Intervista al Consigliere Nazionale PPD: "A Comano si è creata una casta che si è attribuita dei privilegi che nel mondo reale non esistono. L'intrattenimento di Rete Uno è penoso (e lo sport...). Nel centrodestra c'è molta gente delusa, arrabbiata, che si sente presa in giro. E queste voci critiche continuano ad essere inascoltate o addirittura snobbate. Ma alla fine credo che anche in Ticino prevarrà il "no" all'iniziativa"
È questa, in sintesi, la posizione di Fabio Regazzi. Il Consigliere Nazionale PPD - membro della Commissione trasporti e telecomunicazioni - conferma il voto e la posizione già espressi in Parlamento sull’abolizione del canone (qui il nostro dossier con tutti gli articoli e le interviste dedicate alla No Billag). Ma in questa intervista mette anche molti puntini sulle “i”, esprimendo con schiettezza tutte le sue critiche e le sue riserve sulla radiotelevisione pubblica.
Fabio Regazzi, si può dire che il Ticino sarà il cantone in cui sarà più difficile respingere l’iniziativa in votazione popolare?
“È difficile da dire. Io credo che alla fine anche il Ticino dirà di “no” a questa iniziativa perché è una proposta troppo estrema. Votare “sì”, bisogna sottolinearlo con onestà intellettuale, significa condannare a morte certa la radiotelevisione pubblica nel nostro Cantone. Non solo: anche le emittenti private come Teleticino, che beneficiano di una parte del canone, sarebbero messe in ginocchio. Chi sostiene il contrario mente sapendo di mentire. Un altro dato oggettivo è che noi versiamo alla SSR il 5% e riceviamo indietro il 20%: sarebbe irresponsabile rinunciare a questo vantaggio. Infine, ma non da ultimo, accettare l’iniziativa No Billag significa cancellare oltre 1000 posti di lavoro in Ticino, per il 98% occupati da residenti. Se ci limitassimo a ponderare questi elementi razionali, la discussione sarebbe quindi già chiusa. Invece sappiamo che in questa votazione c’è una forte componente emozionale, dalla quale emergono chiaramente segnali di un certo disagio e di un malessere che a Comano non si sono voluti cogliere per tempo e purtroppo si continuano ad ignorare”.
Quali sono gli aspetti concreti di questo malessere che lei coglie?
“Alla RSI manca una sana autocritica e una capacità di mettersi in discussione. La mia non è una bocciatura su tutta la linea, ma è innegabile che sono stati commessi una serie di errori piuttosto gravi. Purtroppo neppure i campanelli d’allarme - penso ad esempio alla votazione persa in Ticino sul nuovo sistema di riscossione del canone - sono serviti a modificare la situazione”.
Può essere più concreto?
“Cito alcuni elementi che personalmente mi colpiscono e che spesso mi capita di ascoltare quando giro per il Cantone. Primo punto: negli anni si è creata una sorta di casta che si è attribuita una serie di privilegi che nel mondo reale, semplicemente, non esistono. Cito solo un piccolo esempio tra i molti che potrei fare: l’esenzione dal pagamento del canone per i dipendenti RSI. Questo fattore ha generato una serie di comportamenti autoreferenziali. Guai però a mettere in discussione la RSI! E veniamo alla qualità del servizio offerto. In generale si può dire che è sicuramente tendenziosa verso sinistra: magari non sempre in modo così evidente ma chi è attento riesce a cogliere questo aspetto. Se da un lato ad esempio l’informazione e gli approfondimenti politici li ritengo piuttosto ben fatti, trovo invece spesso penoso, senza ovviamente voler generalizzare, il livello dell’intrattenimento, in particolare di Rete Uno. Nel corso degli ultimi anni abbiamo assistito a uno scadimento. Stiamo parlando della rete ammiraglia delle nostre radio, che secondo logica dovrebbe avere un tono e dei contenuti più seri e istituzionali. Invece assistiamo in continuazione a un chiacchiericcio e a una banalizzazione che non le fanno onore. Se, infine, penso allo sport, salvo qualche lodevole eccezione, sulla qualità del commento si sono perse competenze tecniche e anche la dizione lascia spesso a desiderare. E poi continuo a chiedermi: ma che senso ha per una partita di calcio impegnare una decina di persone in video, tra studio e trasferta, e spesso chiamate da fuori? A me sembra che alla RSI imperino manie di grandezza: si è perso il senso della misura e della nostra realtà che è quella di un Cantone di 300’000 anime”.
Eppure, a fronte di tutte queste critiche, lei dice di votare no. Perché?
“Perché sarebbe una mossa suicida accettare l’iniziativa! Non si può cancellare la RSI poiché perderemmo un mezzo di comunicazione che dovrebbe essere veicolo di valori, simboli, informazione, storia e contenuti della nostra realtà. Quello che mi auguro è che questa votazione inneschi veramente una riflessione generale da parte dell’azienda, anche se dubito fortemente che ciò accadrà”.
Ma se dubita lei, perché dovrebbero crederci gli indecisi? In molti magari sarebbero disposti a dare l’ultima occasione alla RSI, ma poi si dicono: e se poi “passata la festa, gabbato lo santo”?
“È un pericolo reale, non lo nego. Ma vogliamo davvero a fronte di questo pericolo mettere a repentaglio un migliaio di posti di lavoro? Io non me la sento. La strada giusta per sperare che la RSI sia riformata, è quella di una riduzione delle risorse a disposizione, una sorta di cura dimagrante, per costringerli a un ripensamento. Attualmente la RSI ha un budget di 250 milioni di franchi: sono veramente tanti soldi per una realtà come il Ticino e le valli retiche. Io sono convinto che anche con meno risorse si possa garantire un servizio pubblico di qualità. L’abbassamento del canone deciso dal Consiglio Federale, è una mossa che va in questa direzione. È lecito supporre che sia una tattica elettorale, ma intanto la fattura del canone dal 2019 sarà significativamente più bassa. Speriamo che questo indirizzo voluto dal Governo porti a un uso più parsimonioso delle risorse, cose che non sempre avviene”.
Scusi Regazzi, ma lei mi sembra il primo a non essere convito del suo voto. Del resto questa è la critica che in questo momento una parte dello schieramento contro l’iniziativa muove al PPD nel suo complesso: dal presidente nazionale Pfister a quello cantonale Dadò, fino a lei o al suo collega Marco Romano. Voi dite “no, però”. E molti sono sospettosi sulle vostre reali intenzioni.
“Non è vero che non sono convinto del mio voto e su questo voglio essere molto chiaro: io mi sono schierato contro l’abolizione del canone in Parlamento e continuerò a farlo da qui alla votazione. Ma non voglio che questo “no” all’iniziativa venga considerato come un appoggio senza riserve sull’operato della RSI. La mia è una posizione simile a quella di diverse personalità del PPD, tra le quali quelle che lei ha citato. E qui mi riallaccio al discorso che facevo prima: anche su questo punto si può notare con chiarezza l’autoreferenzialità della RSI, che rifiuta – con malcelato fastidio – qualsiasi tipo di critica o di posizione che non siano perfettamente allineate”.
In Ticino questa votazione la decideranno gli elettori di centrodestra e quelli senza partito. Lei che è un rappresentate di spicco di quell’area, sia come politico che come uomo dell’economia, che aria sente tirare in casa sua?
“È innegabile che ci sono molte voci critiche. Voci che purtroppo continuano ad essere inascoltate o addirittura snobbate. Ho sentito diverse persone, per non dire parecchie, che sono disposte ad andare fino in fondo votando a favore dell’iniziativa. Nel centrodestra c’è un grosso lavoro di convincimento da fare per respingere la No Billag. C’è molta gente delusa, arrabbiata, che si sente presa in giro. La sensazione diffusa è che, nonostante tutto, alla RSI non cambi mai niente. E purtroppo devo dire che non vedo grandi presupposti perché qualcosa possa effettivamente cambiare in futuro…”.
Mi faccia capire: quindi lei voterà contro l’iniziativa unicamente per salvaguardare i posti di lavoro? Non che sarebbe un motivo insufficiente. Però…
“No, non è solo per questo motivo. All’inizio dell’intervista ho elencato altri elementi oggettivi. Ma detto questo ho un’altra convinzione molto solida. La Svizzera, e a maggior ragione il Ticino, ha bisogno di un servizio pubblico, che per definizione non può essere lasciato solo nelle mani del privato, anche se in molti ambiti quest’ultimo può svolgere un ruolo complementare importante. E se lo dice uno che è notoriamente un sostenitore dell’iniziativa privata, penso che ci si possa credere”.
Per concludere vorrei farle una domanda più politica. Alcuni ritengono che, in un sistema liberale, sia giusto pagare solo per ciò che si consuma. Lei, che sicuramente si rifà a questo pensiero, come giudica questa obiezione di fondo rispetto al pagamento del canone?
“È una questione di principio che, però, se applicata con rigorosa coerenza, porterebbe a uno stravolgimento del principio fondamentale, quello della solidarietà, sui cui poggia il nostro Paese. Perché chi non utilizza il treno deve contribuire con le sue imposte al finanziamento dell’infrastruttura ferroviaria? Perché, io che non ho figli, devo versare la mia parte per finanziare le scuole o gli assegni famigliari? Io milito in un partito di centro che, al suo interno, è sempre impegnato nella mediazione tra l’anima economica e quella sociale. E le dico che per quanto riguarda la RSI la strada più moderata e più ragionevole è proprio quella intrapresa dal Consiglio Federale, attraverso la riduzione del canone. Contribuire al mantenimento di questo spazio di servizio pubblico è anche un fattore di coesione sociale. Se non lo facesse la RSI - e a mio avviso dovrebbe comunque farlo di più e meglio - chi racconterebbe la nostra storia, i nostri paesi, la nostra cultura popolare, le nostre tradizioni? Nessuno. Che la RSI torni quindi a concentrarsi sul vero mandato pubblico che le è stato assegnato, abbandonando le manie di grandezza che l’hanno caratterizzata negli ultimi decenni”.