"Tutti insieme abbiamo affrontato questa situazione straordinaria come un’opportunità per cercare di dare il nostro contributo al sistema sanitario ticinese"
di Marco Bazzi
LUGANO – “Certo che quando ho assunto la direzione del Cardiocentro mai e poi mai mi sarei aspettato di dover affrontare dopo soli due mesi un’emergenza di simili proporzioni”. Massimo Manserra ha preso il timone dell’Ospedale del cuore a inizio gennaio, in tandem con il nuovo direttore sanitario, il professor Tiziano Cassina. Poche settimane dopo il Ticino è stato investito dalla bufera della pandemia, e il Cardiocentro è diventato uno degli ospedali di riferimento per i pazienti Covid.
Manserra fa i conti e arriva a oltre 70 giorni di “crisi”. “Già prima delle direttive cantonali – spiega –, nella fase pre-Covid, avevamo adottato diverse misure interne, limitando per esempio le visite dei famigliari dei pazienti. Era il 24 febbraio, e un mese dopo, il 24 marzo, abbiamo implementato un’area Covid, strutturando un reparto di cure intensive con 6 letti ventilati e altri 6 di cure intermedie. Abbiamo utilizzato gli spazi all’ultimo piano, normalmente adibiti alla degenza, e in pochi giorni siamo riusciti a replicare un secondo reparto di cure intensive, completamente autonomo, con un team e dei flussi separati: oltre alle camere, un ascensore, una sala ristoro e degli spogliatoi dedicati”.
È stato un bel bagno ghiacciato per il neo direttore, che pure vanta una lunga esperienza amministrativa al Cardiocentro.
“Diciamo che è stato un inizio travagliato: stavamo lavorando a pieno ritmo al processo di transizione, per preparare l’integrazione nell’Ente Ospedaliero Cantonale, e poi… poi è arrivato il virus. Sono state settimane stressanti e impegnative, senza orari, ma ho trovato il pieno e incondizionato sostegno della squadra, dei colleghi di direzione, dei collaboratori, dell’Ente… Tutti insieme abbiamo affrontato questa situazione straordinaria come un’opportunità per cercare di dare il nostro contributo al sistema sanitario ticinese che iniziava ad essere messo a dura prova dall’epidemia”.
Manserra ha dovuto prendere decisioni importanti e a volte impopolari, per pazienti, famigliari e collaboratori, come chiudere gli accessi, abolire le riunioni, la partecipazione ai congressi, imporre l’obbligo della mascherina, limitare i consulti per i medici… Ha dovuto farlo quando ancora non era chiara a tutti la percezione della gravità della situazione.
“Sono decisioni che hanno limitato le libertà di chi lavora nella nostra struttura – racconta -. Ma occorreva assolutamente garantire la sicurezza del personale e dei pazienti. E l’esperienza ci ha insegnato che è stato giusto agire con tempismo e determinazione. Siamo il centro cantonale di riferimento per le patologie cardiache, e non potevamo assolutamente permetterci alcun rischio. Ci siamo parlati, ci siamo guardati in faccia, e tutti hanno capito quale fosse la posta in gioco, adattandosi alle nuove regole che di giorno in giorno venivano emanate. Abbiamo effettuato rigorosi controlli sanitari sui collaboratori, limitato la presenza di chi non era indispensabile, favorendo per esempio il telelavoro. Poi c’è stata la fase dell’emergenza”.
Con il passare delle settimane, prosegue Manserra, “ci siamo resi conto che c’era bisogno anche di noi, e quando abbiamo deciso di mettere a disposizione le nostre risorse è stata una decisione condivisa con la base: tutti si sono detti pronti e disposti a farlo. Non senza qualche sana preoccupazione… Ma prima di aprire il reparto Covid abbiamo attinto dalla preziosa esperienza dei colleghi della Carità di Locarno, che già lavoravano in regime Covid.
Chiaramente abbiamo dovuto riconvertire internamente alcuni ruoli, ma tutti i collaboratori hanno accettato con entusiasmo di dare un supporto in reparti e mansioni che non erano i loro”.
Ma sia chiaro che anche durante l’emergenza Covid il Cardiocentro ha continuato a garantire il trattamento delle urgenze, che rappresentano circa il 45-50% della sua attività. Inoltre, è noto che chi soffre di patologie cardiache rappresenta una delle principali categorie a rischio, e diversi pazienti hanno avuto complicazioni a causa del virus.
“In un mese abbiamo ospitato circa una trentina di pazienti Covid e la nostra vicinanza all’ospedale Civico ha reso più semplice gestire i casi complessi – dice Manserra -. Anche se medici e infermieri sono abituati a convivere con i virus, si sono trovati di fronte a qualcosa di nuovo, di sconosciuto, che richiedeva precauzioni e attenzione accresciute. Oltre a curare i pazienti era fondamentale evitare che i collaboratori si infettassero. Ma siamo riusciti a lavorare bene, garantendo sempre la massima sicurezza alla struttura e al personale. Solo due collaboratori sono risultati positivi, e sono guariti dopo la quarantena, ma nessuno di loro ha contratto il virus in ospedale”.
Dal 27 aprile, il Cardiocentro ha ripreso l’attività “elettiva” e ambulatoriale, ma in modo graduale. “Da quando è stato abolito il divieto di svolgere interventi non urgenti abbiamo adottato la politica dei piccoli passi – spiega il direttore -. Diciamo che oggi lavoriamo in regime controllato. Dobbiamo sottostare alle direttive dell’Ufficio del medico cantonale: non c’è più la sala d’attesa, bisogna garantire che i pazienti che si incrociano mantengano due metri di distanza, la disinfezione costante e accresciuta dei locali, così i tempi di visita e di consultazione tra un paziente e l’altro si allungano. Lavoriamo insomma con tempi e regole diverse, e sarà così per settimane, e probabilmente mesi”.
Il reparto Covid al Cardiocentro è stato chiuso lunedì 4 maggio, ma rimangono disponibili 4 letti di isolamento monitorati, con cure continue per pazienti positivi o sospetti al primo piano della struttura, più un posto ventilato. E in 48 ore, in caso di una nuova emergenza sanitaria, è possibile ripristinare il reparto Covid al secondo piano.
La sospensione delle attività normali, le cosiddette attività “elettive”, avrà un considerevole impatto finanziario per il Cardiocentro. “Abbiamo calcolato – conclude Massimo Manserra - che negli ultimi due mesi il 50% circa della nostra attività globale è andata persa e abbiamo dunque avviato un monitoring costante sul piano finanziario. Se da una parte abbiamo registrato delle perdite per mancati introti, dall’altro abbiamo avuto costi straordinari per garantire il rispetto delle norme di sicurezza e abbiamo dovuto effettuare investimenti strutturali per creare il reparto Covid. Ma la priorità era dare una mano al Ticino nell’ambito sanitario”.