Il Tagi ha raccontato oggi la vicenda di una donna che è stata costretta a fare un'analisi del capello per dimostrare, a sue spese, che non assumeva droga. Le autorità le hanno imposto il test sulla base di una segnalazione anonima. La politica ticinese impedisca che simili derive si verifichino anche nel nostro Cantone. Altrimenti toccherà ribellarsi sul serio…
Con Via Sicura i più elementari principi di giustizia propri di una democrazia sono andati a farsi benedire: Cesare Beccaria si sta rivoltando nella tomba! Secondo questo mostro legislativo è infatti sufficiente il semplice sospetto che un conducente non sia in grado di condurre il proprio mezzo con sicurezza, per consentire alle autorità di richiedere controlli sul suo stato di salute.
Il Tages Anzeiger ha raccontato oggi la vicenda di una donna che è stata costretta a fare un'analisi del capello per dimostrare, a sue spese, che era innocente e poteva continuare a guidare la sua motocicletta. L'Ufficio della circolazione le ha infatti imposto di sottoporsi al test, pena il ritiro della patente, perché una segnalazione anonima (!) affermava che la donna faceva uso di stupefacenti. Ed è bastato questo sospetto perché scattasse l’intervento delle autorità. Ma siete impazziti o cosa?!
Già questo fatto sarebbe sufficiente per gridare allo scandalo. Ma lo scandalo non può che assumere i toni dell’indignazione con il finale della vicenda: l’analisi della signora ha dato esito negativo ma la donna ha dovuto lo stesso accollarsi le spese! Infatti, secondo questo sistema che puzza di dittatura lontano un miglio, anche quando il "sospettato" è in grado di dimostrare la sua idoneità alla guida, i costi delle analisi sono ugualmente a suo carico.
Che dire di fronte a questo abominio giuridico gestito da burocrati invasati e completamente sfuggito dalle mani della politica? In realtà non ci sono molte parole, perché qui tocca innanzitutto capire come difendersi da uno Stato di polizia che pretende di rieducare i cittadini attraverso la legge sulla circolazione stradale. C’è di che aver paura quando si vive in un Paese in cui bisogna pagare per dimostrare la propria innocenza (e anche quando si è dimostrata non si è risarciti), sulla base non di indizi di colpevolezza ma di semplici sospetti o, peggio ancora, di delazioni che chiunque può fare per antipatia o vendetta.
C’è solo da augurarsi che l’autorità politica ticinese - in prima battuta il Dipartimento delle Istituzioni e il suo direttore Norman Gobbi - metta un’argine a Via Sicura e impedisca con le buone o con le cattive che in Ticino si verifichino casi come quello raccontato dal Tagi. Altrimenti toccherà ribellarsi sul serio….adesso basta!
AELLE/emmebi