Presa di posizione dell'ex presidente della Federazione Svizzera funzionari di Polizia - Sezione Ticino – sulla discussa promozione a sergente maggiore del poliziotto che, alcuni anni fa, postò su Facebook considerazioni inopportune e lesive
*Di Michele Sussigan
A proposito della nomina a sergente maggiore del collega che alcuni anni fa era finito sotto i riflettori per avere postato su Facebook delle considerazioni inopportune e lesive. I suoi scritti erano stati sanzionati penalmente e amministrativamente; penalmente con 90 aliquote (pena contenuta ed inferiore a sanzioni previste per il codice della strada o altri reati intenzionali); amministrativamente, con cambiamenti del luogo di lavoro e relative conseguenze. A mio giudizio il caso si sta gonfiando oltre misura e mi permetto alcune considerazioni al di la di quanto è accaduto, sanzionato e scontato.
Con il grado di sergente, sergente capo, sergente maggiore, in Polizia Cantonale vi sono oltre un centinaio di colleghi e gerarchicamente sopra a queste posizioni troviamo i sergenti maggiori capo, gli aiutanti, gli aiutanti capo, gli ufficiali i capi area, il vice ed il comandante. Per concorrere alla posizione in questione bastano 6 anni di servizio. Quindi non si sta parlando di una nomina di chissà quale portata, ma di una funzione pari a molte altre, necessarie per il funzionamento dei vari reparti così come pianificati negli organigrammi. Il collega in questione è stato ritenuto idoneo nella sua attuale posizione e nel cotesto lavorativo odierno.
Ma di chi stiamo parlando? Di una persona pericolosa che mette a rischio la sicurezza dei cittadini? O di un agente di Polizia con oltre 30 anni di servizio passati la maggior parte sulle nostre strade, con incarichi di routine, a volte con incarichi importanti e delicati di indagine, a volte con compiti di responsabilità e non da ultimo con l’assenza di reclami (a mia mente) da parte dell’utenza sul suo operato trentennale? Perché è di questo che stiamo parlando, non di un fanatico pericoloso.
Personalmente conosco da tempo il collega e ricordo con piacere il lungo periodo di quasi un decennio, agli inizi del 2000, durante il quale é stato mio collaboratore. Ho sempre apprezzato la sua schiettezza e disponibilità ma in particolare l’approccio concreto e diretto con le persone, indipendentemente dalla razza, dall’etnia, dalla fede o dal censo, con una sensibilità particolare verso le persone deboli e indifese.
Ha sbagliato, l’ha riconosciuto, ed è stato sanzionato, accettando la pena. Oggi sui social si scrive di tutto e di tutti, prendendo anche l’esempio da politici, calciatori, attori, capi di Stato... A molti capita di andare sopra le righe, e sono sicuro che molti di costoro il giorno dopo non scriverebbero più certe cose!
Oggi é difficile farsi garante per qualcuno: leggiamo quotidianamente di direttori che rubano nelle casse della ditta, d’impiegati che sottraggono milioni, di persone insospettabili sino a quel giorno che commettono orrendi delitti, di poliziotti che non si fermano dopo aver commesso un incidente… Io non garantisco per nessuno! Ma in questo caso – senza sminuire quanto è accaduto anni fa - avrei fatto la medesima scelta del Comando nel proporre il collega per quella nomina e del Consiglio di Stato nel nominarlo. Perché al di là dello sbaglio, commesso e sanzionato, la nomina di questo collega non profila alcun pericolo, né generale né particolare.
Concludo dicendo che la mia lunga esperienza in polizia mi ha insegnato una cosa: chi commette un reato, soprattutto se si tratta di un reato minore, ha il dovere di accettare la sanzione e di scontare la pena, ma, se si pente sinceramente e non ripete l’errore, ma dimostra negli anni di aver imparato dall’errore, ha anche il diritto al perdono. Un diritto che in questo caso mi pare venga negato.
*Ex Presidente della Federazione Svizzera funzionari di Polizia – Sezione Ticino