Dopo il suo editoriale di venerdì in cui prendeva posizione sulla presenza del regista parlando di accanimento nei suoi confronti, Il direttore del Giornale del Popolo dice la sua su una polemica scatenata ad arte
LUGANO – “Eccoci qua, come d’abitudine purtroppo da anni, a dover parlare del Festival di Locarno non per i suoi film ma per i suoi scandali”, cominciava così il suo editoriale di venerdì Claudio Mésoniat. Editoriale in cui il direttore del Giornale del Popolo non condannava, e la ‘notizia’ è forse proprio in quel ‘non’, la presenza del regista polacco a Locarno.
Dopo aver premesso che Polanski “si macchiò 40 anni fa di un delitto ignobile”, ma ricordando anche l’epilogo processuale della vicenda e le pubbliche dichiarazioni di perdono e scuse dei due protagonisti, Mésoniat esprime la sua posizione: “A me pare, a questo punto, che inseguire Polanski con accuse di pedofilia ad ogni sua apparizione pubblica – come ora a Locarno per ricevere un premio alla carriera e tenere una conferenza – sia un accanimento”.
Accanimento a cui il direttore del GdP quindi non partecipa, pur riconoscendo che dato il tema delicato legato alla pedofilia, l’indignazione e la discussione che ne sono nate sono più che legittime. L’attenzione, la critica, di Mésoniat si sposta in realtà su un altro punto, l’impressione che “l’invito a Locarno non sia esente da una maliziosa e studiata provocazione”.
Insomma, Mésoniat, attorno alla presenza di Polanski si è scatenata una vera e propria bagarre che ha, almeno in Ticino, praticamente oscurato i contenuti di questa 67esima edizione. Insomma, siamo tutti caduti nella trappolina del gioco mediatico per dar risalto al Festival? La cultura non basta (più), è la lezione che pare trarre dalla vicenda, questo infatti quanto sembra realmente lamentare nel suo commento.
“La cultura e il resto -perché il cinema è anche divertimento e ha palesi connessioni, ad esempio, con la politica- potrebbero bastare, in realtà. Bisogna crederci e investire anche una buona dose di fantasia divulgativa su quello. Mi sembra che invece si scelga, da qualche anno, la via più facile: diamo in pasto ai media lo scandaletto a sfondo sessuale (o politico) e vedrete che parleranno di noi. E infatti anche quest'anno i media...dentro come pescioloni. Avrà notato, dopo la presentazione del programma, che di articoli e servizi sul Festival ne abbiamo letti ben pochi nella stampa locale, nazionale e estera. Poi, a una settimana dall'inizio della rassegna, arriva il comunicato stampa sull'invito a Polanski. Lì, bello isolato e pronto all'uso. Qualcuno che accende la miccia della polemica c'è sempre e i media (per ora svizzeri ma arriveranno anche quelli italiani) si sono scatenati”.
“Libertà” è stata la parola ricorrente dei discorsi tenuti durante la cerimonia di apertura del Festival dal ministro della cultura Manuele Bertoli, dal direttore artistico Carlo Chatrian e dallo stesso presidente del Festival Marco Solari nel difendere così, più o meno direttamente, la presenza di Polanski a Locarno: la libertà che deve esser garantita a un Festival dalle pressioni esterne e la libertà stessa di espressione. Quale la sua opinione su questo punto? Polanski, come prima Senzani, avrebbe dovuto rappresentare un limite oltre cui non andare?
“La libertà si deve sempre riconquistare. E procedere a testa bassa sulle proprie impostazioni senza dialogare con l'esterno (ad esempio le altre agenzie culturali che operano sul territorio) non è il modo migliore per dilatare la propria libertà. Ci sono pressioni indebite, forse con risvolti economici o politici alle quali è giusto resistere (le proposte dell'archivio cinematografico russo avevano queste connotazioni? Non so). Ma a volte si tratta di suggerimenti che potrebbero essere utili. Un modesto esempio. Da almeno cinque anni il nostro giornale suggeriva ai direttori del Festival di aprire uno spazio a un regista del valore di Wayda, un grandissimo. Niente. L'anno scorso ci ha pensato Venezia a dargli il premio alla carriera e a proiettare in anteprima il suo film su Walesa (che peraltro nessuno distribuisce in Svizzera). Ora, naturalmente..."non possiamo più invitarlo, l'ha appena fatto Venezia". Per non dire della nostra proposta, un anno fa, di proiettare "Cristiada", il film sull'epopea dei cristeros messicani che subisce una censura internazionale da anni. Non è un film barboso, è costruito come un western. Poteva andare benissimo in piazza. Niente da fare”.
Lei chiude il suo editoriale dicendo che, cito, “sulla scena internazionale Polanski non era certamente l’unico grande regista meritevole di esser omaggiato a Locarno con un pardo alla carriera”. Insomma, secondo lei meglio sarebbe stato evitare l’invito?
“Sulla storia di Polanski venerdì nel mio editoriale ho detto quel penso. C'è accanimento. Ma la questione della pedofilia è ultrasensibile, e giustamente, visti i tempi. Polanski, dopo il grave delitto del 1977 non ha praticato la pedofilia, è vero. Com'è vero che non ha mai tentato di giustificarsi, ammettendo l'errore, pagando, e ottenendo il perdono da parte della vittima. Ma un Festival che la stampa estera (non io) ha definito negli anni scorsi "il Festival a luci rosse" forse poteva pensarci un po' prima di fornire l'esca per una nuova polemica di questo genere. Forse c'erano altre modalità per offrire agli spettatori il grande cinema di Polanski. Mi sembra che si sia scelta la più provocatoria”.