ANALISI
Vino italiano alla festa di Alptransit, lettera aperta al direttore Renzo Simoni. "Caro ingegnere ecco perché questa volta siamo davvero incazzati"
L'ANALISI - "Scrivo queste righe serali dopo una lunga telefonata con Uberto Valsangiacomo, vinificatore e presidente di TicinoWine. E condivido la sua amarezza"

di Marco Bazzi

Scrivo queste righe serali dopo una lunga telefonata con Uberto Valsangiacomo, vinificatore e presidente di TicinoWine. Era giustamente scandalizzato – e molto amareggiato – per quanto è accaduto oggi, giovedì 21 gennaio, nel cuore del Ceneri.

“Che tristezza – mi ha detto -. Siamo diventati una terra di nessuno. Temo che in oltre trent’anni di tentativi di promuovere l’eccellenza del vino ticinese abbiamo sbagliato tutto”.

Non condivido quest’ultimo pensiero rassegnato. Ma condivido la tristezza, pur sapendo che da domani Valsangiacomo tornerà combattivo come sempre.

Se fossi stato il direttore di Alptransit, dopo essermi prioritariamente occupato della sicurezza degli operai e della “logistica cerimoniale”, in occasione di una giornata importante come quella di oggi, avrei voluto sapere esattamente cosa avrebbero mangiato e bevuto i mille e cinquecento ospiti invitati. Prima ancora di pensare a cosa raccontargli.

Quindi, egregio signor Renzo Simoni, le scrivo questa lettera aperta, anche se probabilmente - semmai la leggesse e decidesse di rispondermi con tutto il da fare che ha - lei mi dirà: “Ma io non c’entro niente con la scelta dei vini”. Ma le voglio comunque spiegare perchè questa volta siamo davvero incazzati.

Lo so che un ingegnere (come lei forse è) può sentirsi uno sfigato a confrontarsi con i dettagli di un banchetto, che appare profondamente banale di fronte all’imponenza del cantiere del secolo. Ma anche il successo dei grandi progetti passa dalle piccole cose.

E dal profondo del cuore le dico che il fatto che a coloro che oggi hanno partecipato alla festa per il brillamento dell’ultimo diaframma della galleria del Ceneri sia stato servito del vino italiano non è soltanto inopportuno. È vergognoso.
È un segno di imperdonabile mancanza di rispetto verso un territorio e una popolazione.

E giustamente non solo alcuni politici, come Fiorenzo Dadò e Marco Romano, si sono indignati: insieme a loro si sono indignati molti cittadini, produttori di vino, ristoratori...

Il Ticino è una regione vitivinicola tra le più importanti della Svizzera, e sta lavorando da anni con fatica e sudore per affermare questa sua vocazione. Quindi, a una festa ufficiale, organizzata da un’azienda federale e pagata, per giunta, con i soldi dei contribuenti (si dice sia costata oltre un milione di franchi), si doveva fare il sacrosanto piacere di servire vino ticinese. Anche se costava di più. Perché noi non abbiamo mai battuto ciglio, o quasi, di fronte agli innumerevoli sorpassi di spesa di un cantiere che alla fine costerà (ma ho perso il conto) una trentina di miliardi.

Una volta per tutte coloro – confederati, stranieri o ticinesi stessi - che pensano  che il legame tra la nostra gente e il suo territorio sia un vezzo da vecchi nostalgici di boccalini, salametti e zoccolette, devono capire che è ora di finirla di trattarci come “cincali”. È ora di capire che abbiamo una nostra dignità e che la difenderemo con i denti.

Sono andato a cercare sul web notizie dei vini serviti alla festa di Alptransit. Ho visto che sono prodotti da un’azienda lombarda, della Franciacorta. Anche ben reputata e seria, che ha ottenuto riconoscimenti importanti sulle guide per i suoi prodotti di punta, tra i quali escludo però che ci fossero i vini proposti oggi. Ma non è questo il punto.
Il punto è molto semplice, ingegner Simoni: cosa pensa che sarebbe accaduto nelle Langhe se a una festa ufficiale come quella di oggi fosse stato servito un “primitivo di Manduria”? Secondo me una rivoluzione. Ma non avremo mai la prova, perché nessun langarolo accetterà di vedersi servire un “primitivo” a una festa in onore della sua terra.

Credo che sarebbe un atto dovuto, da parte di Alptransit, spiegare chi ha fatto la scelta dei vini e con quali criteri. Non per metterlo alla gogna, ma per capire come sono andate le cose. Senza cercare scusanti. Perché, sinceramente, noi ticinesi siamo un po’ stufi di venir messi via con delle scusanti ogni volta che ci incazziamo.

Concludo, per non essere tacciato di sciovinismo fanatico, dicendo che amo i vini italiani, che li bevo e li compro, tanto quanto amo, bevo e compro i vini ticinesi.

Se avrà occasione di leggere questa breve lettera aperta, ci rifletta.

PS. Mi scrive Valsangiacomo dopo la pubblicazione della lettera: "Fosse successo in Vallese o Vaud sarebbe già volata qualche testa, ma lì non sarebbe succeso!"

 

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