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Il Federalista
03.06.2024 - 11:050

USA-Europa, il duello tra Alfonso Tuor e Lino Terlizzi

I due giornalisti-economisti del Corriere del Ticino in un confronto a distanza a tutto campo tra PIL, settore tecnologico e debito

A cura della redazione de  ilfederalista.ch

Oggi parliamo di economia. A tema, il confronto tra Stati Uniti ed Europa, dalle statistiche sul PIL, che sembrano sancire il dominio americano ma che, smontate e rimontate secondo parametri più smaliziati, riservano sorprese, al netto divario nel campo delle tecnologie informatiche e dell’IA, all’uso del debito pubblico per finanziare la crescita. A duellare -a distanza- due economisti, Alfonso Tuor e Lino Terlizzi, entrambi ospiti fissi del Corriere del Ticino, sulle cui pagine danno a vita –sempre a distanza- a gustosi bracci di ferro su temi di grande rilevanza economica e politica, muovendo da dottrine divergenti e capaci di interpretare a volte i medesimi dati e argomenti con esiti diametralmente opposti. Da entrambi si impara, anche perché, come vedrete, i punti di contatto ci sono e spesso emergono nel corso dei nostri dialoghi.

1) La battaglia sul PIL. Quale PIL?

Cominciamo con Alfonso Tuor. Non è eccessivo parlare di “declino” del vecchio continente quando l'Europa oggi è comunque in crescita rispetto al 2008?
"Ma se si guarda sul lungo termine ci si accorge che sostanzialmente dalla grande crisi finanziaria del 2008 alla crisi dei debiti sovrani europei, l'Europa ha rallentato la crescita, cresce molto meno. Rispetto all'America, e mi baso su dati UE, la crescita è stata inferiore di circa il 40%, cioè la crescita del PIL europeo, dell'Unione Europea, è stata il 60% di quella del PIL americano. E se consideriamo che partendo dagli anni 2000 il PIL europeo era superiore a quello americano, ne concludiamo che c’è stata una perdita di competitività, o una perdita di velocità, guardiamola come si vuole".

Lino Terlizzi, lei contesta l’insistenza sul “declino europeo”. 
"Ci sono posizioni effettivamente molto diverse. Io faccio un discorso puramente di parametri di valutazione e sostengo che anzitutto per parlare di Europa, in un’ottica di un confronto con gli Stati Uniti, non si può prendere in considerazione solo l'Unione Europea, per quanto questa sia una parte indubbiamente importante. Occorre per esempio pensare a Paesi europei come il Regno Unito, un'economia che rimane comunque rilevante; la Svizzera, che non ha dimensioni grandi come Paese eppure ha un'economia rilevante; la Norvegia, che ha delle posizioni economiche significative. Eccetera, togliendo la Russia (che ha una dimensione euroasiatica più che solo europea). Sono Paesi che hanno scambi economici considerevoli con l'Unione Europea. Ecco perché se vogliamo parlare di confronto economico tra Europa e Stati Uniti, dobbiamo considerare l'Europa nel suo complesso. Se prendiamo una parte soltanto il calcolo è falsato.

Prendiamola nel suo complesso. Vediamo che comunque rispetto al 2013 la sua quota del PIL mondiale, 24%, è scesa al 21% del 2023. Gli Stati Uniti dal canto loro erano nel 2013 al 21% e sono ora al 26%. L’economia del Vecchio continente ha comunque perso peso, mentre gli Stati Uniti hanno difeso meglio la loro posizione.
"È chiaro che gli Stati Uniti hanno avuto un passo economico più veloce, sono cresciuti di più nell'ultimo decennio. Ma ciò non significa che l'Europa sia in un declino inarrestabile. Ha perso alcuni punti, non moltissimi, di quota di mercato sul PIL mondiale, ma detiene ancora posizioni ragguardevoli. C’è però un altro aspetto molto importante da considerare, cioè che vi sono diversi metodi di calcolo del Prodotto interno lordo. Posso entrare nel merito?"

Prego, se può aiutarci a dirimere la questione.
"Quello citato è il PIL cosiddetto “nominale”: ciò che è stato prodotto in ciascun Paese o area economica in un anno in termini di prodotti e di servizi. Ma per stilare una classifica bisogna trovare una moneta che sia di riferimento per tutti: si usa il dollaro americano, la moneta più diffusa a livello mondiale. Le variazioni nel cambio con il dollaro incidono in questa classifica mondiale. Negli ultimi anni (e anche un po' prima) l'Euro (Eurozona) e la sterlina britannica (per il Regno Unito) hanno tendenzialmente perso terreno sul dollaro USA, quindi i rispettivi Prodotti interni lordi hanno subito l’effetto valutario. Ecco perché gli esperti di queste classifiche si servono anche del PIL “a parità di potere d'acquisto” (PPP). La tecnica è complessa, ma comunque la sostanza è che dobbiamo considerare anche cosa un cittadino possa comprare realmente con quella cifra. In base a questa seconda classifica (secondo il PPP) le cose cambiano abbastanza, perché se sommiamo come sopra l'Unione Europea, il Regno Unito, la Svizzera, la Norvegia e altri Paesi europei, vediamo che la somma totale è superiore a quella degli Stati Uniti. Se poi prendiamo il PIL pro capite scopriamo (dati FMI e Commissione Europea) che gli Stati Uniti sono settimi, preceduti da quattro Paesi europei, e a parità di potere d'acquisto gli Stati Uniti scivolano al nono posto. Conclusione: non c'è dubbio che gli Stati Uniti siano il principale motore economico a livello mondiale, ma occhio ai paragoni".

Torniamo con Alfonso Tuor. Le obiezioni alla sua tesi sono due: la prima è che l'Europa non è l'UE, la seconda che se invece del PIL nominale facciamo capo al PIL calcolato sul potere d'acquisto salta fuori che in realtà l'Europa è andata parecchio meglio degli Stati Uniti.
"Io ho usato il PIL nominale, è vero, perché è prassi comune usare quello. Se dovessimo usare il PIL reale e a parità di potere d’acquisto, dovremmo dire che la Cina –che si suole definire la seconda economia mondiale, dopo quella degli Stati Uniti- è la prima economia del mondo. Si può usare l'uno o l'altro metodo ma sul lungo termine secondo me le cose non cambiano. D’altra parte, la ricerca dell’UE sulla quale mi sono basato incorpora anche la Gran Bretagna. Non però la Svizzera e la Norvegia –è vero-, perché non sono Paesi che come la GB erano in precedenza appartenuti all'UE. Ma aggiungo che la perdita di velocità dell'Europa è testimoniata dall'andamento del settore industriale in Europa".

2) Il settore industriale e tecnologico, spina nel fianco dell’Europa

Tuor, il settore industriale, comunque, anche in America e forse ancor di più che in Europa ha preso delle botte.
"Sì, ma la differenza con l'America è che in alcune nuove tecnologie, come per esempio quella dei semiconduttori, o quella dell'intelligenza artificiale, è molto avanti e combatte per il primato con la Cina. Mentre l'Europa da questa battaglia è completamente esclusa. Perciò se guardiamo il passato vediamo un declino, non parlerei di decadenza, ho usato sempre “declino” perché la decadenza è un processo difficile da correggere, mentre un declino lo puoi anche superare. Invece quello che deve preoccupare è che noi stiamo perdendo su quelle che sono le tecnologie del futuro".

Per significare in modo semplice la questione del ritardo sulle nuove tecnologie, basti dire che noi tutti europei abbiamo in tasca un telefono cellulare nel quale di europeo non c'è niente.
"E pensare che noi lì eravamo leader! Eravamo a un certo punto con telefonini Nokia o Ericsson. Ma faccio un altro esempio, guardiamo le tecnologie verdi, siamo indietro, sia sulle auto elettriche, sia sul solare (non si producono pannelli solari), come pure sull'eolico e così via. Possiamo dire che anche nel campo delle armi, che è purtroppo un settore dell'avvenire, l'America sta meglio di noi. E questo nonostante gli Stati Uniti abbiano seguito un processo di delocalizzazione verso i Paesi a più bassi salari, mentre paradossalmente l'Europa poteva avere un grande vantaggio, perché imbarcando i Paesi dell'est europeo includeva Paesi a bassi salari, così che la migrazione delle aziende poteva avvenire (come in parte è avvenuta) all'interno dell'Europa stessa".

Terlizzi, a cosa è dovuto ciò? Non pensa che l’Europa non sia più in grado di offrire le condizioni per grandi progetti innovativi?
"Io non credo che sia tanto questione di mancanza di condizioni. Certamente, nel paragone, gli Stati Uniti hanno un quadro economico e di attività delle imprese che ha molti elementi di forza rispetto all'Europa. Non è che bisogna dire che l'Europa vada bene su tutto. Quello che sostengo è che non è vero che vada male su tutto. Mi spiego meglio. Se parliamo di settori, l'Information Technology, e adesso anche l'intelligenza artificiale, lì chiaramente l'Europa non ha una posizione di forza, non c'è dubbio, è rimasta indietro. Ma per esempio nella chimica e nella farmaceutica l'Europa non è un nano. Novartis e Roche, come possiamo ignorarli? Poi vogliamo parlare della chimica e della farmaceutica tedesca? Nel settore dei veicoli, certo che la Cina sta crescendo, però parliamo della Cina, non degli Stati Uniti; e non è che l'industria automobilistica non conti più nulla in Europa. Semmai l'industria automobilistica americana ha avuto problemi persino maggiori di quelli europei. Vogliamo parlare di tessile, abbigliamento e moda? I più grandi gruppi sono europei. Quindi attenzione a dare per spacciato il vecchio continente". 

3) Il debito come doping

Tuor, c’è un fatto che anche lei ha riconosciuto, e cioè che gli Stati Uniti hanno rilanciato la loro reindustrializzazione facendo leva sul debito pubblico. E questa, di usare il debito per finanziare la crescita, non è forse una debolezza? Oltre tutto il debito pubblico europeo in rapporto al PIL è nettamente inferiore (ora all’82% su PIL, mentre quello USA è al 123%)
"Ma anche l’Europa lo sta facendo, solo che sussidia principalmente e disorganicamente chi viene da fuori: prima veniva vietato, ma ora sta succedendo che per esempio la Germania dà i sussidi alla Tesla che fa le auto elettriche, dà i sussidi ad aziende asiatiche che fanno le batterie e via dicendo. La Francia fa la stessa cosa. Il fatto è che l'Europa è sparpagliata e non ha un meccanismo di debito comune (l’unico esempio è stato il PNRR), non riesce a istituire un'emissione debitoria per tutto il continente. Ma gli Stati che hanno un po' di soldi, come la Germania, ma anche Stati che sono già indebitati alla grande come la Francia che però si preoccupa del debito".

Terlizzi, Washington negli ultimi decenni è ricorsa quasi ininterrottamente alla spesa statale a debito: non si potrebbe dire che buona parte del vantaggio in termini di PIL guadagnato dagli USA dopo il 2008 sia dovuto a ciò?
"Non c'è dubbio che parte della crescita economica degli Stati Uniti, deriva dalla forza autentica del sistema economico statunitense, ma parte di questa crescita e del passo più veloce nei confronti dell'Europa deriva da un indebitamento pubblico che è salito molto. Il ricorso alla spesa a debito è senza dubbio uno dei modi per far crescere l'economia, però a corto termine. L'indebitamento pubblico ha dei riflessi sulla crescita economica nel lungo periodo, perché le risorse che vengono destinate a pagare gli interessi sul debito pubblico vengono di fatto sottratte all’economia. Gli Stati Uniti potrebbero ritrovarsi in futuro in una situazione in cui i mercati gli chiederanno interessi maggiorati per acquistare i loro titoli pubblici. L'Unione Europea, anche se ce lo scordiamo spesso, non è uno Stato unico, è un insieme di 27 Stati e quindi non ha chiaramente la stessa compattezza, la stessa coesione, la stessa capacità decisionale degli Stati Uniti. È già un successo che non vada in frantumi ma proceda, seppur lentamente. Aggiungo, se permettete, che gli stessi che dicono che l'Europa si trova in un declino inarrestabile, avevano profetizzato che l'Europa sarebbe stata certamente in recessione l'anno scorso e quest'anno, cosa che non sta avvenendo". 

Aldilà del ricorso al debito, cosa ne pensa invece Terlizzi di questa ripresa che gli USA affidano a un mix di protezionismo e sussidi tecnologici? 
"Bisogna stare attenti, secondo me, a distinguere i giusti, utili, corretti incentivi allo sviluppo di attività in alcuni settori, dall’introduzione di meccanismi protezionistici. Se la direzione imboccata sono sistemi chiusi in cui ognuno finanzia le sue attività e erige barriere contro le attività di altre aree, alla lunga ci rimetteremo tutti, perché in questo modo alla lunga si interferisce con le regole -diciamo naturali- del mercato, azzoppando la crescita per tutti, nel mondo. Inoltre il protezionismo tende a incrementare i prezzi e quindi l'inflazione". 

Cosa ne pensa Tuor: il debito pubblico sono i piedi d’argilla dell’impero americano?
"D’accordo. Ma stiamo bene attenti. Perché c'è questa tensione internazionale? Proprio perché il debito pubblico americano, diversamente da quello europeo, è finanziato da noi. Nel momento in cui noi usiamo il dollaro, per comprare petrolio, per comprare qualsiasi cosa, noi di fatto stiamo finanziando il debito pubblico americano. E se c'è rischio di guerra, oggi, è perché la Cina mette in discussione questo primato. E se il dollaro perdesse questa funzione di moneta di scambio internazionale (se insomma si calcolasse con il dollaro che si trasforma in Euro, che si trasforma in Franco-Svizzero, ecc.) il potere d'acquisto della popolazione americana diminuisce del 20-30%. Perché dovrebbero alzare in modo enorme i loro tassi di interesse per attirare i capitali esteri. La cosa non è all'orizzonte per il momento. Ma nei sottofondi qualcosa si muove".

Quindi Tuor, rimane un fattore di forza, non di debolezza?
"Secondo me è un punto di forza, salvo che la questione delle sanzioni economiche internazionali lo sta mettendo in crisi. E usando eccessivamente le sanzioni sta diventando un punto di debolezza. Perché i Governi dei Paesi in via di sviluppo, dei Paesi poveri dicono: “Perché noi dobbiamo stare a questo gioco e restare per così dire incastrati dentro questo meccanismo che danneggia le nostre economie".

 

 




 

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