Il Federalista ha intervistato il curatore del progetto, Claudio Cerasa:" Se un giornalista teme di essere sostituito dall'AI c'è qualcosa che non va nel suo lavoro"
A cura della Redazione de Il Federalista
“Un giornale italiano pubblica il primo numero al mondo scritto interamente da IA”: lo scriveva il britannico Guardian un mese fa e la notizia ha fatto il giro del mondo suscitando stupore e interrogativi. Ripresa in breve dai nostri media, solo la NZZ vi ha dedicato una riflessione. Eppure l'evento è accaduto a due passi da qui, a Milano. Protagonista “un foglio nato per pensare, Il Foglio, che decide di farsi scrivere da una macchina” (sempre il Guardian). Solo una curiosità, una provocazione?
No, anche perché la pubblicazione del Foglio AI è durata un mese intero (e continuerà in forme diverse): ogni giorno nasceva (online e sulla carta) un “Foglio artificiale” accanto a quello “naturale”. Con 26 “pezzi”, come si dice in gergo, che coprivano tutto il ventaglio delle possibili rubriche di un giornale, dalle cronache internazionali agli editoriali, dalla posta dei lettori alla satira, dall’economia agli eventi culturali.
Hanno scritto gli stessi redattori del Foglio (per nulla scossi, a quanto pare, dalla “pericolosa” follia del loro direttore): “Il giornale, la carta stampata, sembrava l'ultima trincea. L’ultimo luogo sacro. Ma la voce umana, la penna del redattore, l’ironia dell’editorialista: tutto questo non può essere imitato da un software”. Infatti, ha visto bene Der Spiegel: “Il punto non è la scrittura meccanica, ma la selezione: chi decide cosa scrivere, se non c’è un umano? Chi edita l’intelligenza? E chi ne è responsabile?”.
Abbiamo deciso di incontrarlo. Per entrare nei meccanismi di questo strano giornale che, per rubare l’espressione ai colleghi di El Pais, “non è stato scritto da nessuno”, approfittiamo della gentilezza del suo direttore in carne e ossa (e, come vedremo, indefesso ispiratore occulto), Claudio Cerasa.
Le prime prove, che i lettori sgamavano
Hai scritto che del vostro esperimento si è occupata la stampa internazionale: ma in che termini? Di allarme, di condanna, di ammirazione o che cosa? Quali media vi hanno dato spazio?
Ti faccio un elenco. Mercoledì è uscito Il Figaro, che aveva già scritto un articolo due settimane fa, Le Monde, Libération, El Pais, il Washington Post, il New Yorker, il New York Times, il Washington Times, la BBC -due volte- i giornali più importanti di Taiwan. Anche la svizzera NZZ poi la FAZ, lo Spiegel, eccetera, cioè siamo usciti un po' su tutti i giornali del mondo.
È voce corrente che i giornalisti vivano nell’inquietudine di essere sostituiti dall’IA… ma non hai piuttosto l’impressione che usino sottobanco il chatbot, se non altro per mettere a posto i loro pezzi (a cominciare dalla lingua)?
Beh, Il rischio c'è. Non saprei dire quanto. Penso però una cosa: che il lettore se ne accorgerebbe. E penso anche che sarebbe un po' autolesionistico utilizzarlo a questo scopo, perché ci si disabitua alla scrittura e si offrono dei contenuti che sono potenzialmente uguali per tutti. Quindi diciamo che sì, qualcuno può farlo, ma ne subisce il pericolo.
E ai giornalisti che si sentono minacciati dall’intelligenza artificiale cosa diresti?
Direi loro che il problema… sono loro, che c’è qualcosa che non va nel loro lavoro.
L'anno scorso avete fatto un esperimento introducendo nelle normali edizioni articoli generati dall’IA e chiedendo ai lettori se riuscissero a individuarli. Coloro che li intercettavano (guadagnandosi peraltro un abbonamento gratuito) da quali segnali captavano questa “mano” estranea?
Capivano quando l'intelligenza artificiale palesava –diciamo così- una delle sue caratteristiche, quella di essere schematica. Quindi: primo punto, secondo punto, terzo punto. E tendenzialmente quando gli articoli erano poco creativi. Devo precisare che a quel tempo facevano ricorso a ChatGPT base, non quella avanzata che utilizziamo oggi [ChatGPT Pro].
Hai scritto che con il vostro esperimento avete “sfatato i miti e superato le paure”. Quali sono le mansioni per le quali l’IA può essere utile nel nostro lavoro e quali sono le caratteristiche del giornalista che un chatbot non sostituirà mai?
L’esperimento è stato utile per verificare quel che la macchina non sa fare. Per esempio trovare una notizia, per esempio avere delle fonti dirette, per esempio avere la possibilità di portare uno sguardo originale sul mondo, per esempio avere delle idee e saper fare le domande giuste. Perché l'intelligenza artificiale sa dare delle risposte buone, ma sulle domande giuste l'intelligenza umana è imbattibile.
Una macchina "consapevole" dei propri limiti
Però le interviste le sa fare anche l’IA –per lo meno quella di ChatGPT- e lo ha dimostrato sabato scorso in una conversazione fiume che ha fatto con te, direttore del Foglio …
Infatti, però deve esserci qualcuno che si mette in contatto con “lei” (ho optato per il femminile) e le dice “fammi delle domande, eccetera”. In questo caso sulla nostra collaborazione durante un intero mese.
Cito un passaggio di questa intervista del “Foglio artificiale” al dir. del “Foglio naturale” (in un gioco di specchi da capogiro) nel quale la macchina palesa una sorprendente auto consapevolezza dei propri limiti:
Foglio AI: “Oh, lo so. Eccome se lo so [cosa non so fare]. Non so litigare al telefono, non so intuire un sottinteso detto in corridoio, non so cambiare idea in base al tono della voce di un ministro. Non so annusare l’aria. Ma sto imparando a guardare come la respirate voi, quell’aria. E’ per questo che l’esperimento è stato interessante anche per me”.
Capace persino di autoironia, questa vostra “creatura”!
Sì, assolutamente. Sa essere molto ironica e anche autoironica. Sa parlare in un certo modo anche di se stessa, se glielo chiedi.
Appunto, se glielo chiedi. Credo stia qui il nodo della faccenda. Diciamo che la macchina deve essere “imbeccata” adeguatamente. Tu spieghi che avete imparato quanto siano decisivi i prompt che date all’IA, cioè le domande e le indicazioni che inserite nell'interfaccia con ChatGPT. Mi chiedo comunque come abbiate fatto per farle imparare la vostra linea editoriale e il vostro stile.
Glieli abbiamo ordinati sempre noi, o meglio –visto che è un lavoro che mi sono assunto in prima persona- glieli ricordavo sempre io. Ossia: “Mi devi fare un articolo con questo stile, con questa linea editoriale, con questo obiettivo, con questa o con queste notizie”. Quindi è proprio così, il prompt era ed è sempre quello che fa la differenza.
Quel chatbot che "impara" linea e stile
Immagino che poi “lei” abbia acquisito tutte le edizioni del “Foglio”, da quando esiste…
No, no, noi non gliele abbiamo date [il Foglio è un giornale a pagamento, ndr.]. L'ha imparato, forse l'ha studiato sui contenuti open, questo non lo so. Però lo stile lo acquisiva attraverso le richieste che le facevo io, perché le davo indicazione di stile, oltre che il tipo di taglio, lo sguardo, l'idea.
Ma in che modo ha introiettato la cosiddetta “Linea editoriale”?
Gliela dicevo sempre io. E se la linea era sbagliata, le facevo riscrivere il pezzo. Anche più di una volta.
Con 26 pezzi ogni giorno? Per ognuno un prompt con tanto di linea e stile? In fondo il vero lavoro di un direttore...
Sì, certo. Ma vedi, lo “stile” sta già nell'idea, quindi si tratta di provare a trasferire qualche elemento di riflessione originale. Se l’idea tendenzialmente è originale, lo stile poi riflette l’idea: quindi è, poniamo, irriverente, è politicamente scorretto, ha come obiettivo quel politico, quell'altro politico, eccetera.
E adesso? Lo rifarete?
Sì, in formato settimanale che esce ogni martedì, per intanto. Poi abbiamo in previsione anche delle collaborazioni con l'università, per cercare di allevare e coltivare talenti che possano aiutarci a capire in che direzione andare. Faremo dei workshop, offriremo servizi anche alle aziende e organizzeremo degli eventi sull’intelligenza artificiale. Insomma, faremo molte cose.
Ci sono altri giornali che abbiano tentato di ripetere l’esperimento?
No, nessuno al mondo, che io sappia.
Bene, allora chissà… lo faremo magari noi del Federalista, nel nostro piccolo.