L'ormai ex calciatore sfoga un malessere vissuto durante la lunga carriera professionistica in un libro crudo e forte, iniziato mentre viveva una brutta malattia. "Ho compreso che chi mostra le fragilità sono le persone più forti"
LUGANO – È partito da una serie di appunti iniziati a scrivere in un momento difficile, quando la vita ha picchiato duro con la diagnosi di una brutta malattia, utili a sfogare un malessere tenuto dentro troppo a lungo, e alla fine ha deciso di pubblicare un libro che è un vero e proprio j’accuse al mondo del calcio. Quando si lavora nel giornalismo sportivo, a fine partita si trovano spesso dichiarazioni scontate, trite e ritrite, poi c’è qualche raro volto che ci mette la faccia in ogni momento. Fulvio Sulmoni è sempre stato uno di queste eccezioni, e non sorprende che si sia distinto dal coro scegliendo di raccontare i lati oscuri del mondo del pallone.
“Ho deciso di scrivere su consiglio di mia moglie, che è psicologa. Sono una persona che tende a somatizzare le proprie emozioni, lei mi ha detto che la scrittura libera le emozioni. Il materiale si è accumulato e grazie all’aiuto di alcune persone competenti nell’ambito l’ho fatto diventare un libro”, ci racconta, parlando di “Piacere di averti conosciuto”. Due anni fa. Sulmoni ha scoperto di avere un tumore ai testicoli. Nel turbinio di emozioni seguite alla diagnosi, si è sentito addosso tutte le sensazioni vissute in 15 anni di professionismo, magari mai confessate “So che quello che ho scritto è molto forte, molto crudo, proprio perché è stato scritto nella sofferenza, può apparire duro. Parlo anche di una malattia importante, ci sono passaggi espressi con termini forti, anche se non volgari. Un paio di mesi fa poi ho avuto una recidiva della malattia e questo mi ha dato l’ultima briciola di coraggio per pubblicare il libro e non lasciarlo nel mio comodino”.
Stigmatizza molti aspetti del mondo del calcio, “a partire dal comportamento dei tifosi sulle tribune, sino ad arrivare a quelli che sono i conflitti di interesse tra manager, direttori, sportivi, presidenti, ed anche i comportamenti degli allenatori verso i calciatori, senza escludere l’influenza negativa di alcuni genitori che vogliono a tutti i costi veder diventare campioni i loro figli”. Proprio a questi genitori e agli adolescente Sulmoni vuole rivolgersi, per mostrare che non è tutto oro quel che luccica. “Spesso non avendolo mai vissuto non conoscono il mondo del pallone”.
Non nomina, negli aspetti negativi, i compagni di squadra, ma spiega che l’amicizia, nel calcio, esiste molto di rado. “Credo che nessuno si sia mai accorto del mio malessere, non per demerito loro, bensì perché in quel mondo si portano delle maschere, dove al campo si è tutti contenti, felici, dove nascondiamo le sofferenze. Qualche anno è successo di creare dei veri gruppi, grazie alla presenza di persone che sono maestre nel fare gruppo, però sono eccezioni. In altri casi tra compagni c’era solo competizione. Nell’ambiente comunque ho pochissimi amici, d’altro canto gli amici sono delle perle rare. Spesso si crede di averne tanti, poi ci si rende conto che sono pochi”.
Fulvio Sulmoni nel suo libro insiste sul peso emotivo delle sconfitte, dei momenti difficili. Superano, nel bilancio, le vittorie? “Questo concetto l’ho ritrovato nell’autobiografia di Agassi, che ho letto anni fa e in cui mi sono identificato. Ha ragione, le vittorie sono bellissime ma le sconfitte che vivi sul campo e tutto quello che accade nello sport, una sconfitta anch’essa, fanno più male, segnano di più. I dolori pesano più delle gioie. Probabilmente avrò avuto più gioie che dolori, la bilancia è in equilibrio, però i dispiaceri pesano di più. Un giorno la vedrò diversamente? Non lo so”.
Eppure, nonostante il pensiero ricorrente, non ha mai voluto lasciare il calcio. “In molti mi chiedono come ho fatto ad andare avanti. Sono stato vicino più e più volte a smettere, mi sono identificato in una frase di Lara Gut, che sperava quasi di infortunarsi per allontanarsi dai suoi problemi. Ecco, l’ho pensato pure io: mi auguravo di farmi male per essere fuori per un po’. Mi sono chiesto anch’io perché non ho smesso e non è facile rispondere. Quel che sto maturando è che probabilmente era una sorta di dipendenza. Per anni ogni giorno ero su un campo con un pallone, lasciare era difficile, mi chiedevo cosa fare nella vita, come trovare un lavoro, e mi dicevo che era meglio continuare a giocare”. Peraltro, Fulvio con un master in economia si è sempre costruito un piano B. “L’incognita resta, è vero, avevo studiato, però non era evidente. Il calcio era ciò che conoscevo”.
Il ragazzino che seguiva Holly e Benji e viveva sul campo adesso sconsiglia a un giovane di intraprendere la carriera sportiva. Fare il calciatore, per molti, è il sogno di una vita, eppure… “Penso a Mario Götze, che a 28 anni molla tutto perché non era d’accordo con quanto viveva e vedeva e probabilmente soffriva, dopo aver giocato in nazionale, aver guadagnato molti soldi, e mi dico che quel che ho vissuto io non è isolato. Altri non si possono esporre come sto facendo io, perché guadagnando così tanti soldi sarebbero criticati. Come fa un Buffon, che pure ha sofferto di depressione, a dire a un autista di bus che prende 500 euro al mese che ha sofferto?”.
L’ormai ex calciatore delle due difficoltà mentre giocava ha parlato spesso solo con la moglie. “Non le confidavo nemmeno ai miei genitori, per anni ho tenuto tutto dentro. Esperienza dopo esperienza, sto capendo che finchè non vivi le cose in prima persona non potrai mai capire le situazioni”. Alcuni anni, confessa, sono stati migliori di altri, e l’altalenarsi di periodi più felici l’hanno fatto desistere dal lasciare.”Ero come intrappolato”.
Mai, però, ha pensato di aver sprecato gli anni passati nel calcio, nemmeno quando la malattia è tornata. “Ho avuto paura, come tutti, ma essa era legata al timore di non poter vedere crescere mia figlia, che ha dieci mesi”. Fulvio Sulmoni, fortunatamente, sta molto meglio e ha capito che parlare di una malattia o di una sofferenza non è una debolezza. “La società non sempre è d’accordo, eppure ho compreso che chi mostra le sue fragilità sono le persone più forti”.
Dal calcio vuole disintossicarsi, per qualche anno, “poi chissà, forse riuscirò a ravvicinarmi”. Per lui comincerà una nuova vita, in banca. Sa che il libro farà discutere, “ben vengano le critiche, costruttive ed educate, che servono a crescere ancora”.
“Piacere di averti conosciuto” è disponibile nelle librerie sarà presentato in due serate pubbliche, il 7 (data esaurita) e il 9 ottobre, alla sala Aragonite di Manno. Causa Covid, è necessaria la prenotazione a presentazionelibrosulmoni@gmail.com I proventi del libro andranno a Emo Vere, fondata da Paola Morniroli Sulmoni, psicoterapeuta e impegnata a favore dei bambini e dei loro cari che si trovano a dover affrontare un momento difficile della loro vita.
Paola Bernasconi