Il Consigliere Comunale PLR: "Chiediamo che le riaperture vengano eseguite non sulla base delle pressioni delle varie categorie economiche, ma secondo lucidi criteri sanitari"
di Rupen Nacaroglu*
La fisica insegna che quando il volume diminuisce, la pressione aumenta. Deduco che sarà quindi a causa del troppo tempo passato tra le mura di casa che il tema della riapertura delle attività economiche sta facendo agitare gli animi di molti. O sarà forse perché ci stiamo rendendo conto che, se da un lato l'obiettivo della riapertura è chiaro, ma la strada che ci stanno proponendo è quanto mai incerta?
Bisogna ammettere che chiudere, se non piacevole, è stato perlomeno facile. "Restate a casa!”, e così tutti a improvvisarci panettieri, o a consumare qualsiasi serie tv su Netflix, o a continuare a brindare da casa a suon di aperitivi virtuali su Zoom. L'appuntamento fisso però, per tutti, sono state le conferenze stampa delle autorità cantonali, assurte ad evento quasi sacro.
Ma ben presto è diventato evidente che qualcosa di più andava fatto. Era necessario impostare un piano ragionato per uscire dal letargo forzato. Bisognava dare il via alla celeberrima "Fase 2", su cui oggi, necessariamente, va alzato a poco a poco il sipario, almeno per sbirciare il mondo che da un mese a questa parte abbiamo lasciato là fuori.
In Ticino, purtroppo, nonostante i buoni propositi siamo lontani, ahimè, dall'avere quel piano. Le voci del coro sono troppe e le proposte, fino ad ora poco chiare, alimentano il proliferare di dubbi e contraddizioni.
Stiamo lentamente allentando la morsa delle misure restrittive non sulla base d'idee e di strumenti di protezione, ma su un rosario di compromessi che creano solo preoccupazioni rispetto a una ripresa del contagio. Il pensiero corre a quanto altri Paesi hanno già messo in atto: l'uso delle mascherine sul lavoro e nei luoghi chiusi come i negozi, test a tappeto con lo scopo d'individuare quanti più positivi possibili, in modo da isolarli insieme ai loro contatti più prossimi, un coordinamento sulle aperture con la Lombardia che tenga in giusta considerazione il fatto che decine di migliaia di frontalieri lavorano nel nostro Cantone.
È vero, siamo stati colti di sorpresa e mai prima d’ora avremmo creduto di doverci porre queste domande. Ma oggi, dopo queste settimane, abbiamo imparato la lezione e a queste domande esigiamo una risposta.
Ai governanti, che ringraziamo per la determinazione con la quale hanno gestito la fase acuta della crisi, chiediamo ora che ci venga indicata una rotta con delle prospettive concrete, a breve, a medio e per quanto possibile, anche a lungo termine. Prospettive che possano, da una parte spazzare i dubbi e le incertezze, e dall’altra convincerci che il ritorno alla normalità è possibile. Chiediamo soprattutto che le riaperture vengano eseguite non sulla base delle pressioni delle varie categorie economiche o di possibili strumentazioni politiche, ma secondo lucidi e oggettivi criteri di sicurezza sanitaria. E questo deve valere sia per i lavoratori che per il resto della popolazione.
Chiediamo che la delicata fase della ripresa delle attività sia sostenuta attivamente, se non con la pretesa che tutto torni come prima, almeno con la caparbietà di chi non accetta di cedere allo sconforto. E scanso agli equivoci, se ci sentiremo sorretti da una visione chiara e univoca del futuro, saremo i primi a fare tutto il possibile per risollevare le sorti di questo Cantone e a metterci del nostro per restituire quanto prima al termine Corona la dignità che merita
*Consigliere Comunale Lugano - PLR