Il capogruppo dell'UDC ci scrive e spiega il pacchetto di iniziative per riformare l'istruzione obbligatoria in Ticino
di Sergio Morisoli*
La scuola ticinese dell’obbligo va finalmente riformata (è da almeno 10 anni che ce lo diciamo), è l’oggetto di cinque iniziative con tanto di decreti legislativi che abbiamo depositato negli scorsi giorni. Non siamo esperti disciplinari, per questo le nostre proposte mirano a cambiare alcune “condizioni quadro” affinché la scuola possa essere messa nelle migliori condizioni per svolgere il suo ruolo in modo più efficiente, efficace e con una rinnovata passione. In sintesi vogliamo che: il docente sia il fulcro dell'istruzione e dell'educazione scolastica, i genitori siano attivi nella vita dell’Istituto e rappresentati negli organi dirigenziali; ci siano un’organizzazione sussidiaria e più autonoma e nuovi ruoli che riequilibrino competenze e responsabilità tra chi produce la scuola (istituti) e chi la dirige (dipartimento); livelli e differenziazione nuovi cioè che la situazione odierna sia cambiata; siano fissate nella legge le definizioni e le finalità per una riforma realista e pluralista.
È ovvio a tutti che la scuola debba istruire, trasmettere conoscenze e competenze nelle diverse materie, è il suo “core business”. Ma la scuola ha anche un compito più largo, quello di educare (da non confondere con il sostituirsi ai genitori). E qui sta il punto. Una riforma scolastica, dell’istruzione, in senso stretto: materie, griglie orarie, organizzazione, pedagogia, ecc.. ha senso e ha buone probabilità di successo se e solo se tende ad un obiettivo educativo esplicitato. Senza individuare l’obiettivo educativo necessario ai giovani e quindi al Paese (la domanda), la risposta tecnica e burocratica scolastica (l’offerta) fallisce, o meglio: una vale l’altra. È difficilissimo individuare un programma di materie, o di metodi pedagogici, che garantiscano il successo oggi e domani; ci muoviamo nel calcolo delle probabilità siccome ciò che sembra eccezionale oggi, il progresso lo fa vecchio già dopo domani. Allora vale la pena concentrare il punto di arrivo della riforma scolastica su quattro pilastri (una sorta di Weltanschauung), che indipendentemente dalle mode, dai tempi e dai mega trend che ci sorpassano, saranno quei “quattro chiodi fissi in parete” che ci impediranno di cadere. Tra l’altro questi quattro punti, sono quelli che nell’opinione pubblica, dopo la presentazione dei cinque decreti, seppur scritti solo sinteticamente, sono stati percepiti con maggior curiosità. Vogliamo approfondirli qui di seguito.
EDUCARE A COMPETERE: dare il massimo di sé
La competitività è la condizione e la missione insindacabile che scegliamo per favorire la produzione di ricchezza, progresso, prosperità e benessere per tutti. L’evoluzione demografica, i flussi migratori, la delocalizzazione di molte attività produttive, la rivoluzione digitale dell’industria 4.0, l’eccellenza della formazione in altri Paesi e Continenti non ci permettono di lasciare fuori dalla formazione scolastica il concetto e la materialità della competizione (non solo economica) con la quale a fine studi i giovani si dovranno confrontare. Per questa ragione occorre impostare l’educazione integrando questo elemento della realtà, non escludendolo o addirittura negandolo. Proprio per impedire una selezione selvaggia (dove vincerebbe solo il più forte di natura), occorre allenare tutti alla competizione affinché la maggior parte possa competere migliorando i propri talenti. Significa adoperarci già a scuola per sensibilizzare, sperimentare e insegnare la tensione verso la prestazione: da come nasce, da come avviene a come si perpetua in molti campi sia pubblici che privati; ma anche per famigliarizzarsi e insegnare il significato di competere, gli strumenti, l’allenamento e l’atteggiamento per competere. Educare a paragonarsi, a comprendere, a desiderare e a imitare chi sa fare meglio di noi. Significa insegnare il gusto di fare bene le cose, di migliorarsi, di provarci, di cadere e rialzarsi, di accettare una graduatoria e di non accontentarsi mai.
EDUCARE ALLA SOLIDARIETÀ: dare il buono di sé
La solidarietà, con la competitività, è l'altra faccia della stessa medaglia. Non tutti sono in grado di competere da subito o di continuo, come pure si sa che la ricchezza e il benessere una volta prodotti devono essere mantenuti, difesi e ridistribuiti. La solidarietà non sono solo i sussidi sociali statali del DSS. Vogliamo insegnare e motivare a uscire dalla limitativa e inefficace triangolazione ridistributiva: contribuente-stato-beneficiario, facendo scoprire incentivando e valorizzando il rapporto diretto caritatevole: donatore-beneficiario, volontario e spontaneo. Vogliamo equilibrare la giustizia distributiva (quella che avviene attraverso lo scambio con lo Stato) con la giustizia commutativa (quella che avviene con scambi spontanei tra privati e privati). La solidarietà non è solo un rapporto diverso di ridistribuzione di soldi, o qualcosa imposto per legge, ma è un comportamento e una cultura che vanno educati fin da piccoli. Significa insegnare già in classe che siamo tutti diversi, che non siamo uguali; che ci sono talenti e doti diverse, e proprio per questo ognuno ha bisogno dell’altro. Non in modo teorico o moralistico, ma nella concretezza e la durezza della riuscita o del fallimento scolastico.
EDUCARE ALL’ECCELLENZA e ALLA BELLEZZA: dare il meglio di sé
La bellezza come l’eccellenza non è una questione opinabile, la bellezza si manifesta senza che la si possa definire, genera stupore istintivo e ammirazione spontanea. La bellezza non può essere confusa con il "mi piace" o il "non mi piace", questo è un processo di giudizio relativo e attinente al gusto di ognuno. La bellezza contiene in sé qualcosa che supera e va oltre l'opinione e i criteri individuali. In quanto dimensione non effimera ma concreta, per noi la bellezza trascina con sé l'eccellenza e diventa molto di più di una forma estetica (opinabile). Cerchiamo di promuovere la bellezza come categoria strategica che dà valore aggiunto all'essere, al fare, al comunicare, al coinvolgere, al produrre, al creare, allo sviluppare, al valorizzare l'esistente. La ricerca del bello deve muovere la scuola e il sistema educativo, per opporsi al brutto, alla decadenza. La fatica e il lavoro per l’individuazione del vero e del falso, quindi l’abbattimento del relativismo, deve tornare una priorità scolastica se vogliamo alimentare di energia la tensione al bello e all’eccellenza. Questa forma mentis da apprendere a scuola permetterà un giorno di fare le cose oltre che giuste e utili, anche belle. Il bello e l’eccellenza, come categorie di azione, non possono essere solo il risultato ma condizionano e modellano positivamente anche tutto il processo, gli strumenti e i metodi per raggiungerli. A partire dalla bellezza fisica e dalla generosità naturale del nostro territorio, non possiamo non farci stupire e ispirare da questo splendore per modellare altri aspetti dell’azione umana, specie quella educativa.
EDUCARE ALL’IDENTITA’: avere rispetto di sé per rispettare gli altri
Il pluridecennale lavoro sul cantiere politico ed educativo dell’egualitarismo, seppur in campi e forme diverse e perfino in buona fede, ha tolto di mezzo l’abitudine e la fatica del dover trasformare, amalgamare e mantenere in opportunità la ricchezza delle diversità quale forma primaria di alimentazione della nostra identità. Una identità si forma tramite radici, tradizioni, usi costumi abitudini e valori condivisi; non c’entra nulla con la razza quella non ce la possiamo dare da noi stessi, non ce la scegliamo; mentre un’identità ce la possiamo costruire, scegliere e perfino rifiutare e rinnegare. Ecco, negli ultimi decenni, in Europa, in Svizzera e anche in Ticino abbiamo impiegato più tempo e risorse per cercare di rinnegare, confondere e truccare la nostra identità, fino a mutarla affinché piacesse ad altri, piuttosto che a pulirla, lustrala, valorizzarla e migliorarla, lanciati come eravamo tutti nell’ideologia utopica dell’egualitarismo integrale. Egualitarismo, inteso come conformismo e annullamento di qualsiasi differenza, come condizione, mezzo e fine per garantire pace e benessere. Come reazione a ciò, nascono poi le deliranti e criminali fughe in avanti protezionistiche e xenofobe che trovano terreno fertile quando le identità vere scompaiono, mentre questi movimenti trovano lo spazio e il vantaggio per imporre le loro identità malate. Ma quando scompaiono, si annientano, si disimparano, si dismettano, si trascurano, si svalutano le vere identità dei singoli e con esse di un popolo, si apre a poco a poco lo spazio per l’inserimento, a volte violento, di identità esotiche totalitarie e proiettate verso l’egemonia. Alcuni punti saldi devono essere ripresi e corretti per riscoprire, progettare e costruire di nuovo la nostra identità orgogliosamente occidentale. Lo si può fare unicamente con una grande dose di umiltà e onestà intellettuale, e isolando i pregiudizi e i sensi di colpa che per decenni ci sono stati inculcati in funzione del progetto sociale di ingegneria egualitaria. Proviamoci. Un’identità di popolo è data e si perpetua se ogni persona che lo forma sa chi è; se ci si sforza di conoscerla, consolidarla e di tramandarla di generazione in generazione. È vero anche l’inverso, cioè che una persona si identifica in un popolo se questo sa chi è. L’identità, come la libertà non è data una volta per tutte; ma vanno conquistate difese e promosse nel piccolo come nel grande, quotidianamente. Allora proviamo a procedere per scalini in questa riscoperta dalla scuola dell’infanzia fino ai licei.
In conclusione, questi “quattro chiodi in parete” non sono nuove materie per appesantire la già onerosa griglia oraria, ma al contrario dovrebbero essere la tela di fondo da leggersi dietro ad ogni materia insegnata. O in altre parole, sono i punti di sicurezza ai quali agganciarsi in ogni libera scalata educativa. In sostanza abbiamo tracciato le mete e messo a disposizione alcuni strumenti per raggiungerle, ma modestamente siamo consapevoli che non possiamo sostituirci nella sfida educativa a chi cammina e alla loro libertà di insegnare e di apprendere.
*capogruppo UDC in Gran Consiglio