“Credo che il settore sanitario sia ormai rassegnato: veniamo quasi additati come catastrofisti, quindi cerchiamo di prendere misure forti"
di Marco Bazzi
Mentre “fuori” si discute su questa o su quell’altra misura di contenimento, e sulle conseguenze che avranno sull’economia e sulla società, negli ospedali si contano “morti e feriti” e si lavora allo stremo delle forze. La percezione sociale e politica della pandemia non sempre coincide con quella sanitaria. Ma chi vive in prima persona, in trincea, questo drammatico momento non ha forse nemmeno il tempo per pensare a cosa bisognerebbe fare per correre ai ripari. Si lavora e basta, con quello che si ha, con il personale che si ha…
Il Cardiocentro non è mai stato un “ospedale Covid” ma fin dalla prima ondata si è “sdoppiato” e ha messo a disposizione letti supplementari di cure intensive e cure continue per pazienti affetti dal virus.
Letti che oggi sono pieni, come conferma il direttore, Massimo Manserra. Ma oltre ai letti pieni c’è anche carenza di personale: “Siamo abituati ormai da mesi a lavorare sotto pressione, ma questa ondata è peggio della prima: prende tutti e non risparmia nessuno, nemmeno il personale ospedaliero. Durante il lockdown il virus è circolato meno, ma adesso ha ripreso alla stragrande. Per cui da questa settimana abbiamo deciso di ridurre l’attività elettiva e ambulatoriale, perché se dovesse compromettersi la nostra piattaforma tecnica non sapremmo più dove mandare i pazienti cardiopatici… Non voglio nemmeno pensare a cosa succederebbe se scoppiasse un focolaio all’interno del nostro Istituto”.
“Attualmente - racconta Manserra - abbiamo una ventina di curanti in isolamento o quarantena su circa 250 tra medici, infermieri e personale di cura, quasi il 10 per cento! Quello che ci preoccupa è che questa non è una situazione straordinaria, dove bisogna tener duro due o tre settimane: da quando è partita la seconda ondata sono già passati due mesi e davanti ne abbiamo probabilmente altri tre o quattro…”.
In Ospedale arrivano anche pazienti che al test sono negativi, ma che dopo un giorno o due manifestano sintomi. Ecco perché la presa a carico dei malati ora va fatta con la massima attenzione e scrupolosità e quindi dedicandole piu’ risorse in termini di personale e di tempo.
Però, “fuori” non sembra esserci consapevolezza dei problemi. La popolazione si comporta in modo molto diverso rispetto al primo lockdown, in quanto molte attività sono permesse. Tuttavia, la situazione sanitaria odierna è ben più grave di questa primavera.
“Credo che il settore sanitario sia ormai rassegnato – prosegue il direttore del Cardio - veniamo quasi additati come catastrofisti, quindi cerchiamo di tenere il fortino, di prendere misure forti - e sia chiaro che per noi limitare l’attività ospedaliera alle urgenze significherà fare importanti sacrifici finanziari - ma non possiamo permetterci di non rispondere al mandato che ci è stato assegnato. Andiamo quindi avanti, con la speranza che lo Stato tenga conto di questi sacrifici e ci sostenga. In questi giorni abbiamo avuto il coraggio di prendere questa decisione per cercare di continuare a garantire la nostra parte: visto che le misure di contenimento non sono sufficienti per difendere il settore sanitario ci dobbiamo autodifendere. Dobbiamo preservare la piattaforma. Da oggi, lunedì, dunque, niente più attività elettiva non urgente. Si gira a regime ridotto. O la borsa o la vita… mi verrebbe da dire. Noi scegliamo la vita. Accoglieremo ovviamente tutte le urgenze, i pazienti ticinesi devono stare tranquilli, ma chiudiamo l’attività elettiva proprio per garantire di far fronte a questi casi, che rappresentano già il 50 per cento della nostra attività ordinaria. Il resto per il momento può aspettare: visto che le ospedalizzazioni aumentano, in vista del Natale rallentiamo”.
Non possiamo permetterci, spiega il direttore, “che al Cardio girino centinaia di persone al giorno. Anche perché i sette posti Covid in cure intensive sono quasi costantemente pieni: pazienti che hanno il virus e hanno complicazioni cardiologiche, ma contemporaneamente anche i reparti di degenza e cure intensive non Covid sono a pieno regime. Il personale deve avere il tempo per rifiatare: vogliamo garantire anche la salute mentale e fisica dei nostri collaboratori e visto che questo non è uno sprint ma una maratona dobbiamo ragionare sul lungo termine”.
E in tutto questo quadro c’è anche la gestione dell’integrazione nell’EOC. “Già – conclude Manserra – il 2020 era nato come un anno intenso anche senza il virus e abbiamo lavorato molto in squadra con i vertici dell’EOC per garantire l’integrazione, che è forse un unicum a livello svizzero. Siamo arrivati al risultato finale: manca solo la firma del documento che sancirà formalmente il trasferimento, prevista nei prossimi giorni. È stato un grande impegno, importante e non scontato vista la posta in gioco, ma c’è stato un crescendo di fiducia reciproca e ci sono i presupposti per ripartire con uno slancio nuovo e diverso, con ambiziosi progetti nel campo della cardiologia e della cardiochirurgia. In tutto questo, come se non bastasse, siamo anche riusciti a gestire gli studenti del Master di medicina che a partire da fine settembre siamo stati i primi ad accogliere”.
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