QUARTO POTERE
Tutto il Pelli del mondo: "Timbal, Rete Due, Teleticino e Radio3i, la pandemia: ecco cosa penso"
Intervista al direttore delle emittenti di Melide: "Quando mio figlio Nino non è stato bene ho scoperto la più grande paura di un genitore. E mi sono sentito completamente nudo"

di Andrea Leoni

MELIDE - Ogni anno, sotto Natale, ci troviamo nel suo ufficio negli studi di Radio3i. E chiacchieriamo a ruota libera di lavoro, di attualità e della vita. Un'oretta in cui parliamo dell'anno che è stato e dell'anno che verrà. Quasi come fosse un "punto" della situazione.  Alcune cose restano tra noi, altre ci piace condividerle, come se fossero messaggi in bottiglia da gettare nel mare del prossimo futuro. Queste interviste nascono così, profonde e sincere, ma da scrivere in fretta, come una canzone di Vasco, perché poi le parole svaniscono e non si ricordano più. 

Matteo, cominciamo da un nome: Mario Timbal.
“Penso sinceramente che la CORSI abbia fatto una scelta giusta. Io ho grande stima di Mario Timbal, con il quale peraltro sono cresciuto. C’è stato addirittura un momento in cui si pensava che i fratelli Pelli fossero tre, perché eravamo sempre insieme. Da piccoli andavamo a sciare insieme al Motto di Dalpe e, anche crescendo, abbiamo fatto un sacco di vacanze insieme. Poi ci siamo un po’ persi di vista, anche perché i suoi impegni professionali lo hanno portato lontano. Ma tra noi è sempre rimasto questo legame fraterno. Però non voglio parlare di Mario da un punto di vista umano, ma professionale. È una persona che nella sua carriera ha osato, ha saputo cambiare, conosce le lingue, e si è sempre messo in gioco. E penso che, anche per la RSI, di cui sono stato un dipendente per 15 anni, sia giusto puntare su un giovane che non abbia già un “colore aziendale” ma che possa portare il proprio “colore da esterno”, oltre all’entusiasmo di cui secondo me Comano ha bisogno”.

Melide e Comano - TeleTicino e la RSI - saranno più vicine dopo questa nomina?
“Penso proprio di sì. Devo dire che già nell’ultimo anno, per via della situazione pandemica, con Maurizio (Canetta, ndr.) abbiamo avuto molti contatti e anche scambi di favori, quando è stato necessario. E penso che delle aziende di comunicazione traggano solo dei benefici dal saper dialogare e dall’avere delle cose che una fa e l’altra no. Con l’arrivo di Mario immagino avremo dei rapporti ancora migliori”.

Anche Matteo Pelli e Comano saranno più vicini?
“No, non cambia il mio punto di vista. Io ho fatto una scelta professionale e di vita. Lavoro per un Gruppo che mi ha sempre coccolato, che mi lascia carta bianca e in cui ci vogliamo bene. Ho un ottimo rapporto con tutti. Abbiamo finalmente creato la radio e la tele come ci piacciono. E secondo te mollo proprio adesso…?”

Neppure se Mario Timbal dovesse puntare sulla vostra antica amicizia?
“No. Resto qui e felice di restare”

Restiamo a Comano. Da qualche settimana è in atto un accesso dibattito sul futuro di Rete Due. Che idea ti sei fatto? Da che parte stai?
“Penso che Rete Due vada difesa in pieno. Certamente va riorganizzata, ma quando tu hai la possibilità di avere un budget come quello della RSI, una chicca come Rete Due te la puoi permettere”.

Non ti convince la riduzione del parlato?
“In una radio se togli il parlato, togli l’anima. Togli quello che te la fa scegliere. Sarebbe un peccato perdere un servizio di questo genere anche se, lo ripeto, è senz’altro possibile fare Rete Due in un modo diverso”

In effetti tu sei un patito degli ascolti. Quindi è corretto cercare di cambiare, facendo crescere il pubblico, anche per una rete culturale?
“Non c'è dubbio, gli ascolti devono sempre essere un obbiettivo. Ed è sbagliato pensare che la cultura non debba essere popolare. Se uno vuole essere elitario, la prima conseguenza è che taglia fuori tutti gli altri. I miei figli, ad esempio, sfogliano libri musicati di Classica e la amano moltissimo. Quella è cultura? È cultura pop? È un libricino? Non lo so….Quello che so è che quella musica gli rimarrà dentro e sicuramente andranno a cercarla quando cresceranno. Non esiste il fatto di sentirsi elitari. Di parlare in modo difficile. Di citare artisti che hanno fatto tre mostre nel 1712 in Svezia, per far sentire gli altri cretini. Però esiste una parte di cultura che deve essere condivisa con tutti e che fa crescere tutti”.

Però sembra anche esserci una corrente di pensiero che afferma, con malcelato snobbismo, “meno siamo, più siamo fighi”, “meno ascoltatori ci sono, più valore culturale ha quello che si trasmette”
“Chi pensa in questo modo, pensa una cazzata!”

Anche perché la cultura, soprattutto quando è alta, sa essere estremamente popolare. Penso a Mozart, al Festival di Locarno…
“Ma certo, pensiamo anche a Piccasso. Voglio farti un esempio che è capitato a mio figlio all’asilo di Breganzona e che è piuttosto calzante nel discorso che stiamo facendo. Leo ha una maestra molto brava che gli ha parlato di Keith Haring, che come sappiamo ha una storia complessa, difficile, è morto di AIDS…ma lui è stato un’artista straordinario, che era contro le gallerie d’arte perché ogni volta che poteva disegnava su un muro, un cappellino, uno skateboard, una t-shirt…. Oggetti che oggi valgono milioni. E quello che ha fatto Keith Haring è arte, è arte per tutti. E se lo impari all’asilo ti accompagnerà per la vita Ed è stupendo che mio figlio di 4 anni torni a casa e mi dica che ha conosciuto uno che si chiama Keith Halling…”.

Abbiamo iniziato da un nuovo direttore. Parliamo dell’altro dir. fresco di nomina, tuo fratello Paride, che dall’inizio dell’anno guiderà il Corriere del Ticino.
“Sono molto contento per lui. Ricordo i suoi primi articoli sportivi quando aveva 18-19 anni…è una bella storia anche questa. Ho molta stima di mio fratello. Penso che abbia le basi, la voglia e l’energia giusta  per realizzare fino in fondo questo progetto”.

E cosa dici delle critiche? Della famiglia Pelli che colonizza i vertici del gruppo del CdT?
“Comprensibili. È normale. Quando hai due fratelli, molto uniti come lo siamo noi, seppure con due percorsi professionali assai diversi, che sono direttori di un giornale, una radio e una tele all’interno dello stesso Gruppo, è naturale che arrivino determinate critiche. Ed è proprio questo il momento in cui bisogna dimostrare. E possibilmente dimostrare anche un pochino di più”.

Devono parlare i risultati, insomma.
“I risultati devono sempre parlare, ma nel nostro caso lo dovranno fare un po’ di più. In questo Cantone quando porti un nome conosciuto, i frutti del tuo lavoro devono essere ancora migliori delle aspettative, se vuoi essere credibile. Ancora oggi c’è gente che dice di me che sono un figlio di papà, che sono qui perché mi chiamo Pelli, non considerando che la radio ha triplicato gli ascolti e che la tele li ha raddoppiati, grazie al lavoro di tutta la squadra che ho il privilegio di dirigere. Però lo accetto. Fa parte del gioco. Una volta mi mangiavo il fegato. Oggi me ne frego”.

Con i due Pelli alla testa del gruppo CdT, aumenteranno ancora di più le sinergie tra Muzzano e Melide?
“Le sinergie aiutano in tutto. Per noi che siamo una televisione d’informazione, il fatto di avere molti bravi giornalisti al Corriere che possono intervenire nelle nostre trasmissioni, è un valore importante che aiuta la nostra azienda a utilizzare al meglio le forze. Questo è un progetto che la proprietà ci ha sempre chiesto e sul quale il nostro CEO Alessandro Colombi punta molto. E quindi, sì, le sinergie saranno ancora più strette”.

A settembre TeleTicino ha lanciato la sua rivoluzione, con un nuovo studio e un nuovo palinsesto. Ti chiedo un primo bilancio.
“Buono e non mi riferisco solo agli ascolti. Questa nuova impostazione ci permette di stare attenti sui costi del personale, di valorizzare tutte le persone che gravitano attorno all’universo di Melide e soprattutto di puntare su quello che ci chiede l’Ufficio federale della comunicazione: una tv regionale che parli del Paese, del territorio e che possa informare. Abbiamo la grande fortuna di avere Sacha Dalcol, che insieme a una redazione che mi piace da morire, fanno delle cose egregie. In questa prima parte di stagione abbiamo fatto tanti test, tante prove, che per il momento ci rendono felici”. 

Cose da correggere?
“Vedo sempre cose da correggere. Infatti se analizzi i nostri ultimi cinque anni, abbiamo cambiato in continuazione. Anche perché questo è un po’ il nostro modo di essere. Se non vedi nulla da correggere, è un problema. Una volta il direttore di un grande albergo mi ha detto: i primi due o tre anni vedi tutto, guardi i dettagli, poi quando cominci a non farlo più, e magari la tenda macchiata è lì da due o tre mesi, capisci che è il momento di chiederti se sei ancora nel posto giusto e con le motivazioni giuste. Io le macchie continuo a vederle tutti i giorni. Ma per le correzioni ne riparliamo a settembre”.

La pandemia ha portato a tutti i media grandi indici e anche TeleTicino e Radio3i hanno fatto ascolti che prima sembravano impossibili.
“In effetti è così. Per una televisione come la nostra fare il 2,2% sulle 24 ore è una cosa incredibile, considerato che produciamo due ore e mezza di contenuti al giorno, che in parte si intrecciano con la programmazione della radio. La pandemia è stato sicuramente un fattore. In molti ci hanno scoperti e si sono affezionati e anche dopo la prima ondata - quando abbiamo stravolto il palinsesto cominciando con l’informazione alle 18.00 sia su TeleTicino che su Radio3i - sono rimasti con noi. Quindi gli ascolti sono decisamente in crescita. Un po’ per merito nostro e un po’ no, bisogna essere onesti. Il merito maggiore è stato quello della redazione radiotelevisiva che non ha mai mollato un colpo e questo mi rende particolarmente orgoglioso. Inoltre ha funzionato alla grande anche il mix con Radio3i e i suoi speaker”.

A proposito di Radio3i. Quali novità in arrivo?
“Stiamo lavorando sul nuovo studio e stiamo cercando di tenere sempre alta la creatività dei nostri speaker. Ma al di là di quel che faremo nei prossimi mesi, c’è un dato che mi rende felicissimo. La radio ha ottenuto i suoi risultati migliori di sempre, senza che io facessi neppure un minuto di conduzione. E come direttore è veramente la soddisfazione più grande”.

La pandemia ha cancellato tutti gli eventi speciali che avevi previsto in palinsesto per il 2020, quali pensi di proporre per il 2021?
“In effetti la pandemia ci ha fatto progettare tanto e buttare via altrettanto, o almeno rimettere nel cassetto. È un po’ frustrante ma ci sono cose ben peggiori. Ma tornando alla domanda. Innanzitutto faremo il Capodanno, la sera del 31, in diretta su Radio3i e Teleticino. Sarà una grande festa che partirà alle 21.00 con una prima parte, circa 40 minuti, dedicata alla musica popolare per i nostri anziani. E poi partirà una discoteca viaggiante in cui ci saranno 1’000 persone collegate via Zoom che balleranno insieme a noi per cancellare idealmente questo terribile 2020 e tuffarci con entusiasmo nel 2021. Condurrò io la serata. Inoltre vorrei riproporre “Sotto a chi tocca” per le elezioni comunali, però questo dipenderà dall’evolversi della situazione. Infine abbiamo un grosso progetto radiotelevisivo in agenda sul finire dell’estate”.

Di cosa si tratta?
“Devi farti un po’ più i cavoli tuoi. Se no poi Timbal magari mi ruba l'idea… (ride)”.

Veniamo alla pandemia. La prima ondata ce la siamo lasciata alle spalle e siamo nel pieno della seconda. Quali considerazioni, d’istinto, ti vengono da fare su quanto stiamo vivendo?
“La cosa che più mi dispiace è che se durante la prima ondata ero convinto che questo virus avrebbe lasciato un segno indelebile in tutti noi sull’importanza della comunità e sui suoi valori fondanti, e cito su tutti la solidarietà, la seconda ondata sta sgretolando questa convinzione proponendomene una esattamente opposta. Percepisco molta rabbia, aggressività, individualismo e questo mi lascia molto perplesso. Se la prima ondata ha mostrato il meglio di noi, la seconda sta mostrando il peggio”.

A me turba molto l’indifferenza con cui ogni giorno contiamo i morti.
“È impressionante. Pauroso. Disarmante. Perché dimostra che ci si abitua a tutto. In molte famiglie ticinesi sarà un Natale dove mancheranno posti a tavola e soprattutto dove mancheranno le radici. Non ci saranno i racconti del nonno o il piatto cucinato dalla nonna, secondo tradizione famigliare. A casa nostra ad esempio la nonna preparava l’insalata russa. Questa cosa per me è devastante. Ed è devastante sentire discorsi del tipo: e vabbé, tanto erano anziani. Certo, ma se a 75 anni sei anziano e potevi vivere fino a 90? Non è che sei anziano tu, è un pirla chi pensa che tanto in fondo eri vecchio. Perché a 75 anni, se ci va bene, ci arriveremo tutti e ci sentiremo molto giovani. Io lo vedo con mio papà, ha 75 anni, ed è giovanile al massimo. È sul pezzo alla grande. Twitta, mi manda le immagini su WhatsApp, mi consiglia le serie di Netflix. È anziano? Per me no. Forse per il virus e per i bollettini sanitari sì, ma per me non lo è. Anzi”.

In questa seconda ondata ad essere travolta sembra anche la politica svizzera..
“Io mi aspettavo che la Svizzera dimostrasse di essere un Paese ricco, quando conta. Io mi aspettavo che la Svizzera dicesse: sì, cari ristoratori;, sì cari teatranti; sì cari commercianti…fateci vedere il vostro fatturato e ve ne riconosceremo una parte importante. Un calcolo facile. Io capisco che c’è chi se ne approfitta, ma nella vita i furbi ci sono sempre. Però c’è soprattuto un sacco di brava gente che da una vita si fa il mazzo. Queste persone vanno aiutate. Punto e stop. Chiudiamo tutto? Sì, dobbiamo farlo. Ma paghiamo chi è costretto a chiudere. Facciamo vedere di essere un Paese dove si pagano le tasse anche perché quando capita una pandemia - e per fortuna capita ogni cent’anni - la nostra nazione è forte e presente. Cosa che peraltro è successa durante la prima ondata”.

E anche la politica ticinese sembra incapace di reagire agli eventi.
“Credo che questa seconda ondata sia stata talmente lunga e violenta, da aver sorpreso molti governanti del nostro e degli altri Paesi. Ci si aspettava di più, sì. Ci si aspetta sempre di più. Anche se, devo ammettere, non è facile fare il politico in questo periodo”.

Vorrei concludere con qualche domanda famigliare. Quest’anno è nato Nino, il tuo terzo figlio.
“È stato un momento molto bello e particolare la nascita di Nino. Quando è venuto alla luce, infatti, si poteva stare all’ospedale solo un’ora e mia moglie dopo un giorno è tornata a casa. Poi abbiamo anche traslocato. Ogni tanto siamo stanchi morti e in quei momenti non siamo certo una famiglia da copertina. Ma l’arrivo di Nino è stata una gioia per tutti noi in un anno molto complicato”.

È un figlio dell’anno della pandemia.
“Sì e porta il nome di un nostro amico che avrebbe voluto vedere il piccolino, ma non ce l’ha fatta. Quindi anche dal punto di vista simbolico è un bambino nato in un momento difficile che però ha portato un sorriso nella nostra vita”.

Qual è la prima cosa che gli racconterai di questo 2020, quando sarà in grado di capire?
“Gli dirò che è nato nel 2021…(ride, ndr.)”.

In questo 2020 hai imparato anche una nuova paura, la più grande per ogni genitore.
“Sì, il piccolino ha avuto una bronchite che gli ha provocato continui problemi respiratori. Sono state e sono ancora settimane di poco sonno e di grande preoccupazione. È vero quel che dici: è una paura disarmante.  Poi su quella roba lì sono debolissimo. Io, in generale, sono un tipo abbastanza duro nelle decisioni, nel modo di fare. E invece mi sono scoperto un pappa molle incredibile. Ho la fortuna di avere una moglie strepitosa. Ma in questa situazione mi sono sentito nudo, proprio completamente nudo. Quando Nino era in clinica con mia moglie, ho dovuto gestire gli altri figli, spiegargli le cose, cercare di organizzare delle giornate speciali, perché sono molto legati tra fratelli, soprattutto la piccola Luce chiedeva sempre del fratellino. Questo mi ha fatto capire quanto in alcuni momenti sei nelle mani degli altri e quanto aspetti che arrivi una telefonata. E poi pensi a quelle persone che hanno delle situazioni molto più gravi, non risolvibili, e ce ne sono tante. E  ti senti ancora più vicino a loro”.

Seppur in modo quasi impercettibile, questa paura ha inciso sul tuo umore. Io almeno l’ho percepito. Dal Matteo sempre solare, energico ed entusiasta, ogni tanto appariva una sfumatura diversa, più scura, ansiosa.
“È vero, ma poi è accaduto tutto in un anno dove le preoccupazioni si sono sommate. Prima a livello aziendale, poi sul piano umano e personale. Da marzo via, non solo per me, le ansie sono state continue. Infatti incontro solo gente stanca. Ma è una stanchezza mentale perché fisicamente abbiamo fatto meno degli anni scorsi. Mentalmente, però, siamo tutti ko. E questo mi ha fatto un po’ sentire su un materassino e non su una barca, in mezzo al mare in tempesta”. 

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