CRONACA
L'atroce morte di Diana Pifferi, una tragedia figlia della brutalità e dell'indifferenza
Ci si chiede come sia potuto accadere che nessuno – né familiari, né amici, né vicini di casa – abbia fatto nulla per impedirla
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MILANO - Non ci sono parole per descrivere la crudeltà di Alessia Pifferi, la 36enne che ha abbandonato la figlia di 18 mesi nel suo bilocale di Milano, in via Parera, nel quartiere di Parco Lambro, e al suo ritorno, sei giorni dopo, l’ha trovata morta. Com’era prevedibile, com’era nella logica delle cose. Le parole del pubblico ministero che coordina l’inchiesta – è una donna pericolosa e senza scrupoli, “capace di commettere qualunque atrocità per i propri bisogni personali legati alla necessità di intrattenere a qualunque costo relazioni sentimentali con uomini” – non bastano infatti per raccontare la brutalità di questa donna spregiudicata che ora tenta di giustificarsi di fronte agli inquirenti che l’accusano di omicidio volontario aggravato. Man mano che emergono i dettagli di questa storia agghiacciante, la tesi della negligenza appare infatti assolutamente insostenibile.

Se Alessia Pifferi, che si spacciava per psicologa infantile ma non lavorava da tre anni, è completamente pazza lo dirà la perizia psichiatrica, che dovrà stabilire il suo grado di delirio e di squilibrio. Ma la sua decisione di abbandonare per una settimana la piccola Diana - in un appartamento sigillato per evitare che i vicini sentissero i pianti, senza un filo d’aria e con una temperatura di trenta gradi - lasciandole solo un biberon di latte nel lettino, per andare a trovare il suo compagno a Leffe, in provincia di Bergamo, appare per ora come un atto di omicidio premeditato.  “Sapevo che sarebbe potuto andare così”, ha ammesso la donna nel corso degli interrogatori, aggiungendo che quella bimba era un ostacolo alla sua libertà. Una libertà che ora ha perduto per sempre.

Ma, al di là della tragedia, ci si chiede come sia potuto accadere che nessuno – né familiari, né amici, né vicini di casa – abbia fatto nulla per impedirla. E a nulla servono, ora, le fiaccolate organizzate dalla gente del quartiere o i palloncini e i fiori deposti sul cancello della casa dell'orrore. Questa storia atroce è infatti circondata da una cortina di silenzio e di indifferenza. A iniziare dalla nascita di Diana, venuta alla luce prematura 18 mesi fa nel bagno della casa di Leffe. “Ho partorito la bambina da sola nel bagno dell’appartamento del mio compagno. Erano le due di pomeriggio. Appena partorito sono andata in camera da letto, ho preso il telefono e ho chiamato il mio compagno che stava lavorando al piano terra” ha dichiarato Alessia Pifferi. “Non sapevo neanche di essere incinta”, ha detto alla polizia. Ma secondo gli inquirenti sapeva della gravidanza almeno dal terzo mese.

La piccola Diana ha trascorso il suo primo mese di vita in ospedale, dove è stata nuovamente ricoverata due mesi dopo, mentre la mamma era a Montecarlo con il compagno e lei, affidata alla nonna, aveva la febbre altissima, causata da una patologia ai reni legata al parto prematuro. Diana non aveva un padre ed è stata registrata dalla madre con il suo cognome. La donna sostiene di conoscerne l’identità ma di non avergli mai detto della figlia. Diana non figurava nei registri dei servizi sociali, non compariva nelle liste d’attesa degli asili nido, non era assistita dalla Caritas di quartiere.

Un’amica di famiglia ha raccontato agli investigatori che la mamma aveva organizzato una festa per il battesimo della piccola Diana, un battesimo che però non c’è mai stato, e neppure la festa, servita soltanto per scroccare regali da amici e parenti, per raccattare un po’ di soldi e un braccialetto d’argento.

Alessia Pifferi ha detto che la piccola è sempre stata in salute, e che solo negli ultimi giorni “era meno vivace del solito”. Sostiene di averle dato delle gocce di Tachipirina. Ma il sospetto degli inquirenti è che le abbia somministrato dei tranquillanti. La risposta arriverà dall’autopsia che sarà eseguita domani. Ma i fantasiosi racconti di una bimba vivace sono smentiti dai vicini di casa che parlano di una piccola gracile, sempre costretta nel passeggino, che si muoveva a fatica, come stordita. “Quando la portava fuori — ha detto una vicina - appena Diana si agitava o voleva avvicinarsi agli altri bambini veniva ripresa in modo brusco dalla mamma. Subito si fermava, era come intimorita da lei”.

Ma nessuno ha mai segnalato la situazione di quella famiglia ai servizi sociali. La nonna pochi mesi dopo la nascita della nipotina aveva lasciato Milano e si era trasferita a Crotone dal compagno. La sorella, invece, che vive a poche centinaia di metri da via Parea, aveva pochi rapporti con lei. “Non condivideva le mie frequentazioni”, ha detto a verbale Alessia Pifferi. Una tragedia consumatasi nella più totale indifferenza.

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