Lo stilista ha licenziato 61 persone dall'inizio della pandemia, dicendo che è immorale tenerle con i soldi dei contribuenti (ovvero col lavoro ridotto) quando si sa già di non avere prospettive. E OCST non ci sta e chiama l'Ispettorato del lavoro
LUGANO - "In assenza di prospettive, non licenziare è immorale. Tenere un dipendente a spese dei contribuenti, sapendo già che lo lascerò a casa una volta terminati gli aiuti? Altri lo fanno. Io non ho voluto". Parole di Philipp Plein, rilasciate ieri a tio.ch, che hanno scatenato un pandemonio.
I suoi dipendenti sono passati a 79, dai 140 che erano prima della pandemia. Alcuno licenziamenti erano avvenuti appena ottenuto il lavoro ridotto.
I sindacati non hanno assolutamente gradito le sue parole. Giangiorgio Gargantini di UNIA aveva fatto notare come la misura del lavoro ridotto serva a preservare gli impieghi. È immorale, piuttosto, chiedere un aiuto sapendo già che si licenzierà”.
Ci si è chiesti se i licenziamenti siano avvenuti a scaglioni o tutti assieme, superando dunque il limite del licenziamento collettivo. A quel punto ci sarebbero state delle regole da rispettare.
Oggi OCST è andato oltre, segnalando all’Ispettorato del Lavoro quanto successo. “Proprio perché lo stilista tedesco dice di amare il contesto in cui lavora è importante che le regole valide per migliaia di imprenditori valgano anche per lui. Plein afferma che è immorale non licenziare quando non c’è certezza nel futuro e questa è una dichiarazione inaccettabile: è come dire che è immorale curare una persona gravemente malata”, ha dichiarato Paolo Coppi. Una riorganizzazione che tocca quasi il 50% dei dipendenti fa infatti pensare.
Come dichiarato al Corriere del Ticino, ci si chiede perché Plein debba essere sempre di sopra delle regole. “Spero di sbagliarmi e che l’Ispettorato ci dica che sono stati intrapresi tutti i passi corretti”, ha aggiunto Coppi. Toccherà ora all’ufficio competente stabilirlo.