciò che chiedeva la gente. Il terzo momento, infine, è stato quello della consapevolezza, quando tutti ci siamo resi conto che non era allarmismo, non erano bufale, non era un’influenza”.

Voi siete stati tra i primi media in Ticino, a lanciare a chiare lettere il messaggio “State a casa”, anticipando il Governo. Cosa ti ha convinto a fare quella che allora era una forzatura rispetto alla linea ufficiale?
“Sì, ricordo bene la giornata in cui abbiamo cominciato a lanciare questo messaggio. Il pomeriggio avevo ricevuto una telefonata dalla Lombardia di una persona che conosco bene e che mi aveva fornito una testimonianza diretta della situazione che stavano vivendo. Mi sono reso conto che avendo una platea importante, fosse necessario trasmettere questo invito al pubblico, anche perché non aveva controindicazioni negative. La sera stessa Franco Denti era ospite in studio e rilanciò con forza questo “State a casa”. A quel punto era chiaro che quella era la strada giusta da seguire”.

Qual è stata la giornata giornalisticamente più delicata, più difficile, da raccontare?
“Quella in cui il Governo aveva annunciato la chiusura solo delle scuole post obbligatorie e alcuni comuni, tra i quali Lugano e Locarno, si erano ribellati sospendendo l’obbligo di frequenza degli istituti comunali”.

Quella sera ricordo un confronto scoppiettante con il ministro Manuele Bertoli. Quel video è girato tantissimo sui social.
“Avevo intuito la tensione che albergava nel Governo e le pressioni che erano arrivate da Berna. In quel contesto mi è sembrato doveroso sottolineare quelle che a mio avviso erano le contraddizioni tra la linea che era stata decisa in Ticino e ciò che accadeva all’estero”.


Com’è cambiato il rapporto con il pubblico in questo mese?
“Da un lato c’è l’aspetto radiofonico, andando in onda anche su Radio3i, che mi ha fatto riscoprire un contatto con il pubblico - attraverso l’interazione con Whatsapp - che non avevo da tempo. È stato un po’ un ritorno alle origini. A livello personale mi fa impressione il numero di messaggi che ricevo quotidianamente, in cui mi si chiede conto delle varie notizie che circolano in rete. Sono vere o false? C’è un forte bisogno di avere chiarezza nella popolazione e questo porta ad instaurare un rapporto di fiducia più intenso. È una grande responsabilità”.

Ma andando in onda tutte le sere, e con la gente chiusa in casa, siete diventati anche un elemento di compagnia per molte persone.
“Sì, ed è anche per questo che cerchiamo di aprire il programma ad aspetti più ironici o temi come l’alimentazione, la psiche, eccetera. E più in generale cerchiamo di realizzare il programma con un tono famigliare”.

E la risposta del pubblico si evidenza anche dai dati d’ascolto.
“Assolutamente sì. Nella fascia tra le 18.00 e le 19.30, quella del Tg speciale, registriamo quotidianamente il 15-20% di share. Sono numeri che prima del Coronavirus erano inimmaginabili per un’emittente come la nostra”

A livello redazionale e aziendale come gestite la crisi e la stanchezza?
“Soprattutto all’inizio ci sono stati dei momenti difficili, anche perché sin da subito abbiamo adottato misure molto drastiche, dividendo l’azienda in gruppi e organizzando gli spazi in modo da poter rispettare tutte le regole igieniche e di distanza sociale. Nei primi giorni io e Matteo potevamo forse apparire un po’ eccessivi nei provvedimenti, allora abbiamo capito che era necessario spiegare bene e tranquillizzare molto. Oggi tutto funziona come deve funzionare”

E tu, dopo un mese, quasi quotidianamente in diretta, sei stanco?
“Ho iniziato a fare il giornalista nel 2001 raccontando l’11 settembre. Il fatto di narrare gli avvenimenti, in un certo senso è quasi terapeutico e mi rendo conto che quando sto a casa lo trovo più pesante che non facendo il mio lavoro. Certo, oggi è una situazione completamente nuova, diversa. Quando sono cadute le torri a New York in Ticino potevamo comunque mantenere la nostra normalità e osservare giornalisticamente i fatti con una certa distanza. Il Coronavirus ci tocca tutti direttamente”.

Che primo bilancio si può fare, dopo un mese, del lavoro svolto dal Governo cantonale e federale?
“È ancora presto. Devo dire che a livello di Confederazione, ecco, lì il bilancio è un po’ in chiaroscuro. Ho percepito un tono paternalistico verso il nostro Cantone, che ad esempio non è stato utilizzato verso altre regioni di frontiera, ad esempio Ginevra. A Berna ci si basa molto sulle leggi - e per carità in generale è giusto che sia così - ma qui siamo fuori da qualsiasi regola e per governare l’eccezionalità della situazione occorre la forza della politica, con un Governo carismatico capace di prendere anche delle decisioni dure e coraggiose. Invece mi pare di vedere un Governo un po’ sbiadito".

Come mai?
“Per saperlo davvero bisognerebbe essere nella stanza dei bottoni e capire perché è stata adottata una determinata strategia. Ma se ci hanno indicato come dei pionieri, non capisco certe pressioni sul Governo ticinese”.

Anche il rapporto tra i cittadini ticinesi e il Consiglio di Stato è stato turbolento nell’ultimo mese. La mia impressione è che con la decisione di sabato scorso di chiudere tutte le attività economiche non essenziali, sia stata sancita la pace tra cittadini e istituzioni, con una riunificazione del Paese. Cosa ne pensi?
“Condivido, è vero. Direi che il clima ha cominciato a rasserenarsi quando sono state chiuse tutte le scuole, poi con l’ulteriore giro di vite dell’ultimo weekend si è ritrovata una piena unità”.

Qual è l’umore del pubblico in questi ultimi giorni?
“La grande maggioranza di coloro che ci scrivono manifesta incomprensione rispetto alla linea di Berna. Molti teleradioascolatori si sentono lasciati soli, proprio in un momento in cui invece si aspetterebbero totale vicinanza dalla Confederazione”.


TeleTicino, come tutte la aziende, ha dovuto accantonare i progetti. Per voi si trattava di cantieri particolarmente importanti: il nuovo sistema operativo, i nuovi studi, il nuovo palinsesto. Tutto è finito in un cassetto?
“Anche noi abbiamo dovuto riadattarci completamente alla situazione. Tutto è sospeso ad ora. Io tendo sempre a  vedere il bicchiere mezzo pieno e quindi credo che questa crisi ci stia dando delle risposte e delle idee che magari non ci erano venute in mente prima. I cambiamenti di cui parlavi li faremo, questo è sicuro, solo non sappiamo ancora come e quando. Ma questa emergenza ha creato uno spirito di squadra molto, molto, forte, che ci aiuterà a ripensare meglio la televisione. È un’emergenza che ci sta facendo crescere”.

I media saranno tra le aziende maggiormente toccate da questa crisi, poiché è già in un atto un drastico taglio della pubblicità. Come vedi il futuro da questo punto di vista?
“Questo virus ha la capacità di mettere in luce tutti i problemi che erano sottotraccia. I limiti del mercato mediatico erano presenti e ora sono stati evidenziati e acuiti da questa crisi. D’altro canto però la mia percezione è che proprio in questa situazione ci si è accorti della necessità del lavoro giornalistico. Di saper leggere i fatti con spirito critico, dando voce ovviamente a quanto dicono le autorità, ma anche analizzando ciò che ci viene detto dal Governo, mettendo a confronto visioni differenti, e cercando infine di districarsi dalla montagna d’informazioni che riceviamo. Forse questo porterà la gente a una piccola consapevolezza in più rispetto al nostro ruolo. Tutti i media in queste settimane hanno registrato una crescita di contatti molto importante.  Anche quei mezzi che erano in caduta libera, come la televisione, hanno ritrovato uno slancio impensabile. Noi siamo passati da 45’000 a 80-90’000 contatti. Questo a mio avviso significa che nel momento del bisogno, la gente cerca comunque le informazioni attraverso le testate giornalistiche, sia quelle che usano piattaforme tradizionali,  sia sul web”

Infine, ti chiedo un bilancio personale di questo mese.
“Mai avrei pensato nella mia vita di dover raccontare quello che sta accadendo. È una situazione completamente inedita, nuova, in continua evoluzione. A volte è sfibrante, a volte i fatti negativi fanno rabbia, ma ci sono anche tanti aspetti positivi, e cito ad esempio la straordinaria rete di solidarietà che si è innescata in tutto il Cantone. Poi c’è la riscoperta del valore di gesti che davamo per scontati e che oggi ci sono negati dal virus. Il piacere di una stretta di mano, di un abbraccio….”.

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