Una riflessione del direttore del Federalista a partire da una felice intuizione di Benedetto XVI sul presente e il futuro di un’istituzione, data da molti per finita, eppure continua fucina di vita
di Claudio Mésoniat *
Strappate via tutte quelle lodi che in realtà coprono nostre patetiche esibizioni autobiografiche (ci si conosceva da decenni), di papa Benedetto posso dire: è stato un compagno di strada, per una vita, quello cui puoi chiedere tutto e che risponde a tutto (se sai anzitutto cercare nel mare magnum dei suoi scritti), ma rispondendo - puoi esserne altrettanto certo- ti sposterà, ti spiazzerà, aprirà squarci imprevisti e inauditi sulla realtà (non nell’iperuranio dei suoi pensieri). Mi è capitato proprio in questi giorni di riposo, con il povero paesaggio natalizio sotto gli occhi. Ecco come.
Chiese mezze vuote anche a Natale, ovunque carenza dolorosa di preti. Quando il calendario incrocia le grandi feste cristiane i media, diligenti (a volte incapaci di celare una certa soddisfazione), riaprono i cassetti con gli ultimi sondaggi e si mettono alla ricerca degli esperti da convocare al capezzale della Chiesa cattolica per analizzare, radiografare, compiangere, prescrivere rimedi. Per esempio, nei giorni scorsi era assai gettonata, nelle radio pubbliche e private, l’ormai vecchiotta lettura della secolarizzazione che indica la “religione” (nel senso delle confessioni cristiane), sempre più in crisi; ma avverte: sta crescendo la “spiritualità”. Che sarebbe una ricerca di senso della vita al di fuori di un credo professato e dichiarato (“sono cattolico, credo ai dogmi e ai precetti, vado in chiesa la domenica”).
E vai con le interviste volanti a chi flirta con improvvisati culti naturali, che possono spingersi fino ad abbozzati dialoghi e abbracci con le piante ma più spesso con i fedelissimi e affettuosi animali che, giustamente, nella stupenda creazione che ci ospita si fanno preferire per la loro “incapacità di fare il male”. Non c’è da scandalizzarsi, c’è solo da ricordare che l’uomo e soltanto lui ha il terribile potenziale di bene e di male che si cela dentro quella misteriosa dotazione che si chiama libertà. Vogliamo abolirla?
A ben guardare il paesaggio attuale di questo nostro confuso Occidente assomiglia sempre più a quella Roma imperiale del primo secolo farcita di dei e di idoli, teatro di un vertiginoso mercato del fai da te religioso-spirituale.
Un po’ peggio è lo sconforto che afferra, da dentro, il cuore dei cristiani, anche quelli non solo anagrafici: è un disastro, che si fa? Sì, perché la diagnosi dominante del tracollo di immagine è servita: scandali sessuali ad opera clero, una vera tragedia senza se e senza ma. Eppure ci fu il famoso Concilio Vaticano II, una vera festa, di testimonianza, di grande teologia, di proposte e di promesse. La primavera della Chiesa, si disse giustamente. Poi però invece dell’estate arrivò l’inverno. Solo quello? No, come vedremo subito.
Ricominciare da dodici?
Ma prima di tutto, dobbiamo provare a ragionare con un filo di memoria perché c’è qualcosa di essenziale che non ci deve sfuggire: i primi passi cristiani che già contenevano esattamente tutto il necessario li mossero, insieme a un uomo molto speciale che pretendeva di essere Dio, un gruppetto di poveri pescatori di lago. Che dopo tre anni di vita spericolata insieme a Lui rimasero in campo apparentemente soli. C’era attorno l’impero degli imperi di ogni tempo, con risorse gigantesche e sconfinati problemi, eserciti e guerre, lotte di potere, popoli già rumoreggianti ai confini. Niente, a quell’Uomo che avrebbe cambiato il mondo e la storia sembrava proprio non interessare la Grande Storia del potere e della politica. Finì malissimo, a prima vista, come sappiamo.
E non è straordinario (per il nostro moralismo) che, oltre tutto, quell’Uomo anziché attaccare e maledire i costumi dei tempi, decisamente corrotti da tutti i punti di vista, si limitò a sferzare di tanto in tanto i “puri” impostori, per solito allignati tra intellettuali e clero?
Niente marketing speciale per la sua impresa. Come ha scritto il grande Péguy, non si scompose, non maledì, “fece il cristianesimo”. E per decenni quel gruppetto di amici che si allargava lentamente -e dicevano di avere Lui sempre in mezzo a loro- visse una normalità di vita assoluta, lavoro, famiglia, riposo e un po’ di culto. In genere ben visti da tutti, anche se i potenti fecero loro scontare persecuzioni, per una strana comunanza di destino con il Fondatore.
“Restare oggi in dodici e ricominciare? Sarebbe esaltante”, mi disse una volta un caro vecchio amico.
Potrà essere così, prima o poi, ma la realtà della Chiesa oggi è un grande cantiere aperto, meraviglioso. E anche su questo dobbiamo aprire gli occhi, credenti o non credenti. Dicevamo dell’inverno postconciliare: seminari vuoti, abbandoni di vocazioni nel clero e nei grandi Ordini religiosi, sociologicamente un vero disastro, e non solo nella vecchia Europa, smarrimenti teologici grotteschi, con Marx, Freud e Nietzsche a spiegare la liberazione del Vangelo.
"Ma ecco, all’improvviso, qualcosa che nessuno aveva progettato. Ecco che lo Spirito Santo, per così dire, aveva chiesto di nuovo la parola. E in giovani uomini e in giovani donne risbocciava la fede, senza “se” né “ma”, senza sotterfugi né scappatoie, vissuta nella sua integralità come dono, come un regalo prezioso che fa vivere. Non mancarono certo di quelli che si sentirono infastiditi nei loro dibattiti intellettualistici, nei loro modelli di Chiesa del tutto diversa costruita a tavolino secondo la propria immagine. E come poteva essere altrimenti? Dove irrompe, lo Spirito Santo scombina sempre i progetti degli uomini. Ma vi erano e vi sono anche più serie difficoltà".
Sono parole di Joseph Ratzinger, allora cardinale, pronunciate il 27 maggio del 1998 all’apertura di un Convegno mondiale su “I Movimenti ecclesiali, speranza per la Chiesa e per gli uomini”. Seguirlo potrà aiutarci a stare di fronte alla realtà tutta intera di questa strana “cosa” che si chiama Chiesa. Proveremo a farlo in una prossima riflessione.
* Direttore IlFederalista.ch