BAR SPORT
Il peso delle decisioni, la ricerca del coraggio e una straordinaria dannazione
Un addio che fa discutere. Il tecnico ha chiesto di essere valutato per il suo lavoro e non per il suo stato di salute, ma...

*Di Riccardo Vassalli

Il calcio è vita o la vita è il calcio? Probabilmente, Sinisa Mihajlovic non sa rispondere a questa domanda. Semplicemente per il fatto che il serbo non ha mai voluto distinguere le due sfere. Croce e delizia. Perché la vita “vera” non è il calcio, ma è anche vero che non si può dare ragione a chi lo etichetta come “solo uno sport”. Il calcio può essere – ed è – scuola di vita. E la vita, a sua volta, è un po’ come la scuola calcio: impari, sbagli, cadi, ti rialzi e inciampi ancora.

Sinisa Mihajlovic incarnava fino a qualche anno fa l’animo rude e freddo di un uomo capace di dividere le masse per simpatia, antipatia e fede calcistica. Su due cose, però, nessuno ha avuto mai da ridire: il sinistro ‘magico’ e la sua coerenza di idee e valori che ha sempre decantato. Roba rara, nella vita e in un mondo del calcio che non smette di piegare la schiena dinnanzi a dinamiche chiare, ma di cui nessuno ha il coraggio di pronunciarsi.

Ma se leggete questo articolo, Sinisa Mihajlovic non necessita di presentazioni. L’allenatore serbo è stato da poche ore esonerato dalla carica di allenatore del Bologna. Quel Bologna che ha saputo stringersi intorno a lui nel momento della malattia, il periodo sicuramente più buio e faticoso di un uomo che del buio e della fatica non ha mai avuto paura o timore.

Ha affrontato di petto la leucemia, Sinisa. Ha indossato l’elmetto e – tra alti e bassi – ha finora messo al tappeto anche qualcosa più forte di lui. Ha allenato dall’ospedale, è andato in panchina contro il parere dei medici, ma soprattutto ha chiesto di essere valutato per il suo lavoro e non per il suo stato di saluto. Insomma, Mihajlovic voleva fare solo l’allenatore. Malato, ma l’allenatore. E martedì è arrivato un esonero che ha suscitato ondate di critiche e polemiche e che ha diviso in due l’opinione pubblica. Il Bologna è stato accusato di scarsa sensibilità e mancanza di umanità.

E se è vero che i risultati non hanno giovato al tecnico serbo, è anche vero che il cambio di rotta è legittimato dallo scarso rendimento dei rossoblù. Se va criticato il Bologna, va criticato per aver licenziato un allenatore, non un allenatore malato. In virtù anche di una rosa indebolita rispetto alla scorsa stagione.

Scrive bene Gramellini quando nel suo articolo dice “A un uomo con il suo carattere non si manca di rispetto mandandolo via nonostante sia malato, ma rinunciando a mandarlo via soltanto perché è malato”.

Mihajlovic e il Bologna, in questi due anni, hanno scritto una bella pagina di sport e di vita. Ma era proprio la straordinarietà la dannazione di questa vicenda. Chiusa con modi e tempi sbagliati, ma chiusa. Fine di una storia bellissima, da riporre negli scaffali dei ‘libri da rileggere’ qualora ci tornasse la voglia di chiederci 'cosa vuol dire vivere'? 

Il saluto

"Mi è capitato spesso di salutare tifosi, giocatori, società, città, per dire addio o arrivederci. Fa parte della carriera di un calciatore e di un allenatore andare via prima o poi. I cicli sportivi nascono, si sviluppano, regalano soddisfazioni, a volte delusioni e poi inevitabilmente finiscono. Nulla è eterno. Ma stavolta il sapore che mi lascia il mio voltarmi indietro un’ultima volta è più triste". Ha salutato così Sinisa Mihajlovic il suo popolo attraverso una lettera pubblicata su La Gazzetta dello Sport.

"Perché non saluto solo una tifoseria che mi ha voluto bene e appoggiato in questi tre anni e mezzo ricchi di calcio e di vita, di lacrime di gioia e di dolore, di successi, cadute e ripartenze. Saluto dei fratelli e dei concittadini. La mia avventura a Bologna non è stata solo calcio, non è stata solo sport… E’ stata un’unione di anime, un camminare insieme dentro un tunnel buio per rivedere la luce. Ho sentito la stima per l’allenatore e quella per l’uomo. Il vostro calore mi ha scaldato nei momenti più difficili. Ho cercato di ripagare tutto questo affetto con il mio totale impegno e attaccamento alla maglia: non risparmiandomi mai sul campo o da un letto di ospedale.

Tanti anni in Italia e la sofferenza vissuta mi hanno addolcito, ma non cambiato del tutto. Ho smussato qualche angolo, ma resto un serbo spesso duro, schietto, brusco: non sempre ho saputo esprimere i miei sentimenti di gratitudine. Magari non so regalare troppe parole dolci, non so lanciarmi in tanti abbracci: ma ho risposto “presente” con il mio feroce senso del dovere, non trascurando nulla del mio lavoro, svolgendo al massimo il mio ruolo, anche nelle condizioni più drammatiche, per regalare ai tifosi e al Bologna le soddisfazioni che meritano. Spero di esserci riuscito almeno in parte. Nei nostri tre anni e mezzo insieme abbiamo ottenuto un incredibile decimo posto, poi due volte un dodicesimo e infine un tredicesimo. Raggiungendo sempre, nonostante tutto - e sapete bene cosa è stato quel “tutto” -, una salvezza tranquilla: provando a fare un calcio propositivo e offensivo, lanciando giovani e permettendo al club di guadagnare molto col mercato in uscita, come dimostrano le ultime sessioni. Potevo fare ancora meglio? Forse. Ho dato tutto me stesso? Sì, senza il minimo dubbio. E questo mi permette di guardare tutti a testa alta e non rimproverarmi nulla.

Se ci sono riuscito però è anche merito di voi tifosi e di tutta Bologna. Non dimenticherò mai le vostre processioni al santuario di San Luca per me, gli incoraggiamenti, i “forza Sinisa non mollare” quando mi incontravate per strada, a Casteldebole, allo stadio. E la mia emozione quando ho ricevuto la cittadinanza onoraria sentendomi un bolognese tra i bolognesi.

Non sono mai stato un ipocrita, non lo sarò neanche stavolta: non capisco questo esonero. Lo accetto, come un professionista deve fare, ma ritenevo la situazione assolutamente sotto controllo e migliorabile. La società non era del mio stesso avviso. Siamo appena alla quinta giornata, faccio fatica a pensare che tutto questo dipenda solo dagli ultimi risultati o dalla classifica e non sia una decisione covata da più tempo. Peccato. Ci tengo però a dire, che le mie condizioni di salute sono buone e in costante miglioramento. Io non mi sto più curando, sto solo facendo controlli sempre più saltuari. Ho seguito a Casteldebole tutti gli allenamenti in queste settimane: l’unico mio temporaneo impedimento è quello di non poter espormi per troppe ore a un sole forte. Ma non sono mancato un giorno. Nulla mi impedisce di lavorare e di andare in panchina. Non è questo il momento per analisi calcistiche sull’ultimo periodo, sul mercato, sulla gestione di alcune situazioni che non mi hanno trovato d’accordo. Ora, nel ricordare tanti momenti unici e indimenticabile, voglio solo dire grazie.

Grazie agli appassionati tifosi del Bologna. Alla società, con qualche mia lecita esclusione. Al presidente Saputo che mi ha permesso di lavorare qui per tre anni e mezzo, dimostrandomi a lungo fiducia. Ai vecchi dirigenti di questi anni, da Claudio Fenucci a Walter Sabatini a Riccardo Bigon, che mi sono sempre stati vicini, in campo e fuori. Al settore medico, della comunicazione e a tutte le componenti che lavorano per il Bologna ogni giorno con amore e passione. Al mio staff, che mi ha sempre supportato. Ai miei giocatori che in queste stagioni non si sono mai tirati indietro: spero di averli migliorati e fatti crescere. Hanno sopportato i miei rimproveri, a volte duri, e mi hanno dimostrato in più occasioni, commovendomi, di volermi bene come io ne ho voluto sinceramente tanto ad ognuno di loro.

Ringrazio infine l’ospedale Sant’Orsola, una delle eccellenze di questa meravigliosa città e cito, per tutti, la dottoressa Francesca Bonifazi.

Auguro al Bologna e a tutti i tifosi i migliori successi sportivi: al mio successore lascio un gruppo sano, una cultura del lavoro e, credo, dei valori importanti condivisi con questo ambiente.

Ci rivedremo, spero presto, sul campo. Qualunque maglia vestirò, non sarò mai un avversario, ma sempre uno di Voi".

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