"Chi scrive lavora nella sanità da 50 anni ed è stato colpito anche dalla malasanità... Le conseguenze di una operazione complicata sono costose e possono portare a terribili conseguenze per il paziente"
di Alberto Siccardi *
Interventi non necessari, invasivi e a volte addirittura dannosi continuano ad essere eseguiti, aumentando drammaticamente la fattura. Nonostante gli studi e le raccomandazioni delle autorità sanitarie. Solo una chiara volontà politica, espressa dai cittadini, può fermare tutto questo.
Sappiamo già che l’anno prossimo riceveremo un’altra richiesta di aumento dei premi di cassa malati, protesteremo inutilmente, forse si aumenteranno gli aiuti a chi fa fatica a vivere coi suoi introiti mensili, ma alla fine si accetterà di nuovo di strapagare, sempre di più, la stessa sanità per le stesse persone.
Chi scrive lavora nella sanità da 50 anni ed è stato colpito anche dalla malasanità, a causa di incidenti sportivi e acciacchi conseguenti, e ha incontrato anche dei professionisti che lo hanno aiutato con cure conservative e prudenti, evitandogli operazioni che altri suoi colleghi avevano invece previsto. Ho avuto un ginocchio con un dolore mediale importante che mi impediva di andare in montagna, dolore passato con ginnastiche di stiramento dell’interno della coscia suggerite da un chirurgo bravo e attento ad evitare operazioni inutili. Invece in un famoso ospedale della Svizzera interna ho subito una gastroscopia diagnostica dopo la quale sarei potuto andare subito a casa. Così mi avevano detto. Avevo quindi fissato impegni di lavoro a Lugano il giorno dopo. Appena sveglio dalla anestesia un medico mi ha detto che era meglio che passassi la notte in ospedale «per prudenza». Di gastroscopie ne abbiamo fatte tutti e siamo andati subito a casa. E così ho fatto anche quella volta, essendo chiaro lo scopo di fatturare alla mia cassa malati la notte che avrei inutilmente passato da loro. Mi sono vestito e sono andato a lavorare.
E qui sta il problema: quanti pazienti hanno l’esperienza e il coraggio di discutere gli ordini del loro medico? In pratica nessuno. Ed è giusto così. Il medico ha la responsabilità delle decisioni. Ma anche il medico può sbagliare, in almeno tre modi: facendo errori in buona fede, facendo in buona fede cure inutili per il paziente, o agendo per interesse economico suo o della clinica in cui lavora. Lasciamo perdere il terzo motivo (sarebbe ingiusto presumere atti disonesti), ma gli errori operativi e gli interventi inutili vanno comunque prevenuti. Vediamo come viene affrontato questo problema, quello delle operazioni importanti fatte inutilmente o commettendo errori nella esecuzione dell’atto operatorio.
Si fanno degli studi a posteriori e si pubblicano i risultati, allo scopo di rendere coscienti e più attenti gli operatori più attivi, ma non esiste ancora un meccanismo decisionale che eviti le operazioni inutili. Non dimentichiamo che le conseguenze di una operazione complicata, ad esempio alla schiena o alla spalla o al ginocchio, sono costose e possono portare a delle terribili conseguenze per il paziente.
Nel 2016 un lavoro pubblicato nel «Journal of Patient Safety» (sicurezza del paziente), intitolato «Perché i chirurghi continuano a eseguire interventi chirurgici non necessari», giungeva alle seguenti conclusioni: l’esistenza di interventi chirurgici non necessari rimane una realtà scoraggiante che continua a esporre i nostri pazienti a un rischio ingiustificato. Ad esempio, numerosi studi clinici hanno dimostrato che le fusioni spinali per il mal di schiena non portano a un miglioramento dei risultati a lungo termine dei pazienti rispetto alle modalità di trattamento non chirurgico, tra cui la terapia fisica e gli esercizi di rafforzamento del nucleo. Nonostante questi risultati di studi di alta qualità, le percentuali di fusioni spinali continuano ad aumentare drammaticamente negli Stati Uniti.
Un altro esempio rilevante è la meniscectomia parziale (asportazione parziale del menisco) artroscopica, una delle procedure chirurgiche più comunemente eseguite nel mondo. Questa chirurgia minimamente invasiva consente di trattare i danni interni al ginocchio attraverso piccole incisioni percutanee, con un periodo di recupero postoperatorio rapido. Solo negli Stati Uniti i chirurghi eseguono circa 700.000 meniscectomie parziali artroscopiche ogni anno (in Svizzera, all’epoca, 15.000). È sorprendente che uno studio prospettico randomizzato e controllato, pubblicato di recente in Finlandia («Finnish Degenerative Meniscal Lesion Study»/FIDELITY trial), che ha valutato gli esiti dei pazienti dopo il trimming (pulizia) meniscale artroscopico rispetto alla chirurgia «sham» (falsa, non avvenuta), non abbia rivelato alcun beneficio per i pazienti operati, dopo 12 mesi, rispetto a quelli non trattati chirurgicamente, ma solo con cure conservative.
Non mancano altri esempi. Una pubblicazione nel prestigioso «Lancet» nel 2018 intitolata «Decompressione artroscopica per il dolore subacromiale della spalla (CSAW)», uno studio chirurgico multicentrico, a tre gruppi paralleli nel tempo (uno controllato con placebo e due trattati), evidenziava che entrambi i gruppi trattati hanno mostrato un piccolo beneficio rispetto a quello con nessun trattamento, e queste differenze non erano clinicamente importanti. Significativa, a mio avviso, la conclusione finale: I risultati mettono in dubbio il valore di questo intervento per queste indicazioni, e questo dovrebbe essere comunicato ai pazienti durante il processo decisionale medico-paziente, perché ogni intervento comporta rischi e disagi. Quanti medici lo fanno?
Cosa può fare il paziente che non è a conoscenza dei lavori sopraelencati? Una pubblicazione del 2017 di M. Lenza et.al. nel BMC Musculoskeletal Disorders intitolato «Secondo parere per le condizioni degenerative della colonna vertebrale: un’opzione o una necessità? Uno studio prospettico osservazionale» concludeva che «abbiamo riscontrato un’ampia discordanza tra il primo e il secondo parere in merito alla diagnosi e alla necessità di un intervento chirurgico alla colonna vertebrale. Questo suggerisce che ottenere un secondo parere potrebbe ridurre gli interventi chirurgici non necessari». Anche in Svizzera l’Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP) raccomanda la ricerca di una seconda opinione come un passo indicato, in particolare per interventi chirurgici non urgenti e trattamenti impegnativi. E se lo dice l’UFSP… Occorre la volontà politica e questa può solo essere dettata dalla volontà popolare. In Svizzera si può fare. Il compito è cruciale ed è quello di trovare una procedura decisionale condivisa fra almeno due opinioni mediche e il paziente di fronte ai casi difficili e pericolosi. Che sono anche quelli più costosi.
* imprenditore