Pamini analizza i dati, giunti al decimo anno di registrazione. Si nota un miglioramento rispetto all'anno scorso, grazie all'intervento statale. In realtà il malessere è aumentato negli ultimi 10 anni, "Il PIL e la spesa funzionale crescono, ma..."
BELLINZONA - Da ormai 10 anni AreaLiberale misura, secondo alcuni criteri, quello che chiama il welfare index, ideato da Sergio Morisoli, che dovrebbe dare notizie in merito a ciò che riguarda il benessere e il malessere sociale del Cantone Ticino. I criteri presi in considerazione (alleghiamo l'analisi completa) sono 90, comprendono indici relativi ai bisognosi, alcuni che riguardano in generale tutta la popolazione, altri che prendono in considerazione i giovani, il lavoro, la delinquenza, i comportamenti e la vita familiare.
Il valore del welfare index per il 2020 è di 115.37 punti, il suo valore nel 2011 era di 100 punti. Più l’indice sale e più il malessere sociale cresce, se scende vale il contrario e il malessere sociale decresce. Sotto la soglia dei 100 punti ci si trova invece in una posizione di relativo benessere generale (si starebbe meglio).
"Nel 2019, l’ultimo anno di misurazione prima del Covid, il welfare index misurava 122.11 punti; nel 2020 misura 115.37 punti, quindi, presenta una diminuzione aritmetica di 6.74 punti; il che farebbe dire che il malessere sociale è diminuito. Ma è davvero così? No. Sembrerebbe un paradosso: l’indice di malessere scende ma si sta peggio. C’è una spiegazione. Prima di tutto occorre dire che il welfare index ci dice che stiamo del 15.4 % peggio di dieci anni fa quindi non meglio, ma peggio", spiega in un comunicato Paolo Pamini,
Che analizza: "Se da una parte la diminuzione aritmetica di 6.74 punti dell’indice per il 2020 corrisponderebbe ad una diminuzione del malessere sociale rispetto al 2019, dall’altra sappiamo che il fenomeno del Covid 19 ha inciso in modo determinate sulla realtà economica e sociale del Ticino con una portata che non si riesce a rilevare nei dati statistici del 2020. Infatti, l’intervento notevole dello Stato ha certamente modificato lo sviluppo naturale dei 90 indicatori che compongono l’indice globale. Basti pensare a due interventi massicci da parte dello Stato: l’iniezione di notevoli mezzi finanziari (nell’ordine di diversi miliardi di franchi) per i crediti aziendali e per l’indennità di lavoro ridotto che hanno inciso sicuramente in modo importante sugli indicatori dell’occupazione e del fabbisogno finanziario; come le restrizioni delle libertà attraverso il lockdown, le misure sanitarie, i controlli di polizia, la limitazione degli spostamenti e degli incontri che hanno inciso certamente sugli indicatori comportamentali e sulle devianze". Ma dato che "l’indice globale con 115.37 punti rimane superiore a quello del 2018 che era di 113.16 punti e conferma la crescita del malessere tra il 15% - 20% costante sul decennio in esame", "nemmeno il massiccio intervento dello Stato (insostenibile in tempi normali) è riuscito a cambiarne la negatività di tendenza".
I rilievi sono arrivati al decimo anno, per cui si può trarre un bilancio: "fino a prima del Covid, le cose non sono andate come avremmo voluto (o pianificato), inutile truccare la realtà. Il PIL è cresciuto del 15%, la spesa funzionale del 13%. Nonostante queste cifre importanti il malessere sociale complessivo è cresciuto enormemente (+22%). Lì sta il punto".
Restano "due grossi dilemmi, evidenziati dalla crescita negativa marcata e continua del welfare index sull’arco dell’ultimo decennio. Il primo, è quello di capire perché la vecchia equazione: crescita economica più aumento della spesa statale uguale a benessere e prosperità per tutti, non quadra più. E poi come la si può correggere ed eventualmente sostituire. Il secondo, è quello forse più difficile: riparare il mercato del lavoro locale ormai saccheggiato. Sappiamo che la miglior socialità non sono le casse statali piene di soldi da ridistribuire; bensì un mercato del lavoro sano con occasioni di lavoro adeguatamente retribuito per tutti".