POLITICA E POTERE
"Rimborsopoli": Pontiggia contro tutti! Il direttore del Corriere all'attacco del Gran Consiglio ("I deputati non si documentano") e di John Noseda ("Ha fatto interrogare i ministri come si fa con i criminali complici: non esce bene da questa farsa"). E p
Fabio Pontiggia dedica oggi un lungo editoriale al caso “Rimborsopoli”. E già il titolo del commento pubblicato in prima pagina sul quotidiano, “La farsa sui rimborsi governativi”, annuncia i fendenti severi che il direttore dispenserà nel pezzo.....
© Ti-Press/Carlo Reguzzi
di Marco Bazzi

Fabio Pontiggia dedica oggi un lungo editoriale al caso “Rimborsopoli”. E già il titolo del commento pubblicato in prima pagina sul Corriere del Ticino, “La farsa sui rimborsi governativi”, annuncia i fendenti severi che il direttore del quotidiano dispenserà nel pezzo.

 

Nel mirino di Pontiggia finiscono i deputati, il procuratore generale John Noseda e anche, seppur di striscio, la stampa, noi di Liberatv in particolare, per aver coniato il termine “Rimborsopoli”. Ma andiamo con ordine.

 

Scrive il direttore del Corriere del Ticino: “Le inadempienze del Parlamento sono oramai sotto gli occhi di tutti. I deputati, fin dalla primavera dell’anno 2000, erano compiutamente informati su come il Governo avesse codificato in un regolamento (del 17 maggio 1999) ciò che in passato veniva fatto sulla base di regole non scritte. Di più: si viene ora a sapere che perlomeno dal 2011 la Commissione della gestione ha ricevuto, ogni anno, due volte all’anno, le osservazioni del Controllo cantonale delle finanze anche su questi aspetti dell’attività governativa con implicazioni finanziarie. Nulla ha obiettato, nulla ha eccepito. Salvo fare ora la voce grossa a rimorchio del polverone sollevato dal deputato del Movimento per il socialismo Matteo Pronzini. (…). È davvero sconcertante dover constatare come chi rappresenta i cittadini contribuenti nel Parlamento cantonale, con il compito anche di controllare l’attività del Governo, non si documenti e non legga i dossier o, se li legge, lo faccia distrattamente, né si curi – prima di fare proclami ai quattro venti – di andare a scartabellare almeno i verbali delle sedute per sapere cosa sia stato discusso e deciso in passato”.

 

Insomma, secondo il Corriere, carte alla mano, tutti sapevano (Consiglio di Stato e Gran Consiglio) e tutto era in regola. Una tesi questa esposta ieri anche dal Governo che, nella sua presa di posizione arrivata dopo un lungo silenzio, ha da un lato richiamato il Parlamento alle proprie responsabilità e dall’altro ha ribadito la legalità con cui i rimborsi sono stati percepiti.

 

L’Esecutivo, tuttavia, ha altresì assicurato di aver intrapreso “tutti i passi necessari per fare chiarezza sia sulle procedure adottate in passato sia sui diritti a rimborsi e indennità che la Legge attribuisce al Governo e al Cancelliere dello Stato, affinché simili situazioni non abbiano a ripetersi in futuro. L’intento è anche di assicurare, di fronte alla cittadinanza e al Parlamento, la necessaria trasparenza su questioni che hanno un impatto diretto sulla fiducia nelle istituzioni e la loro reputazione”. Se il Consiglio di Stato è preoccupato che simili situazioni non si ripetano, pena la credibilità delle istituzioni, vien da credere che a Palazzo delle Orsoline si pensi quantomeno che la vicenda dei rimborsi rappresenti un enorme pasticcio.

 

E in effetti questo pensiero non è affatto campato in aria. Giorno dopo giorno diventa infatti sempre più difficile districarsi in questo ginepraio di informazioni e di documentazione. Il primo decreto di abbandono firmato da John Noseda - redatto dopo aver interrogato ministri in carica ed ex, oltre al già Cancelliere Giampiero Gianella - evidenziava tutta una serie di strafalcioni amministrativi e di richiami rimasti inascoltati da parte del Controllo cantonale delle finanze. Scriveva il PG: “ ”È senz’altro discutibile (dal profilo della diligenza) che il Governo approvi delle norme (relative alla propria remunerazione) senza leggerle, approfondirle, discuterle e senza controllare il successivo rispetto delle procedure di approvazione previste dalla legge, limitandosi a demandare il compito al cancelliere”.

 

E proprio Noseda è il secondo bersaglio dell’editoriale di Pontiggia: “Bisogna dire, molto a malincuore, che nemmeno il procuratore generale John Noseda esce bene da questa farsa. Aprire d’ufficio un procedimento penale, chiuderlo dopo pochi giorni con un decreto d’abbandono, riaprirlo improvvisamente sulla base di documenti prima non ricevuti, convocare addirittura in Procura tre consiglieri di Stato, farli interrogare da procuratori diversi (come si fa con criminali complici), decidere di non sentire più il quarto dopo le spiegazioni date dai primi tre, e probabilmente richiudere l’incarto con un nuovo decreto d’abbandono, non è un gran bel vedere per le nostre istituzioni”.

 

A seguito di tutta questa bufera politica e giudiziaria, il direttore del CdT mostra preoccupazione per “l’impatto devastante” che il caso ha prodotto nell’opinione pubblica (“Sulle reti sociali dilaga il disfattismo anti-istituzionale”). E a questo punto Pontiggia ci chiama in causa: “La stampa (sì, anche la nostra categoria ha le sue corresponsabilità) si scandalizza (usando il termine «rimborsopoli») per qualcosa che è quanto di più normale ci sia nell’attività di un qualsiasi ente e di una qualsiasi azienda: il rimborso delle spese sostenute da chi sta al vertice (e non solo) nello svolgimento della sua carica o funzione”.

 

Naturalmente ogni termine con cui si etichetta una vicenda è opinabile, può piacere oppure no. Del resto anche quando il Corriere definì “infiltrato di UNIA” un testimone dello scandalo Argo, in molti gridarono allo scandalo. Ma queste sono questioni di lana caprina che non ci appassionano. Ognuno la pensi come meglio crede secondo la propria sensibilità personale.

 

Più interessante, invece, è la discussione di merito. A nostro avviso “non è la cosa più normale che ci sia”, una parte dei rimborsi (non tutti) di cui godono i membri del Governo. In particolare noi abbiamo contestato il regalo fino a 10’000 franchi (esentasse), che spetta ad ogni ministro al termine del suo mandato, indipendentemente dalla durata. Un premio che non trova giustificazione alcuna. Sull’opportunità di questo presente dorato Pontiggia non scrive nulla.

 

Il direttore del Corriere, invece, difende l’altro privilegio che a noi non piace: le due mensilità pagate ai Consiglieri di Stato una volta terminato il mandato. “C’è chi lamenta quale vergogna politica il fatto che i consiglieri di Stato siano pagati con ben due mensilità (maggio e giugno) dopo la conclusione della loro carriera. Ma accidenti: due mesi di stipendio sono il minimo sottosindacale stabilito dal Codice delle obbligazioni per qualsiasi lavoratore”.

 

I Consiglieri di Stato ricevono questa indennità per il passaggio di consegne al nuovo arrivato (mentre gli altri lavoratori percepiscono le mensilità per chiudere il loro rapporto professionale, cioè lavorando, scontati eventuali giorni di vacanza non consumati). Ora, a meno che i ministri svolgano, a tempo pieno, questa funzione una volta lasciata la carica, non si capisce bene per quale motivo debbano essere retribuiti, a 20’000 franchi al mese, per assolvere questo compito di galanteria istituzionale.

 

Tutto questo senza dimenticarsi che non è ancora stato risolto il problema delle pensioni d’oro. O per meglio dire dello scandaloso vitalizio percepito per decenni dai Consiglieri di Stato, senza versare un franco. In un’intervista che ci rilasciò Manuele Bertoli, da sempre schierato per una revisione dei questo benefit, definì “di largo privilegio” il sistema previdenziale dei ministri. E sempre in quell’intervista parlò così dei rimborsi forfettari di cui godono i membri del Governo: “Si tratta di un pezzo di salario mascherato e che semplicemente andrebbe inserito nello stipendio ufficiale. A me sono sempre piaciute le buste paghe semplici”. Sulla stessa linea vi era anche il compianto Consigliere leghista Michele Barra.

 

E questo è esattamente il punto: tutti questi rimborsi non sono altro che pezzetti di salario occulti. Se si volesse fare un discorso serio, si chiederebbe semplicemente l’aumento della paga, senza sotterfugi. Il Gran Consiglio, ed eventualmente il Paese, sarebbero poi chiamati ad avallare o meno lo scatto salariale.

 

In questo discorso rientrano anche i famosi 300 franchi per le spese telefoniche (di cui Bertoli, per quanto gli riguarda, ha chiesto la sospensione dopo che è scoppiata la bufera di “Rimborsopoli”). Non è una questione di soldi ma di trasparenza: tutti sappiamo che, oggi come oggi, è impossibile spendere quella cifra mensilmente al telefono. E allora la si chiami con il proprio nome, se la si vuole mantenere.

 

Si tratta di retaggi del passato, che una volta passavano in carrozza e oggi non più, perché colpiscono l’immaginario dell’opinione pubblica, a torto o a ragione. L’esempio più lampante, in questo senso, riguarda la possibilità per i ministri di farsi pulire e sistemare l’auto privata presso l’Officina dello Stato. Un altro privilegio ottocentesco.

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