Ticinese, single, un paio d’anni dalla pensione, socialista, campa a Zurigo facendo due lavori usuranti (per turni e per sforzo fisico) e ha un passato lontano come impiegato statale. Nel suo racconto un argomento che spesso sfugge ai radar del dibattito. I contrari all'iniziativa se ne occupino per tempo
“E perché?! Proprio tu?!”, gli ho ribattuto incredulo. “È semplice: non me lo posso più permettere e comunque tutti quei soldi che spendo per il canone preferirei investirli in altro modo. O almeno una parte”. Al che gli ho replicato con alcuni degli argomenti forti dei contrari all’iniziativa: la RSI senza canone chiude, è importante avere un’informazione che ci racconti quanto accade nel paese senza essere schiava della pubblicità, i posti di lavoro, il know how e il circolo economico che muove la SSR anche nell’economia privata, il fatto che anche pagando le imposte finanziamo servizi che magari non utilizzeremo mai, eccetera. Sì, tutto giusto e tutto vero, mi ha detto lui, ma il mondo è cambiato.
“Un tempo - ha argomentato - stavamo tutti più o meno bene con i salari e dunque il canone era un sacrificio sopportabile. Ma oggi….un conto sono 200 franchi all’anno, che si potrebbero anche spendere anche come gesto di attenzione verso il servizio pubblico, ma non di più. Perché devo sborsare così tanto per un servizio che utilizzo molto poco? Tutti i giorni leggo i giornali al bar o mi informo sui siti. Per il resto preferisco uscire a cena, o bere un bicchiere, o metter via qualcosa per le vacanze o per la pensione, anziché guardare la tv. Non riesco proprio a capire perché devo pagare per i quiz, i film, le serie, lo sport...tutti programmi che non guardo mai”.
A questo punto del discorso mi sono giocato la carta della coesione nazionale e della solidarietà tra lavoratori. Argomenti sensibili per un uomo di sinistra. “La solidarietà va bene se c’è la simmetria dei sacrifici, come dicevamo noi socialisti fino a poco tempo fa quando bisognava accordarsi con i borghesi sui preventivi. Nessuno è solidale con noi che facciamo due lavori per non pesare sullo Stato. Mi viene rabbia quando sento questi discorsi da parte di chi gode già di molti privilegi. Io non sono invidioso verso i dipendenti dell’SSR, o i docenti, o i dipendenti pubblici. Come lavoratori li difendo e mi viene il voltastomaco tutte le volte che il Mattino li mette alla berlina senza nessun rispetto. Però…”.
Però, cosa? “Però vorrei che ci fosse più consapevolezza da parte di certi signori verso chi, come me, fa parte del ceto medio basso. Non si possono chiedere sacrifici a chi ne fa già tanti, in nome del mantenimento di un servizio che così come è oggi non ha più senso, senza mai dare una dimostrazione di farne altrettanti. Mi fa incazzare da morire questo discorso. Non è giusto. Se pensano di trovare la solidarietà di disoccupati, sottoccupati o straoccupati come me, in questa maniera, si sbagliano di grosso. Non sono credibili: mica sono gli operai delle Officine. Vedrai…”.
Gli ho detto di pensarci su ancora un po’ che la faccenda è più complicata. Ma al contempo ho trovato questa micro testimonianza popolare interessante, come traccia parallela ai molti discorsi che ruotano intorno all’iniziativa.
C’è anche questo nella pancia dell’elettorato. Un risvolto sociale che talvolta sfugge ai radar degli argomenti principali, ma che nella sua semplicità ci rivela uno stato di sofferenza e di insofferenza che potrebbe avere un peso nel segreto dell’urna. Due fattori: da una parte l’indisponibilità economica, dall’altra, strettamente connessa, uno sfaldamento di un’idea di condivisione. E in Ticino questa trama avrà una forza ancora maggiore.
I contrari all’iniziativa ne tengano conto e se ne occupino per tempo.
AELLE