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A tutto Ibra: "Dov'era Dio quando mio fratello moriva? Adesso insegno ai giovani ad avere disciplina"

L'ex attaccante, ora dirigente del Milan, a ruota libera: "Non sono credente. Credo nel rispetto. Mio figlio? Lo tratto come tutti gli altri"

MILANO – Zlatan Ibrahimovic sta sempre di più abituandosi al nuovo ruolo da dirigente dell'AC Milan. I rossoneri si trovano in tournée negli USA e l'ex attaccante ha parlato con The Athletic di diversi argomenti. A partire dal suo carattere: "Ho voce in capitolo sotto molti aspetti per portare risultati e aumentare il valore. Ho ambizione di vincere. I giocatori non sono bambini e io non sono una babysitter. Devono assumersi le responsabilità. Quando non ci sono devono dare il 200%".

Zlatan sa usare l'ironia. "Io allenatore? Non scherziamo, guarda i miei capelli grigi. Pensate dopo una settimana da allenatore. Il mio ruolo è connettere tutto, essere un leader dall'alto e assicurarsi che tutto funzioni. Quando sono tornato al Milan la seconda volta si trattava più di dare che di prendere. Volevo dimostrare come si fanno le cose. Al Milan è normale avere pressioni, pretese, obblighi. Non avevo ego. Ero una specie di angelo custode per loro. E tutta la pressione ricadeva su di me, che allo steso tempo facevo pressione a loro".

'Ibra' parla anche dei suoi tatuaggi, a partire da quello con la scritta "Solo Dio può giudicarmi". "Non sono credente, credo nel rispetto. Io posso giudicarmi e basta. Faccio un esempio: quando mio fratello è morto dov'era dio per aiutarlo? Lo preghi tutti i giorni, lo ringrazi tutti i giorni. Ma dov'era? Nel mio mondo, sei tu il tuo dio. Questo è quello in cui credo".

E ancora: "Perché ho cambiato tante squadre? Amo mettermi alla prova. Mio figlio? Per lui (gioca nella U23 del Milan, ndr) non è facile. Porta un cognome pesante, ma non lo vedo diverso dagli altri. Lo giudico come giocatore, come tutti gli altri. Deve imparare, lavorare e guadagnare. Ho dato a lui disciplina, rispetto e duro lavoro".

Sugli allenatori avuti in carriera: "Ho avuto Capelli, mi distruggeva ma allo stesso tempo mi costruiva come giocatore. Mi massacrava. Mourinho? Una macchina. Lui tira fuori il meglio da te, è un manipolatore perché sa come entrarti nella testa". 

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