Oggi con due milioni si può organizzare una mostra sui più grandi artisti del passato. E il LAC non può ridursi a proporre concerti e teatri per il pubblico locale
di Marco Bazzi
Il periodo che va da primavera a metà estate è, con l’autunno, quello in cui vengono organizzate le mostre d’arte. Le mostre che le varie città d’Europa propongono per attirare visitatori, o per offrire opportunità culturali ai turisti che in ogni caso le visiterebbero.
Prendiamo la città a noi più vicina: Milano. In questo periodo c’è Boccioni a Palazzo Reale (nel centenario della morte), c’è lo Sposalizio della Vergine di Perugino a confronto con quello di Raffaello che è già patrimonio della pinacoteca, ci sono Caravaggio e Rubens alle Gallerie d’Italia, c’è una mostra di Joan Mirò al Mudec... Insomma, niente male, no?
E a Lugano? Al LAC c’è la mostra di Aleksandr Rodčenko, che però finisce già domenica prossima, con foto, fotomontaggi, collage e quant’altro. Mentre allo Spazio -1 c’è una mostra sulla croce nell’arte, prevalentemente contemporanea.
Ora, se è vero che Rodčenko è considerato uno dei maggiori esponenti dell’avanguardia russa, è anche vero che con una mostra del genere non si muovono le folle. E, lo abbiamo già scritto, ma lo riscriviamo oggi, perché la sordità perdura: Lugano deve tornare a fare le grandi mostre del passato, soprattutto ora che ha il LAC.
Lo deve fare per due semplici motivi: perché un Polo culturale costato più di 200 milioni non può limitarsi a ospitare concerti e spettacoli teatrali destinati per lo più a un pubblico locale, e perché Lugano deve puntare sul turismo – ma tanto e in fretta - se vuole parare il colpo di una crisi che, partita dalla piazza finanziaria, solo nei prossimi anni mostrerà le sue conseguenze più pesanti.
Le grandi mostre sono un fenomenale attrattore di pubblico: portano nelle città gente che soggiorna, che mangia, che consuma. Contribuiscono al sistema economico generale e sostengono il turismo nei periodi “morti”. E tastando il polso agli albergatori luganesi, la triste realtà è che, a sette mesi dalla sua apertura, il LAC di pernottamenti ne ha portati ben pochi.
Ma c’è un terzo motivo, ed è quello che smentisce clamorosamente chi in questi anni ha continuato a ripetere che le grandi mostre d’arte costano troppo e che Lugano non se le può più permettere.
Facciamo due conti, e sono conti fatti con un esperto in materia. Oggi con due milioni di franchi qualsiasi museo può organizzare una mostra dedicata ai più grandi artisti del passato, più o meno recente. A Lugano una mostra di alto livello può tranquillamente attirare 100'000 visitatori (in passato Modigliani, Munch e Chagall ne totalizzarono 150'000).
Facendo pagare l’ingresso 12 franchi l’incasso ammonta a 1,2 milioni. Trecentomila franchi li possono coprire gli sponsor, come avveniva in passato. Resterebbero, a carico della Città, 500'000 franchi. Mezzo milione all’anno, insomma, ma questo contributo potrebbe anche ridursi di molto se i visitatori fossero più dei 100'000 che abbiamo ipotizzato, o se si facesse pagare il biglietto qualcosa di più. E comunque, la Città finanzia già oggi le attività del LAC con 5 milioni annui. Quindi, ci chiediamo, ma dove sta il problema?
Prendiamo la Fondazione Gianadda di Martigny. Finché portava Renoir funzionava alla grande. Da quando ha smesso di proporre grandi mostre ha subìto un netto calo di visitatori. Mentre la Beyeler di Basilea ha sempre o quasi grandi nomi – pur puntando anche su artisti meno noti, come quest’anno con Dubuffet, il padre dell’Art Brut, l’anno scorso ha portato Gauguin – e rimane uno dei punti di riferimento in Svizzera per il “turismo dell’arte”. Forse già solo per il fatto che il museo è stato progettato da Renzo Piano…
Un altro esempio: la mostra che la città olandese di Den Bosch ha dedicato in questi mesi a Hieronymus Bosch (che vi nacque) a 500 anni dalla morte, ha venduto in pochi giorni 90'000 biglietti. Certo, quella pinacoteca poteva già contare su alcune tele di Bosch, ma vi ha costruito attorno una mostra con opere provenienti da mezzo mondo. Così ha creato l’evento. E probabilmente non molti di coloro che sono andati a visitarla erano già stati al Noordbrabants Museum.
Una cosa è certa ed è stata dimostrata dai fatti: l’arte contemporanea non riempie i musei, non “fa cartellone”, come si dice. Però, una mostra d’arte contemporanea può incidere sui valori di mercato dell’artista o degli artisti esposti e quindi aumentare il valore delle loro opere.
È chiaro che di fronte a tanta insistenza, negli ultimi anni, sulla linea dell’arte contemporanea sorge il dubbio che dietro le scelte luganesi vi sia anche qualche interesse di mercato da parte di soggetti privati, collezionisti, commercianti, eccetera. Interessi legittimi, per carità, finché non sono promossi da un ente pubblico. Ora speriamo che questo dubbio, che magari è solo un andreottiano “a pensar male si fa peccato, ma…”, venga finalmente fugato. Insomma: il mercato non dovrebbe influenzare le scelte culturali di un ente pubblico.
Ultimo appunto, per chiudere: per organizzare una grande mostra ci vuole chi la sappia fare, chi abbia conoscenze, esperienza e contatti. Non ci vuole l’ennesimo direttore (quanti sono adesso, quattro o cinque?) da mettere a libro paga nel LAC. Si può lavorare su incarico, come fanno altri grandi musei. L’importante è creare l’evento, quell’evento che il LAC sta aspettando già da troppo tempo.