Ieri è andato in onda in Piazza Grande il film più atteso a Locarno, il grande colpo della direttrice, con "C'era una volta... a Hollywood", uno spettacolo tenico con attori come Brad Pitt e Leonardo DiCaprio
*Di Claudio Mésoniat
Mannaggia, qui si vedono film come mangiar ciliegie ma poi si fatica a trovare il tempo per scrivere. Vi dobbiamo riferire, come promesso, del film tutte-e-solo-donne, “Maternal”, che a noi è piaciuto. Lo faremo nel prossimo pezzo. Ma prima qualche parola sulla pellicola certamente più attesa quest’anno a Locarno, il grande colpo messo a segno dalla direttrice Lilli: “C’era una volta… a Hollywood”, di Quentin Tarantino.
Come si fa a non divertirsi guardando questo spettacolo pirotecnico che l’autore ha confezionato assemblando citazioni da mille altre pellicole e autocitazioni dalle proprie sull’intelaiatura di una storia vera (la strage compiuta a Hollywood nel 1969 dalla setta di Charles Manson, in cui venne uccisa la moglie incinta di Polanski, Sharon Tate) che poi viene manipolata con i meccanismi della “realtà aumentata” onde ottenere un lieto fine?
Con un paio di attorucoli come Brad Pitt e Leonardo DiCaprio e con un’ambientazione, per giunta, sui set e dietro le quinte dei film western degli anni 60, che il vostro ippopotamo ha sempre adorato.
Con la sua solita ironia Tarantino ha raccomandato ai giornalisti di non rivelare la trama del film per non rovinarne la visione ai potenziali spettatori (in piazza Grande c’è stato il pienone totale), sapendo benissimo che descrivere “la” trama sarebbe impossibile: ci sono troppe storie incrociate, troppi livelli di lettura. Dopo esserci divertiti per due ore e mezza, ci troviamo imbarazzati nel trattare di un’opera simile, che richiederebbe per lo meno una conoscenza della filmografia di Tarantino di cui siamo lautamente sprovvisti.
Vi diremo soltanto che questo “C’era una volta… a Hollywood” è una dichiarazione d’amore al cinema; che il regista è un mostro di bravura nel maneggiare tutti i generi inventati dall’”industria dei sogni”, dal thriller al western, dalla commedia all’horror…; che attraverso la pacchiana e manifesta alterazione della realtà storica, nel tempo e nello spazio, Tarantino non realizza (come alcuni forse pensano) un suo estremo delirio di onnipotenza ma lancia un monito a tenere ben distinti il dato reale e storico da quello virtuale che è proprio dell’elaborazione artistica. Quantunque i due livelli si intersechino e si contaminino, specie per l’influsso che il virtuale può esercitare educativamente sugli esseri umani.
In quest’ottica si potrebbe leggere un breve passaggio del film dove gli autori della strage si dichiarano vendicatori di una generazione, la loro, sulla cui psiche si sarebbe incisa l’impronta delle serie televisive che hanno sdoganato l’omicidio come pane quotidiano. Dubitiamo però che Tarantino abbia fatto suo l’argomento.