Il Federalista racconta attraverso le voci di alcuni protagonisti l'importanza di questa iniziativa in favore delle persone bisognose
Redazione Il Federalista
“Il giorno della Colletta Alimentare…” è il verso d’attacco della canzone Loena de picch (Luna di picche), del cantautore laghée Davide Van de Sfroos, noto e apprezzato in tutta la Svizzera italiana. Il brano racconta di un amore mai dichiarato ma mai dimenticato tra un ragazzo e una ragazza dello stesso paese che si incontrano dopo lungo tempo la sera di quel “giorno della colletta”. Uno dei tanti giorni dell’anno, ma che in realtà assumerà per loro un che di unico ed eccezionale, in quanto teatro di una ventata inaspettata di speranza, di bellezza, di carità (nel senso forte della parola).
Qualcosa di simile, in qualche modo, a quanto emerge dalle testimonianze di alcuni tra i 350 volontari che hanno partecipato sabato 16 novembre all’ottava edizione della “Giornata della colletta alimentare” in Ticino. Anche qui, a ben guardare, emerge la storia di un desiderio spesso sottaciuto ma che accomuna tutti gli uomini, e che a un certo punto ha l’occasione di emergere in tutta la sua forza: nel caso della “colletta” –ci fa capire chi ne è reduce- il bisogno di scoprire la bellezza del vivere non per noi stessi, ma per gli altri.
In cosa consiste la colletta alimentare? Un sabato l’anno, nel mese di novembre, in diverse località del Cantone volontari dalle più disparate provenienze dedicano qualche ora del proprio tempo a intercettare, davanti ai grandi magazzini, la gente che si reca a fare spesa, invitandola a farla anche per le oltre tremila persone che in Ticino faticano, come si suol dire, a far quadrare i conti a fine mese. Come? Comprando, oltre alle proprie provviste, anche alcuni articoli a lunga scadenza consegnandoli agli improvvisati mendicanti… per procura.
La “Colletta” è un’iniziativa organizzata - con il sostegno della Divisione Socialità della Città di Lugano - dall’Associazione “Amici della colletta alimentare” in 11 filiali Migros della Svizzera italiana (Locarno-Mercato, Giubiasco, S. Antonino, Taverne, Agno, Radio-Besso, Lugano Centro, Pregassona, Molino Nuovo, Crocifisso-Savosa e Mendrisio-Campagna Adorna) in favore di quella che in Ticino è ormai una consolidata e notissima istituzione: il Tavolino Magico.
I beneficiari ne saranno persone e famiglie sostenute durante tutto l’anno da Tavolino Magico, che si dedica quotidianamente, in accordo con i supermercati, alla distribuzione di alimenti (in genere prossimi alla scadenza) a chi si trova nel bisogno. Evitando da un lato lo spreco alimentare e dall’altro compiendo un importante gesto di assistenza sociale. Se tuttavia non mancano mai i beni “freschi”, per quelli “secchi”, o a lunga durata, è tutt’altra storia.
Ecco perché la giornata della colletta alimentare ha un ruolo importante: permette di raccogliere una parte consistente (quest’anno 19,5 tonnellate) di pasta, riso, farine, carne e tonno in scatola, pelati, legumi secchi, latte UHT, succhi di frutta, cereali e cioccolato per la colazione, caffè, marmellate e miele, biscotti, ma anche prodotti per l’igiene personale.
Cerchiamo dunque di capire cosa di tanto “eccezionale” possa avvenire in una giornata come questa dove, all’apparenza, di apparentemente eccezionale non accade nulla. Lo facciamo con Jacopo Laffranchini, responsabile della giornata. Per incominciare, cosa spinge ogni anno oltre 300 persone a compiere questo gesto?
“Io constato che la situazione di bisogno interroga qualsiasi uomo e in un qualche modo lo obbliga a chiedersi quale sia il suo vero bisogno, quello più essenziale della vita. Di fronte al bisogno esplode nell’uomo quella domanda che ognuno ha, ma che ognuno è anche tentato di reprimere: che senso ha la mia giornata? Il mio tempo? E, per finire, la mia vita?”, ci racconta Laffranchini. “E penso che ognuno a questa domanda di senso una risposta prima o poi se la debba dare, perché credo che in ognuno esiste la necessità di una risposta”.
“Durante questa giornata”, ci spiega, “chi ha partecipato come volontario nel corso degli anni si è accorto che quella della colletta alimentare è un’esperienza in cui la risposta a questa domanda di senso in un qualche modo emerge”. E approfondisce: “Donando qualche ora della propria giornata, essenzialmente, a ‘mendicare’ cibo per altri, capita che in qualche modo ci si renda conto che il segreto del condividere non è il condividere stesso (che è solo come uno strumento, un metodo) ma è l’esperienza della gratuità”.
Chiediamo a Jacopo di farci capire meglio. “Quando uno si sorprende veramente gratuito, si scopre felice. Questa è l’esperienza che faccio io e che fanno -perché poi ce lo raccontiamo- molti dei volontari che partecipano. Essere gratuiti non è nella logica del mondo, ma quando si scopre di poterlo essere, il senso della vita esplode, ci si accorge che c'è qualcosa di originario in noi da cui nasce l’esigenza della gratuità. Perché per fare l’esperienza di dare gratuitamente, occorre innanzitutto fare l’esperienza di ricevere gratuitamente. E per ricevere gratuitamente occorre che ci sia un altro (o Altro) da cui il dono gratuito proviene”.
Quindi, ragioniamo, partecipate a questa giornata perché vi fa sentire bene? “Non è solo questo”, rilancia Laffranchini, “perché quando uno già vive un’esperienza di un amore a sé, tanto più nasce in lui una tensione verso chi ha bisogno. Il vero gesto di carità, nasce da un amore che uno sperimenta su di sé e che, una volta sperimentatolo, desidera comunicare a tutti. Quindi direi che sono due i piani: vivere un’esperienza di gratuità, e sentire la necessità di comunicare in qualche modo agli altri questa esperienza”.
Una dinamica, quella raccontata da Jacopo Laffranchini che trova conferma nelle parole di Gianni, uno dei tanti volontari che hanno preso parte alla giornata: “La colletta è un’occasione data a me, ogni anno, per la mia crescita. Mi aiuta a ricordarmi quanto sia centrale la dimensione della carità per la nostra vita. Esiste questo gesto annuale che educa a questa dimensione, e io sento il bisogno di approfittarne per lasciarmi educare”, ci racconta. E aggiunge: “Se lo riconosco come un gesto educativo per me stesso, penso lo possa essere anche per i miei amici e colleghi, tanto che quest’anno ho deciso di invitarne sei o sette”.
La carità è un’esperienza che crea legami inaspettati, nella carità ci si riscopre, per usare una parola solitamente riservata alle prediche in chiesa, “fratelli”. Un episodio tra quelli raccolti, sembra autorizzarne l’uso, fuori da ogni facile retorica.
“Ho fermato una signora anziana”, ci racconta Gianni, “che mi ha lasciato venti franchi perché facessi io la spesa da donare al suo posto. Si è poi accorta di non avere abbastanza spiccioli per bersi un caffè. Le ho proposto di offrirglielo ma mi ha risposto che non c’era bisogno, andava bene così. Mi ha ricordato il passaggio evangelico in cui si parla della vedova che nel tesoro del tempio, ‘nella sua povertà, ha messo tutto quello che aveva’. Ho osato dirglielo. Si è commossa, mi ha guardato negli occhi e mi ha detto che nessuno le aveva mai detto una cosa così. Fatta la spesa è tornata e mi ha regalato un cioccolatino”. E conclude: “Eravamo degli sconosciuti fino a poco tempo prima, e pure ci siamo abbracciati salutandoci”.
Anche Jacopo ci racconta incontri simili: “Una cassiera, per esempio, ci ha detto che l'anno prossimo vuole partecipare anche lei, a dimostrazione che la gratuità è contagiosa. Una dirigente, invece, si è fermata a parlare con noi ben oltre l’orario di chiusura. E nel chiacchierare sono nate domande personali sulle nostre famiglie, sul perché fossimo lì e su cosa ci spingesse a farlo. Spontaneamente ci ha poi raccontato molto della sua vita. Non capita spesso, tra persone che si sono conosciute cinque minuti prima”.
Jacopo vuole aggiungere ancora un dettaglio: “Ho anche notato che scontrandoti con il bisogno materiale, ti rendi conto che è diverso da quello che avevi in testa, quasi fosse sempre segno di un bisogno più profondo. Una costatazione che mi ha obbligato a ripensare a cosa io abbia davvero bisogno”.
E ci porta un esempio: “Mentre io pensavo che il bisogno delle persone che aiutiamo con la colletta sia il cibo, è arrivata una signora e ha donato tre rossetti. Sono rimasto spiazzato. Mi ha fatto capire che se fossi io a dover rispondere totalmente al bisogno degli altri sarei carente. Ma non è questo il punto. Non è importante quanto io sia bravo a fare la carità. Ma che io mi metta a disposizione per viverla, affinché possano viverla anche gli altri”.
Forse aveva ragione Van de Sfroos, quando in quella canzone cantava: “Lo stesso palo che sorregge i pomodori, lo abbiamo in pancia ma non lo diremo mai”.