Cerchiamo di capire perché i famigerati cartelli messicani e colombiani hanno fatto dell'Ecuador la loro base operativa
A cura della redazione de ilfederalista.ch
588 tonnellate di cocaina sequestrate dalle forze dell’ordine in Ecuador negli ultimi 32 mesi. Se il prezzo della cocaina, nel traffico internazionale, viaggia oggi attorno ai 40mila franchi per kg, ciò significa che ci troviamo di fronte a quasi 25 miliardi di dollari, una cifra che equivale al 20% del PIL globale del Paese latinoamericano.
Ecco perché l’Ecuador è oggi sulle prime pagine dei giornali a causa di una violenza senza freni che lo sta squassando. Se mettiamo sotto la lente questo dato, scopriamo che 530 tonnellate sono state requisite ai narcos durante la presidenza di Guillermo Lasso e 58 tonnellate nei primi due mesi di governo di Daniel Noboa.
Le ultime 22 tonnellate di polvere bianca sono state trovate due settimane fa in una fattoria di banane di Vinces, 35mila abitanti nella provincia di Los Ríos, zona del litorale dove, però, si coltivano solo caffè, cacao, banane, riso e tabacco. Per giunta, “in media le forze dell’ordine sequestrano solo il 10% delle droghe esportate illegalmente dalla criminalità”, spiega Antonio Nicaso, autore di oltre 40 libri sulla criminalità organizzata, professore alla Queen's University, in Canada e tra i massimi esperti al mondo di ‘ndrangheta e narcos.
In base alla sua stima, dunque, dal marzo 2021 oltre 5.200 tonnellate di cocaina sono uscite dall’Ecuador. Ma com’è possibile se in Ecuador non si coltiva la foglia di coca? La spiegazione è semplice: essa vi entra dalla Colombia (confine nord) e dal Perù (confine sud-est), i due principali produttori al mondo. Poi dalla zona del litorale, soprattutto dal principale porto ecuadoriano, Guayaquil, ma anche da quelli di Manta ed Esmeraldas, gli stupefacenti solcano l’Oceano Pacifico per dirigersi in Europa (via Panama e altri Paesi Centro americani e caraibici) e negli Stati Uniti, via Messico.
Un presidente che arrischia la pelle
Da due anni l’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine segnala l’Ecuador come il principale hub di partenza della droga nel mondo, ma solo l'8 agosto dello scorso anno, quando il candidato presidenziale Fernando Villavicencio fu assassinato 10 giorni prima delle elezioni presidenziali, il mondo iniziò a capire che a Quito c’era un problema di violenza narcos simile a quello della Colombia ai tempi di Pablo Escobar.
Non bastasse l’omicidio di Villavicencio, lo scorso dicembre è deflagrato Metastasis, il maxi-processo che indaga sulla narco politica e la narco giustizia in Ecuador, che sta evidenziando le infiltrazioni dei cartelli transnazionali ai massimi livelli a Quito.
Cartelli che ora vogliono uccidere la procuratrice Diana Salazar, la quale ha nel mirino tra gli altri anche l’ex presidente Rafael Correa, latitante in Belgio. È stato dunque proprio il processo Metastasis a dare l'ultima accelerata alla guerra contro lo stato sudamericano dichiarata dai narcos.
Dopo la fuga dalla prigione di Fito, alias Adolfo Macias, il leader dei Los Choneros, gruppo associato al cartello di Sinaloa, e poi di Fabricio Colón Pico, noto come Il Selvaggio o Comandante Pico, boss dei Los Lobos, associati al cartello messicano Jalisco Nueva Generación, Noboa ha dichiarato il 9 gennaio scorso i 22 gruppi criminali narcos in guerra contro lo Stato "organizzazioni terroristiche", mandando l’esercito nelle strade e imponendo lo status di "conflitto armato interno" e il coprifuoco notturno.
L'esercito colombiano di Escobar si è trasferito qui
Ma perché L’Ecuador è stato scelto come hub dai narcos? Innanzitutto per la sua limitata estensione territoriale e l’ottima infrastruttura stradale che consente una circolazione transfrontaliera in meno di 12 ore da Colombia e Perù, Paesi produttori di coca, alla costa del Pacifico. Inoltre, il suo profilo costiero navigabile consente alle imbarcazioni di salpare da qualsiasi punto. Infine, la mancanza di un robusto controllo sui suoi spazi marittimi e aerei rende più facile per i velivoli e le navi partire dai terminal senza controlli. Solo i porti di Manta e Posorja (a 120 km da Guayaquil) hanno infatti scanner in Ecuador.
La Colombia e il Messico sono però i due Paesi cui dobbiamo guardare per comprendere l’origine dell’attuale svolta violenta nell’Ecuador. Gli accordi di pace siglati all'Avana nel 2016 tra le FARC e lo Stato colombiano hanno infatti lasciato senza lavoro migliaia di criminali, esternalizzando a livello continentale la violenza. Uomini con una vasta esperienza nel traffico di cocaina sono rimasti disoccupati e hanno iniziato a prestare servizio al soldo dei cartelli messicani.
Agli ordini dei cartelli messicani
Colombiani erano tre anni fa i killer del presidente di Haiti Jovenel Moïse, al pari dei sicari che hanno ammazzato Villavicencio. Non a caso, prima della "pax colombiana" l'Ecuador aveva un tasso di 5 omicidi ogni 100.000 abitanti, oggi salito a 50 con un incremento del 1000% in 7 anni, trasformando l’Ecuador nel Paese più violento dell’America latina.
Inoltre, a farla da padrone in America Latina sono ormai i due principali cartelli messicani, quello di Sinaloa e quello Jalisco Nueva Generación (CJNG), in guerra tra loro su scala globale. Entrambi operano senza intermediari nel principale produttore al mondo di cocaina, la Colombia.
La guerra per procura scatenata dai due cartelli messicani in Ecuador ha messo in ginocchio il piccolo Paese sudamericano e il rischio ora è che i cartelli di Sinaloa e di Jalisco spostino le loro attività nel vicino Brasile, anch’esso Paese non produttore di cocaina ma già oggi secondo maggiore hub al mondo per la droga, a cominciare dal fentanyl.