Intervista al deputato di Area Liberale, per 12 anni alto funzionario al DFE con Marina Masoni, sugli ultimi sviluppi del caso: "In prima fila in questa fase deve esserci il comandante. Vista dall’esterno mi pare che all’interno del DSS non ci sia una regola comportamentale nel flusso delle informazioni tra ministro e alti funzionari. O se c’è, ed è stata disattesa, è pure peggio"
In molti sono rimasti sorpresi in questi giorni dal fatto che il Direttore del DSS Paolo Beltraminelli, non sia stato informato dal suo capo divisione Renato Bernasconi né dell’ e-mail inviata al direttore di Securitas, né dell’incontro avvenuto negli uffici del Dipartimento con la funzionaria e il suo compagno Fiorenzo Dadò, per discutere dell’ormai celebre cena di Bormio che l’ex direttore di Argo 1 Marco Sansonetti aveva offerto alla coppia per una somma di 150 euro. Circostanza sulla quale il procuratore John Noseda ha già emesso un decreto di abbandono, scagionando da qualsiasi accusa penale la funzionaria. Funzionaria sulla quale è in corso un'inchiesta amministrativa ordinata dal Governo e sollecitata dalla stessa dipendente.
“Una decisione fuori dal mondo, quella di non aver informato il ministro. In queste circostanze non tocca a chi sta sotto decidere cosa è importante e cosa no”, dichiara a Liberatv Sergio Morisoli, oggi deputato di AreaLiberale.
Cominciamo dall’incontro al DSS sulla cena di Bormio. Cosa ne pensa?
“La premessa è che la vicenda Argo 1 era già esplosa, quindi sul tavolo del capo divisione non è arrivato un elemento di una storia qualsiasi. A mio avviso la funzionaria ha fatto bene ad informare il suo superiore. Ma il fatto stesso che sia stato organizzato un incontro di questo tipo, significa anche che la funzionaria per prima riteneva rilevante quello che aveva da raccontare. E il capo divisione doveva rendersene conto. Di conseguenza il fatto che questa informazione non sia stata immediatamente trasmessa al Consigliere di Stato, mi pare una lacuna grave nel processo di informazione interna. Se un alto funzionario, ribadisco, non in regime di lavoro quotidiano ma in un contesto come quello Argo1, viene a sapere una cosa del genere, la prima cosa che fa è informare il suo capo, cioè il ministro”.
Deve essere una reazione naturale, dice lei.
“Ovviamente. Si tratta soltanto di attenersi alla logica e a una buona regola interna di condivisione delle informazioni. In vicende come quella di Argo 1 tutte le “notizie” devono arrivare in cima al Dipartimento. Anche perché ogni elemento può essere interessante e potenzialmente utile alla ricerca della verità. Poi tocca al ministro valutare e decidere come procedere, assumendosene la responsabilità”.
Quindi se lei fosse Beltraminelli sarebbe arrabbiato con il suo capo divisione?
“E certo, ci mancherebbe altro! Guardi che è assolutamente possibile che Beltraminelli non sapesse nulla. Ma i capi divisione sono il braccio destro e sinistro dei Consiglieri di Stato, non sono semplici funzionari. E di conseguenza devono essere in grado di leggere il contesto e capire cosa c’è in ballo, anche politicamente. Permettersi di censurare un’informazione a questo livello, è un fatto grave. Ed è certamente strano che un funzionario dirigente si assuma la responsabilità di di gestire da solo una grana così sensibile”.
Immagino che sulla vicenda dell’e-mail inviata da Renato Bernasconi al direttore di Securitas, sempre senza informare Beltraminelli, abbia la stessa opinione. Giusto?
“Vale esattamente lo stesso discorso. In prima fila in questa fase deve esserci il comandante. Vista dall’esterno mi pare che all’interno del DSS non ci sia una regola comportamentale nel flusso delle informazioni tra ministro e alti funzionari. O se c’è, ed è stata disattesa, è pure peggio”.
E come se lo spiega?
“Io i motivi non li so. Ed essendo garantista, fino a prova del contrario, sono sicuro che non c’è stata malafede o altre manovre poco chiare. Piuttosto mi pare che siamo davanti a una grave sottovalutazione della vicenda. Talvolta, semplicemente, succede che qualcuno si mette in testa di salvare il mondo e, agendo in buona fede, parte per fare del bene e rischia di fare del male. Posso anche capire che sia stata fatta una valutazione e sia stato deciso di non prendere alcun provvedimento, perché la fattispecie non è stata ritenuta passibile di sanzione. Del resto anche la Procura è giunta alle stesse conclusioni. Quello che mi pare fuori dal mondo è che in tutto questo non sia stato informato il Consigliere di Stato. Che le informazioni non abbiano preso una via diretta dalla scrivania del capo divisione a quella del ministro. Anche per via della presenza di Dadò all’incontro”
Ovvero?
“Se a un incontro di lavoro, in una logica di gestione dipartimentale, è presenta anche un esterno, per di più con un ruolo pubblico, è un elemento ulteriore per capire che la faccenda che si sta trattando è importante. E a maggior ragione il Consigliere di Stato deve essere informato. Il fatto poi che questo esterno sia anche il presidente dello stesso partito del ministro, significa che c’erano due canali attraverso i quali l’informazione poteva arrivare a Beltraminelli. Al di là del perché o del per come - non mi permetto di giudicare - il fatto che ciò non sia avvenuto, è sbagliato. Agli occhi di chi come me conosce la politica e l’amministrazione, risulta molto strano”.
Lei quando era coordinatore al DFE ha vissuto una situazione paragonabile - in termini di gestione della crisi, non di fatti - quando vi trovaste in mezzo al Fiscogate. Quali erano le regole che vi eravate dati a livello di condivisione delle informazioni?
“Avevamo regole abbastanza ferree da questo punto di vista. Chi aveva un’informazione la diceva all’altro. È stato così per 12 anni. Ogni mattina alle 8.30 bevevo il caffè con la Consigliera di Stato per fare il punto della situazione, sia interno che esterno. Discutevamo quotidianamente di tutto ciò che succedeva. Avevamo questo modus operandi in “tempo di pace” si figuri quando scoppiò il Fiscogate. Ogni informazione sul caso veniva immediatamente trasmessa alla Consigliera di Stato”.
AELLE