POLITICA E POTERE
L'MPS contro Plein: "Faceva lavorare anche sette giorni su sette. Lo stipendio? 3'300 franchi tutto compreso"
Il Movimento per il Socialismo accusa l'imprenditore di aver infranto diverse leggi licenziando parecchio personale. "Ha fatto come LASA. Si afferma una moda pericolosa, il rispetto delle leggi è marginale rispetto agli interessi imprenditoriali"

BELLINZONA – Plein come LASA, Plein uno sfruttatore. Non le manda a dire l’MPS, la cui interpellanza sui licenziamenti presso la casa di moda con sede a Lugano va approdare il caso in Gran Consiglio. Il ritratto che ne esce è di quelli duri da digerire.

“Alla triste biografia dello stilista Philipp Plein, portato in Ticino dalle politiche di massicci gravi fiscali concessi alle imprese e dalla presenza di forza-lavoro qualificata pagata meno dei saldi di fine stagione, si aggiunge un nuovo capitolo”, scrivono Arigoni, Lepori e Pronzini.

I licenziamenti, tra il 27% e il 46% del personale, sono avvenuti quando aveva appena chiesto il lavoro ridotto, pratica definita illegale. “Il grande e moderno imprenditore ha pure infranto il Codice delle obbligazioni visto che la scelta di scaricare i suoi dipendenti costituisce indiscutibilmente un licenziamento collettivo”, prosegue l’MPS.

“Al personale impone tempi di lavoro allucinanti, spesso superiori alle 12 ore. Il tempo di lavoro è regolato delle esigenze di Philipp Plein, non dalla legge. Lo stilista ha un disturbo manifesto nella percezione della differenza fra il giorno e la notte: spesso il suo personale è obbligato a lavorare di notte, senza autorizzazioni e senza compensazioni. Per non parlare poi delle diverse testimonianze raccolte dai sindacati secondo le quali lo schiavista bavarese con dimora a Lugano costringeva i dipendenti a seguirlo nella sua casa di Cannes, dove lavoravano 7 giorni su 7, dettando lui i ritmi e le pause. Anche in questo frangente, nessun compenso in tempo libero e in maggiorazioni salariali…”, si legge ancora.

“E il tutto per salari che spesso non superano i 3’300 lordi mensili nel reparto design. E nei contratti figura a chiare lettere che questi mensili sono comprensivi anche degli straordinari! Quindi salari a forfait. Naturalmente, il personale non dispone neppure dell’assicurazione perdita di guadagno…”, sono le parole del Movimento per il Socialismo.

Che accusa Borradori “accorso in aiuto all’imprenditore bavarese (quando era stato pizzicato a lavorare in piena notte e senza permesso dall’Ispettorato del Lavoro) gettando acqua sul fuoco con l’obiettivo di permettere allo stilista di continuare imperterrito nella sua conduzione aziendale al di sopra delle leggi” e Rizzi, affermando che nessuno ha voluto mettere i bastoni fra le ruote all’imprenditore tedesco, dato che il Ticino aveva puntato molto sul settore della moda.

“La grave vicenda del licenziamento collettivo operato da Philipp Plein deve però fare riflettere su un altro aspetto di fondamentale importanza. Lo stilista ha agito applicando quanto fatto da altri in tempi molto recenti. Infatti, non vediamo nessuna differenza fra il comportamento di Philipp Plein e quello del Consiglio di Stato e del Municipio di Lugano, proprietari della società LASA, quando, lo scorso 10 febbraio, è stato annunciato il licenziamento collettivo di tutti i dipendenti della società che appunto gestisce lo scalo aeroportuale di Lugano-Agno, senza rispettare gli obblighi legali imposti dal Codice delle obbligazioni, infrangendo di conseguenza la legge”, ricordano i tre, che avevano inoltrato un’interpellanza ancora senza risposta.

“Non ci sembra di sbagliare se affermiamo che in questo cantone si sta affermando una moda molto pericolosa, ovvero che il rispetto delle leggi è un fatto marginale davanti agli interessi imprenditoriali. E se questa moda è benedetta dalle autorità pubbliche e politiche, il passo dalla moda kitsch di Philipp Plein e alla moda della legge della giungla sembra essere l’asse l’unico asse di sviluppo di sicuro di questo Cantone…”, concludono amaramente.

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