POLITICA E POTERE
Il salario di Sergio Ermotti, tre domande ad Alessandro Speziali
Dopo l'attacco del presidente del PLR nazionale Thierry Burkart al maxi stipendio del CEO di UBS, abbiamo chiesto cosa ne pensa al timoniere dei liberali radicali ticinesi

Il CEO di UBS Sergio Ermotti ha guadagnato 14 milioni di franchi per i primi 9 mesi di lavoro. Il presidente del PLR svizzero Thierry Burkart  ha commentato con parole di fuoco il salario di Ermotti definendolo "sproporzionato e scioccante", ricordando come molte persone perderanno il lavoro a causa dell'acquisizione di Credit Suisse da parte di UBS.  Burkart  ha aggiunto che questi stipendi "distruggono la fiducia della popolazione nell'economia" e ha invitato i CEO ad avere maggiore modestia, soprattutto quelli delle banche poiché "i rischi commerciali sono di fatto sostenuti dalla popolazione". Alessandro Speziali, è d'accordo con il suo presidente nazionale?
"Beh, è inevitabile e comprensibile che molte persone scuotano la testa quando si parla di queste cifre impressionanti, alimentando quella sensazione che alcuni settori economici vivono su mondi paralleli. E gli ultimi anni dove gli organici sono stati sensibilmente ridotti con licenziamenti, non fanno che aggravare questo sentimento. Mi sento però di dire che l’indice l’avrei piuttosto puntato parecchio tempo fa, contro quei manager che si arricchivano mentre mandavano a picco gioielli nazionali come la Swissair o il Credit Suisse – bruciando i risparmi privati di molti cittadini onesti. Sergio Ermotti, invece, ha preso in mano UBS in situazioni complicatissime con successo, anche a vantaggio degli azionisti piccoli o grandi che siano".  
 
È possibile leggere questa svolta di Burkart , per certi versi clamorosa, come un primo forte passo verso un riposizionamento del PLR dopo le ultime elezioni federali e la votazione sulla 13esima AVS? Sulla stampa nazionale sono usciti diversi articoli, negli ultimi mesi, riguardo alla ferma volontà del partito svizzero di ripensarsi completamente. Tra gli obbiettivi anche quello di non appare più come il partito dei poteri forti economici e finanziari o dei "borsoni". È così? E nel caso condivide questa svolta?
"Ai tempi il PLR era il partito delle banche e dei grandi poteri finanziari, ma da qualche tempo non è più così. Il PLR dev’essere soprattutto il partito delle piccole e medie imprese, che sono la nostra spina dorsale che assicura posti di lavoro e creazione di valore. È importante essere il partito a fianco di chi si alza presto al mattino per lavorare, metterci del suo, investirsi e dare una prospettiva al territorio che viviamo: che siano artigiani, liberi professionisti, bancari o impiegati. Osservo che il partito svizzero si sta (finalmente) orientando maggiormente su temi trasversali e decisivi per il nostro benessere, come la formazione. Se il PLR ticinese alle ultime federali ha registrato una crescita – in controtendenza rispetto al trend nazionale negativo – è perché abbiamo convinto le persone su temi concreti e diffusi come la mobilità, la qualità dei posti di lavoro, la formazione o la sanità. E questo riconoscendo i problemi che stiamo vivendo, come quello dei salari e del potere d’acquisto. Toglierci il paraocchi eccessivamente ottimista ci riavvicina alla gente comune e alla realtà delle cose".

Molti analisti, dopo l'approvazione della 13esima AVS, ritengono che il patto sociale che ha fatto la fortuna della Svizzera negli ultimi decenni - tra l'alta borghesia e il popolo, Governo e Parlamento ed economia - stia pericolosamente scricchiolando. Recentemente ci sono state durissime polemiche anche all'assemblea di Novartis rispetto al compenso del CEO, con molti piccoli azionisti che nei loro interventi hanno esplicitamente citato la 13esima AVS o il peso dei premi di cassa malati. Condivide questa analisi e cosa si può fare per rinsaldare questo patto?
"Lo spirito borghese del nostro Paese si sta affievolendo (pensiamo al progressivo primato dei diritti sui doveri) e le tensioni sociali si sono innegabilmente acuite. La Svizzera sta entrando – dopo decenni in cui ci sentivamo al riparo dalla Storia – in tempi difficili, benché la nostra Nazione svetti nelle classifiche internazionali. Quindi sì, il patto e la pace sociale sono sotto pressione. Non ci sono solo preoccupazioni materiali, ma anche una strisciante stanchezza psicologica dovuta al susseguirsi della pandemia, dei conflitti armati, di una fiducia nel futuro ormai disillusa. Di certo soffiare sulle fratture sociali, come stanno pericolosamente facendo alcune forze politiche, non aiuta la Svizzera a riprendere il suo cammino, che deve necessariamente orientarsi alla responsabilità individuale, alla possibilità di creare ricchezza per distribuirla, a concepire il federalismo non come limite ma come risorsa, a investire nello sviluppo e nei progetti, anziché buttarsi nella politica nel NO e degli ostacoli. La fortuna di questo paese è la sua operosità, lo spirito costruttivo e positivo che ognuno mette in ogni sua attività quotidiana".
 

 

 

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