POLITICA E POTERE
Filippo Lombardi: "Svizzera-UE, il Consiglio federale dica al popolo qual è il prezzo da pagare. Ma giocare ai Tarzan sfidando l'Europa non ha senso"
Il senatore: "Purtroppo non si può dire semplicisticamente che la nostra sovranità non ha prezzo e che va fieramente difesa senza compromessi. La verità è che possiamo certo difenderla, ma pagando un prezzo"
TiPress/Benedetto Galli

di Filippo Lombardi * (opinione pubblicata sul Corriere del Ticino)

 

Bene ha fatto venerdì il Consiglio Federale a prendersi una settimana di tempo prima di rispondere alla Commissione Europea sulla proposta finale di Accordo quadro al termine dei negoziati fra le parti. Che il risultato non corrisponda esattamente al mandato negoziale che il CF aveva dato ai suoi diplomatici (approvato dalle Commissioni esteri delle due Camere) non deve sorprendere. Ma non corrisponde neppure al mandato che la Commissione Europea aveva dato ai suoi, com’è inevitabile in qualsiasi negoziato. Altrimenti, se ambo le parti non potessero scostarsi di un millimetro dai mandati ricevuti, tutti i negoziati si interromperebbero già al primo incontro!

Quello che i negoziatori portano a casa al termine della fase tecnica delle trattative deve poi essere valutato politicamente dai rispettivi mandanti. Per la Svizzera, dal Consiglio Federale, che deve decidere se “parafare” o meno il documento, passo preliminare che conclude la fase tecnica, prima della firma che costituisce il vero e proprio atto politico, a sua volta sottoposto a ratifica parlamentare e infine popolare, per cui abbiamo ancora ben quattro tappe davanti a noi.

Nel caso dell’Accordo quadro, i cui contenuti non sono ancora di pubblico dominio, informazioni insider affermano che il successo dei nostri negoziatori potrebbe attestarsi attorno al 70% degli obbiettivi posti, il che lascia un 30% nel quale invece hanno dovuto cedere. Non un cattivo risultato, se così fosse, ma appunto la valutazione spetta ora al Governo, ed è giusto lasciargli il tempo per farla fino in fondo. Ricordando anche che la Svizzera ha comunque ottenuto molto rispetto alla famosa lettera della Commissione Barroso al Consiglio Federale del giugno 2012, che decretava perentoriamente: “la via bilaterale è morta”. Il che non ci lasciava scelta che fra l’adesione all’UE, l’adesione allo Spazio Economico (respinta dal popolo nel 1992) o ancora l’isolamento totale con tutte le penalizzazioni economiche, sociali e politiche che ne risulterebbero.

Aver salvato la via bilaterale e potuto negoziare per cinque anni l’Accordo quadro che ora è sul tavolo costituisce di per sé già un buon successo della Svizzera, lo dimentichiamo troppo facilmente!

Tuttavia la situazione per il Governo non è per niente facile: il probabile 30% di obiettivi non raggiunti riguarda principalmente le cosiddette “misure di accompagnamento alla libera circolazione delle persone”, ovvero la tutela del nostro mercato del lavoro. Ciò ha innescato la reazione dei sindacati, complice l’imprudenza di chi in Governo ne ha parlato prima con i media che con i partner sociali. Un errore recuperabile, se l’economia volesse concedere qualche compensazione ai sindacati, ma per il momento non sembra che ci si stia muovendo in questa (ragionevole) direzione. E l’avvicinarsi delle elezioni federali non aiuta di certo, rendendo il PS particolarmente sensibile alla pressione dei sindacati, il che politicamente si traduce nella verosimile alleanza UDC-PS per bloccare l’accordo quadro già a livello di Consiglio Federale, impedendo così a parlamento e popolo di pronunciarsi in merito.

Venerdì il Governo avrà dunque tre opzioni: parafare; non parafare; o ancora scrivere all’UE chiedendole più tempo per negoziare soluzioni interne e compensazioni sociali. Una riapertura del negoziato a questo punto è invece improbabile. A mio avviso il Consiglio Federale dovrebbe dire chiaramente ai cittadini quale prezzo c’è da pagare se accettiamo l’Accordo quadro (inutile illuderci: un prezzo in termini di futura sovranità c’è, specie nel campo delicato del mercato del lavoro), quale prezzo c’è da pagare se lo respingiamo, e quale prezzo pagheremmo se cercassimo di temporeggiare. “There is no free lunch”, dicono gli inglesi: ciascuna delle tre soluzioni ha un prezzo: dobbiamo dirlo chiaro al popolo, e poi decidere in conoscenza di causa.

 

Giocare ai Tarzan che si battono il petto sfidando l’UE e credendosi invincibili non serve a molto. Lo hanno appena sperimentato sulla loro pelle gli Inglesi, portando a casa (dopo due anni di negoziati, non cinque) molto meno di quanto speravano. E mettendo fra l’altro la Svizzera in posizione più difficile, non più facile. Per contro, valutare serenamente vantaggi e svantaggi dell’accordo proposto è assolutamente giustificato ed è quello che il Governo deve fare.

Sapendo che le conseguenze di un rifiuto o di un rinvio possono comprendere principalmente, ma non solo:

-        la negazione dell’equivalenza borsistica, contro la quale il CF ha preso venerdì una prima misura precauzionale, giusta ma ancora insufficiente;

-        la negazione dell’equivalenza nella protezione dei dati (molto più pericolosa per le aziende svizzere);

-        l’iscrizione della Svizzera nella lista nera dei paesi fiscalmente non cooperativi;

-        il non aggiornamento della lista degli ostacoli tecnici al commercio definita dall’accordo bilaterale in materia;

-        la degradazione negli scambi per la scienza e la ricerca (specie nel programma Horizon 2020, dove purtroppo la nostra discesa agli inferi è determinata da quella inglese).

Purtroppo non si può dire semplicisticamente che la nostra sovranità non ha prezzo e che va fieramente difesa senza compromessi. La verità è che possiamo certo difenderla, ma pagando un prezzo. L’onestà politica impone di dirlo chiaramente al popolo, che alla fine deciderà su questo “Accordo quadro” o su quello che magari, a stento, riusciremo a negoziare fra qualche anno, e che non sappiamo se sarà migliore o peggiore.

La Svizzera è stata forte nella storia quando è stata unita verso l’esterno. Oggi giunge l’ora della verità nei confronti dell’UE. Sapremo trovare una strada comune per difendere i nostri interessi, o preferiamo dividerci per interessi elettorali a corto termine?

 

* presidente della Commissione esteri del Consiglio degli Stati

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