L'iniziativa preannunciata dai democentristi per cancellare il balzello, mette a rischio l'alleanza?
di Andrea Leoni
Può davvero rischiare di saltare l’alleanza elettorale tra Lega e UDC? Francamente ci pare difficile, anche se l’ultima puntata del romanzo “tassa di collegamento” ha provocato scossoni e qualche scoria l’ha lasciata. La destra ticinese, tuttavia, da un decennio a questa parte è sempre riuscita a far prevalere un certo pragmatismo sui mal di pancia interni ai due partiti. Un approccio grazie al quale ha conquistato e difeso seggi federali, cantonali e comunali.
Detto questo la pietra d’inciampo è lì, in mezzo alla strada delle trattative, come ha ammesso il ministro demoleghista Norman Gobbi. L’annuncio da parte dell’UDC di voler raccogliere le firme per cancellare la tassa di collegamento, è il sasso che rischia di far inciampare l’alleanza che al momento riscuote più consensi tra gli elettori ticinesi.
La risoluzione del problema non è semplice, perché in questa vicenda si scontrano due ragioni. Da un lato c’è l’UDC che, fin dal 2016, ha combattuto in ogni luogo il balzello e che oggi intravvede una ghiotta e legittima opportunità di capitalizzare elettoralmente il proprio dissenso. Dall’altro c’è la Lega che ha sempre sostenuto la tassa, ma in gran parte solo per lealtà verso il proprio Consigliere di Stato Claudio Zali, che l’ha proposta. Non crediamo di sbagliarci se affermiamo che se questa tassa fosse stata proposta da chiunque altro, la Lega l’avrebbe avversata come “ecobalzello” frutto dell’isteria rossoverde. A questo aggiungiamoci che un’iniziativa popolare di questo tipo sarebbe un attacco frontale a Zali, che è pur sempre un ministro leghista uscente. Siamo certi di non rivelare segreti, se non di Pulcinella, affermando che al mondo dell’economia non dispiacerebbe un cambio al vertice del Dipartimento del territorio e Piero Marchesi potrebbe essere un cavallo su cui puntare. E proprio per questo motivo, attorno alla prospettata iniziativa, si sta radunando quella parte della società ticinese.
Per la Lega, insomma, la tassa di collegamento è un tema fonte d’imbarazzo. Un disagio che certo può essere sopportato nel corso di una legislatura, molto meno in piena campagna elettorale, soprattutto se a provocarlo è il principale alleato e non un avversario. Tutto ciò è umano e comprensibile. Come è umano e comprensibile che l’UDC non voglia essere “censurata” nella sua autonomia, per di più su un tema bandiera della propria azione politica: la lotta senza quartiere a tasse e balzelli. Difficile chiedere ai democentristi un passo indietro che verrebbe letto, così ci dicono da casa UDC, come l’ennesimo atto di sudditanza verso il fratello maggiore.
E come se ne esce quindi? Prima di tutto esiste un forte antidoto allo strappo. Se la Lega ha bisogno dell’UDC per mantenere due Consigliere di Stato, i democentristi hanno necessità dei leghisti per conservare il seggio di Marco Chiesa agli Stati. La forza deterrente che tiene insieme l’alleanza è enorme. In secondo luogo, un’opzione alternativa, potrebbe essere quella di posticipare la raccolta firme a dopo il voto. Il tempo ci sarebbe, avendo il Gran Consiglio deciso l’entrata in vigore della tassa nel 2025. L’UDC, in questo modo, conserverebbe la posizione e la battaglia, pur con il sacrificio, va riconosciuto, di non scatenarla nel momento migliore: la campagna elettorale. La Lega, dal canto suo, si toglierebbe momentaneamente dall’imbarazzo, con la possibilità eventualmente di rivedere le proprie posizioni. Basterà?