In questa fase è più importante porsi domande piuttosto che affrettarsi nel darsi risposte che siano allarmistiche o consolatorie
di Andrea Leoni
Stendiamo un velo sulla conferenza stampa di ieri sera e andiamo oltre. Questa mattina la polizia federale ha fornito alcuni aggiornamenti, ancora molto parziali, sull’autrice dell’accoltellamento avvenuto ieri alla Manor di Lugano.
La 28enne si era innamorata di uno jihadista e aveva tentato di raggiungerlo in Siria senza successo. La ragazza era stata infatti arrestata sul confine turco ed era stata rispedita in patria e, per questo motivo, nel 2017, era finita nel radar della nostra intelligence (e probabilmente non solo della nostra). All’epoca dei fatti soffriva di problemi psichici a causa dei quali, al rientro in Svizzera, era stata collocata in un istituto psichiatrico. Da allora non è più rientrata in indagini riguardanti il terrorismo.
Questo è quanto, al momento. Ed è francamente troppo poco per giungere a conclusioni anche solo provvisorie. Sono tante le domande ancora aperte e le ipotesi in filigrana che s’intrecciano mettendo in controluce la vicenda o cercando d’incastonarla nel mosaico di quanto avvenuto in Svizzera e in Europa negli ultimi due mesi. Occorrono altri elementi per formarsi un'idea più precisa. Elementi che solo l’indagine di polizia potrà fornire.
Le due tifoserie che si sono formate nelle ultime ore, tra chi abbraccia acriticamente la tesi del lucido e premeditato attacco in nome di Allah o chi si è innamorato della teoria della pazza col coltello che non c’entra nulla con l’islamismo radicale, non hanno al momento ragione di esistere.
Se non accettiamo di dover fare i conti con la complessità di un’inchiesta appena cominciata e di un fenomeno ampio e sfaccettato come quella del fanatismo islamico e dell’Islam politico, non potremo che giungere a conclusioni inconsistenti, buone (alla peggio) per montarci su qualche slogan.
Perché in realtà le notizie divulgate dalla Fedpol dicono tutto e niente. Siamo nel campo degli indizi, dei sospetti, dei puntini su un foglio bianco che non si sa se potranno essere congiunti. Vediamo perché.
Il fatto che la 28enne sia stata radicalizzata per amore non è affatto anormale o insolito. C’è chi sposa una causa per indottrinamento religioso, chi per convinzione, chi per amicizia, chi per rabbia, chi per solitudine, chi per povertà, chi per dare un senso alla sua vita. Talvolta, di fronte alle stragi abominevoli del terrorismo islamico, cadiamo nell’errore di pensare che gli autori siano dei mostri venuti da un altro pianeta. In realtà sono uomini e donne, che spesso ci somigliano più di quanto crediamo.
La notizia che la ragazza abbia cercato di raggiungere la Siria suggerisce che la radicalizzazione abbia avuto successo. Il fatto che la ragazza soffrisse di problemi psichici e al suo rientro in Patria sia stata internata, è condizione mentale e prassi a cui sono stati sottoposti molti altri jihadisti, alcuni effettivamente risultati pazzi, altri no. E poi di quali problemi psichici stiamo parlando: depressione? Paranoia? Schizofrenia? E si tratta di una patologia emersa nel 2017 o ve ne era già traccia negli anni precedenti? Ancora: se dovessimo applicare il metro delle malattie psichiatriche, con i parametri occidentali, a una qualunque gruppuscolo di combattenti dell’Isis, quanti risulterebbero sani di mente? Anche su questo punto occorrerà capire bene di cosa stiamo parlando, perché della storia di questa giovane donna sappiamo poco o nulla.
Riflettiamo sugli attacchi avvenuti in Europa negli ultimi anni. Abbiamo avuto cellule che hanno agito con tattiche e tecniche figlie di un addestramento militare. Abbiamo avuto lupi solitari assolutamente lucidi e consapevoli delle loro azioni. Abbiamo avuto attacchi perpetrati da attentatori con comprovati problemi psichiatrici o di tossicodipendenza. Ecco: è proprio questa complessità che rende estremamente difficoltosa la lettura e il contrasto al fanatismo islamico, così come la sua distinzione netta dal “semplice” crimine violento.
Altro spunto. È inusuale il fatto che ad agire con un coltello sia stata una donna. Se le femmine sono parte integrante della lotta jihadista, e talvolta sono presenti nelle cellule operative, l’attacco all’arma bianca commesso da una ragazza non rientra nel modus operandi classico che siamo abituati a conoscere.
Se quest’ultimo elemento potrebbe far propendere per un gesto dettato dalla follia più che dalla religione, d’altro canto non possiamo sottacere che quanto è avvenuto è spaventoso: essere accoltellati a tradimento mentre si fa la spesa in un grande magazzino, è un atto di per sé inquietante, di quelli che generano terrore, per l'appunto.
Tutto questo per dire che, in questa fase, è assai più importante porsi domande che affrettarsi nel darsi risposte che siano allarmistiche o consolatorie. Occorre spirito d’osservazione e spirito critico, in puro senso socratico, per capire cosa sia successo e cosa stia succedendo.
Quello stesso spirito d’osservazione che ci spinge a notare come quanto accaduto a Lugano, potrebbe (sottolineiamo, potrebbe) essere il terzo episodio in Svizzera collegato al terrorismo islamico in poche settimane, dopo Morges e gli arresti avvenuti a Winthertur in relazioni all’attentato di Vienna. Occorre altresì rilevare come, nel pieno di questa seconda ondata pandemica, oltre che in Austria vi siano stati gravi attacchi in Francia. Il timore fondato è che, dopo un periodo d’immersione, l’estremismo stia rialzando la testa in Europa.
Per questi motivi il presidente Macron e il Cancelliere Kurz hanno ripreso con vigore in mano il dossier e sono pronti a varare nuove, importanti, misure di contrasto al fenomeno. Forse toccherà anche alla Svizzera. L’auspicio è che si andasse in questa direzione si agisca finalmente con estrema risolutezza, ma con competenza e senza fomentare odio e rancore. Guai a noi se pensassimo di essere in guerra con l’Islam. Guai a noi se non pensassimo che la radice del terrore è nell’album di famiglia dell’Islam.