CORONAVIRUS
Quel che Governo e Gran Consiglio non si sono detti
La gestione ticinese della pandemia da Covid19, i nodi irrisolti e l'analisi mancata tra Esecutivo e Legislativo

di Andrea Leoni

Torno volentieri sul commento di ieri - quello sulla seduta di Gran Consiglio dedicata alla gestione della pandemia in Ticino -  che ha suscitato reazioni contrapposte (leggi qui).

I meriti del Governo

A riprova della serenità d’animo con la quale approccio il tema, senza alcun bollore inquisitorio, comincerò con l’evidenziare tre indiscutibili meriti del Governo, del medico cantonale e dello Stato maggiore di condotta nella gestione della crisi: 1. Essere riusciti a organizzare in tempi record una risposta ospedaliera eccezionale che ha retto l’onda d’urto dello tsunami; 2. La “battaglia” con il Consiglio Federale per ottenere le finestre di crisi, e quindi il lockdown totale, che sono risultati determinanti per frenare l’escalation dei contagi ; 3. La lucidità nella fase delle riaperture - pur non condividendo le scelte fatte a Berna sull’11 maggio, come pubblicamente espresso da più Consiglieri di Stato - che si è rivelata azzeccata. Chi scrive è tra quelli che invocavano maggior prudenza.

Questa, in estrema sintesi, è la parte positiva dell’analisi di quanto accaduto in Ticino. E non è poco. Dall’11 di marzo, giorno delle prime chiusure, a oggi, l’emergenza è stata bene governata in Ticino. E ci auguriamo che così continui anche nella terza fase, quella della “nuova normalità”, del monitoraggio e del contact tracing, di una futura strategia ospedaliera che permetta di assorbire una seconda ondata di ammalati, senza dover nuovamente paralizzare il sistema sanitario.

Numeri drammatici

Poi però c’è anche il lato oscuro, la parte negativa. Gli errori dai quali imparare per non commetterli di nuovo. Occorre partire  da una considerazione dolorosa che dobbiamo avere il coraggio di dirci in faccia, senza giri di parole: i numeri mettono il nostro territorio nel girone dei peggiori. Oggi contiamo 3’308 contagiati e 348 morti, su 350’000 abitanti. Anche se ad alcuni piace crederlo, nessuno ci prenderebbe a modello e in pochi, nel Mondo intero, farebbero a cambio con la nostra situazione. Ignorare, o sottacere, questo dato preclude qualsivoglia analisi seria dell’accaduto. Quando si fa il bilancio, anche parziale, di una guerra, si comincia sempre da qui: dalla conta di morti e feriti. Dal “costo” umano nella battaglia. Il rispetto per le vittime e per i loro famigliari lo si dimostra non solo nelle parole di cordoglio, ma nella ricerca della verità. 

Tutta colpa nostra? No

Le cifre di questo bollettino drammatico sono tutte da imputare ad errori commessi in Ticino? No, affermarlo è falso. Vi sono delle circostante sfortunate che hanno avuto un peso rilevante sulle dimensioni della crisi. La prossimità e la promiscuità con il primo e più grande focolaio occidentale di Covid19, la Lombardia. La sottovalutazione del pericolo da parte del Consiglio Federale e le gravi negligenze dell’Ufficio federale della sanità pubblica. La rapidità con la quale questo virus sconosciuto si è diffuso sul nostro territorio e ha attaccato la nostra popolazione.

È solo colpa degli altri? No 

È stata solo colpa di Berna e della sfortuna? No, affermarlo è altrettanto falso. Ed è proprio su questo aspetto, sull’autocritica in grado di evidenziare gli errori che sono stati commessi in Ticino, che Governo e Gran Consiglio sono completamente mancati, preferendo concedersi un’estenuante ed auto celebrativa cerimonia televisiva.  Se è umanamente comprensibile la reticenza dell’Esecutivo ad analizzare criticamente il proprio operato, il Parlamento dovrebbe essere lì apposta a sorvegliare. Invece poco o nulla, a parte il gusto malsano per un autoerotismo retorico senza argini o pudori.

Eppure gli spunti erano lì, pubblici. Bastava rileggersi le cronache degli ultimi mesi per verificare i nodi cruciali, chiedere spiegazioni, tentare dai colmare i vuoti. Ecco alcuni esempi.

Politica della proporzionalità

Il Consiglio di Stato, nella prima fase della crisi, si è sempre appellato alla politica della proporzionalità nell’introduzione delle misure di contenimento. Ovvero restrizioni via via più stringenti, prese con il contagocce. Tale strategia è stata difesa anche lunedì davanti al Parlamento. Guardando quanto accaduto nel Mondo, però, questo approccio sembra mostrare grandi limiti. Ad aver vinto questo primo round sono infatti stati piuttosto i Paesi che hanno saputo prendere misure preventive e non reattive, anticipando il virus e non inseguendolo. Chi per esperienza con precedenti epidemie, le nazioni del sud est asiatico, chi per fiuto politico: Austria, Norvegia, Danimarca, Nuova Zelanda. Ad esempio si potrebbe citare anche la stessa Svizzera: il focolaio ticinese ha indotto il Consiglio Federale ad introdurre un lockdown su scala nazionale, quando i casi in Svizzera tedesca erano molti meno in rapporto alla popolazione, e ciò ha permesso di proteggere il cuore del Paese da una diffusione dell’infezione. Si poteva anche agire su base regionale: sigillando il Ticino e gli altri Cantoni più esposti e lasciando liberi le regioni meno toccate. Probabilmente in futuro sarà così.

A fronte di tutto ciò, il Consiglio di Stato ritiene ancora che la politica della proporzionalità sia quella corretta?   

Il crocevia del Rabadan

L’intervento preventivo sulla scala temporale, appare un fattore determinante per il contenimento del virus. Una scala temporale che però restringe drasticamente i margini d’azione: all’interno di un’epidemia le ore sono giorni, i giorni sono settimane e le settimane sono mesi.

Il 23 di febbraio la Lombardia decide di vietare tutte le manifestazioni pubbliche, chiude le scuole di ogni ordine e grado, le chiese e i cinema, e vengono introdotte le prime restrizioni per bar e ristoranti. Attenzione: in tutta la Lombardia e non solo nelle zone rosse, dove vige già un lockdown alla cinese. In Ticino quel giorno ci sono zero casi, come a Varese o a Como. Ma da noi si continua come se nulla fosse.

Il giorno dopo, il 24 gennaio, il Governo decide di non introdurre nessuna restrizione. Sono le ore delle battute su Miss Mondo e le cene a Milano. Il Rabadan si conclude come se nulla fosse, perché fermarlo “sarebbe una misura sproporzionata”. Stesso discorso per la risottata in piazza a Lugano. Il 25 c’è il primo caso confermato in Ticino e in Svizzera, ma nulla cambia. Il 26 il Governo vieta i carnevali ancora in agenda e fa disputare a porte chiuse il derby Ambrì-Lugano. Nient’altro.

Come sappiamo il mancato stop al carnevale bellinzonese, è uno dei crocevia più controversi e chiacchierati della vicenda. Alcuni specialisti ticinesi ritengono che la manifestazione sia stata l’epicentro della pandemia in Ticino, citando a sostegno della tesi anche la conseguente diffusione sul territorio del virus. Perché e per quali ragioni non sia stato interrotto, non è mai stato chiarito. La decisione finale fu certamente del Governo, ma da quel che risulta le posizioni non erano unanimi. Gli specialisti, medico cantonale in primis, cosa consigliarono ai ministri e per quale motivo? 

Quindici giorni

Ricordiamoci le date. Il 25 febbraio il primo caso in Ticino, mentre le prime chiusure di una certa importanza avvengono soltanto l’11 marzo (scuole superiori, cinema, teatri, impianti di risalita, palestre), con già 128 casi positivi. Quindici giorni.  Quindici giorni in cui da noi la narrazione generale dice che gli italiani esagerano e che il Covid è solo un’influenza. La chiusura delle frontiere viene etichettata come una bestemmia. E fa sorridere oggi ripensarci osservando la prudenza con cui i vari Paesi ipotizzano la riapertura dei confini. In quei quindici giorni di confusione e incertezza, succede un po’ di tutto. Tensioni con Berna, ma anche a livello cantonale, con una parte degli specialisti al servizio del Governo che invoca le chiusure - addirittura arrivando a scrivere una lettera fatta trapelare sulla stampa - in mezzo a troppi tentennamenti. Cosa è successo veramente? È importante saperlo perché, probabilmente, in quei giorni ci siamo giocati una parte importante del bilancio finale.
 
Impreparazione da parte del BAG e del Medico cantonale?

In un memorandum del 19 aprile, il direttore della Clinica Moncucco Christian Camponovo, solleva alcuni aspetti inquietanti. Innanzitutto, dopo la scoperta del focolaio lombardo,  denuncia “l’assordante silenzio delle autorità competenti; silenzio interrotto nella migliore delle ipotesi da rassicurazioni a proposito della sicurezza delle manifestazioni in corso”.

Più grave: all’inizio di marzo, scrive Camponovo,  “purtroppo, ancora una volta, l’Ufficio Federale della Sanità Pubblica e quello del Medico cantonale non ci stavano aiutando. Non avevano ancora prodotto alcuno scenario di quello che ci saremmo potuti aspettare in termini di pazienti contagiati e di letti di cure intense occupati. Dopo alcuni scambi con il nostro Direttore sanitario e con i colleghi dell’EOC, la notte tra il 6 e il 7 marzo ho investito alcune ore per preparare degli scenari per il nostro Cantone”. Scenari poi condivisi con il Professor Ferrari dell’Ente Ospedaliero Cantonale.

La domanda, ovvia, è dunque: ma è vero che all’inizio di marzo il medico cantonale non aveva previsto alcuno scenario e che, per colmare la lacuna, hanno dovuto intervenire nottetempo Moncucco ed EOC?

Case anziani

All’interno delle case per anziani si sono registrati il 45% dei decessi per Covid19. La percentuale, va sottolineato, non è dissimile da quanto accaduto in altri contesti europei. Tuttavia, su questo, sempre Christian Campionavo solleva un’altra questione cruciale: “Il 5 marzo il nostro Governo adottava la prima risoluzione governativa in cui si prevedeva di creare in Ticino una struttura ospedaliera destinata ai soli pazienti COVID. L’intuizione era ottima, perché concentrando tutti i casi si può contenere notevolmente il rischio di contagio degli altri pazienti e perché concentrando tutti i pazienti affetti dalla stessa malattia, peraltro ancora sconosciuta, si può far progredire molto più rapidamente le conoscenze del personale curante. Peccato che questa stessa decisione non sia stata adottata anche in altri settori, come quello delle case per anziani. Purtroppo anche in questa decisione si nascondeva un errore non di poco conto”.

L’importanza dei dati e del contact tracing

Infine, è apparso a tutti chiaro come  la Svizzera, ma anche il Cantone, abbia fatto una gran fatica a raccogliere i dati. Ancora oggi, rispetto ad altre realtà europee, mancano tutta una serie di parametri rilevanti. Avere buoni dati è fondamentale sia per ricostruire come si è mosso il virus sul nostro territorio, sia per tenerlo sotto controllo, sia per anticiparne le mosse future. Investire risorse in questo settore è senza dubbio un ottimo affare. A che punto siamo da questo punto di vista.

Un ottimo affare è anche investire nel contact tracing. Da questo punto di vista la scelta della Svizzera è ineccepibile. Costa infinitamente meno assumere collaboratori per tracciare i nuovi contagi e accompagnare i pazienti e i loro contatti in quarantena, anziché un nuovo lockdown. Come intendiamo muoverci da questo punto di vista?

Conclusione

Ecco, crediamo che se lunedì in Gran Consiglio, con toni sereni, si fosse dibattuto anche di questi ed altri aspetti puntuali, si sarebbe fatto un servizio migliore al Paese.

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