Bellinzona: numeri e buon senso suggeriscono il "no" al ballottaggio. Comprensibile la tentazione del PLR ma i bellinzonesi sembrano già aver scelto. E Branda è davvero il Borradori di sinistra: il PS ha in casa un gioiello
L'ANALISI - La chiara impressione emersa ieri dalle urne è che i bellinzonesi - di tutti gli orientamenti politici - abbiano già scelto il loro sindaco, e richiamarli alle urne potrebbe apparire solo come un atto di arroganza, o peggio, come l'ostinato tentativo di chi non riesce ad accettare un verdetto e mira al sindacato con annebbiati istinti famelici più che con ragionevolezza democratica. IL PLR ha vinto le elezioni alla grande, deve resistere alla seduzione di voler stravincere
di Andrea Leoni
Al netto delle regole democratiche che consentono al PLR di fare in piena legittimità quel che gli pare e piace, chiedere un ballottaggio per il sindacato a Bellinzona sarebbe un atto molto azzardato, al limite della spregiudicatezza.
Lo dicono i numeri. La dinamica politica e partitica delle cifre e della campagna elettorale appena terminata. Lo suggerisce il buon senso: La chiara impressione emersa ieri dalle urne è che i bellinzonesi - di tutti gli orientamenti politici - abbiano già scelto il loro sindaco, e richiamarli alle urne potrebbe apparire solo come un atto di arroganza, o peggio, come l'ostinato tentativo di chi non riesce ad accettare un verdetto e mira al sindacato con annebbiati istinti famelici più che con ragionevolezza democratica. Voler vincere e mai voler stravincere, è una pillola di saggezza che chi fa politica dovrebbe sempre utilizzare come bussola per orientarsi nelle decisioni più difficili.
Il PLR a Bellinzona ha vinto le elezioni, le ha vinte a valanga: il 36% per la corsa al Municipio, e più ancora, il 37% in Consiglio Comunale, sono risultati straordinari, da partito che si riscopre partitone. Quasi quattro elettori su dieci hanno scelto i liberali radicali. Un vero e proprio trionfo.
Ed è del tutto comprensibile che una forza investita dai cittadini di una tale fiducia, abbia la tentazione di andare a guadagnarsela fino in fondo, sommando la netta maggioranza nell'Esecutivo e nel Legislativo al sindacato. In effetti è una situazione paradossale: al successo costruito dal PLR manca solo un pezzetto. Ed è uno di quei pezzetti che ti resta incastrato fra i denti e dà fastidio, può diventare perfino frustrante e lasciare un po' di amaro in bocca. È come aver fatto un compito senza errori e ricevere 5,5 anziché 6. Un'ingiustizia, se non si trattasse di politica, cioè di una "bestiaccia" che talvolta segue logiche solo sue. Ti girano, inevitabilmente!
Però è proprio questo paradosso beffardo che dovrebbe accendere la spia della prudenza, anziché quella dell'azzardo. Se nonostante questi numeri il candidato del PLR (splendido in tutta la campagna e più ancora nella "sconfitta" Andrea Bersani, davvero) ha subito un distacco di 1'300 voti da quello socialista (e di 2'680 se guardiamo preferenziali arrivati dalle altre liste e dalla "senza intestazione") , è il segnale che occorre sopportare il rimasuglio fra i denti e chiuderla qui. Anche perché la conquista del sindacato è solo rimandata.
Se vogliamo fare un termine di paragone indicativo benché imperfetto, a Lugano Marco Borradori raggranellò nel 2013 un vantaggio di 1'500 voti su Giorgio Giudici e nel 2016 di 837 su Michele Bertini. Questo a fronte di quasi 19'000 votanti, rispetto ai 17'000 cittadini che ieri hanno partecipato alla prima elezione della nuova Bellinzona. In entrambe le occasioni non ci fu il ballottaggio in riva al Ceresio.
È evidente che questo parallelismo è viziato da una differenza sostanziale: la Lega uscì con lo scettro della maggioranza relativa dalle urne di Lugano, a differenza dei socialisti a Bellinzona. Ma è altrettanto vero che il ballottaggio è una votazione maggioritaria e il PLR rischierebbe di andarsi a cacciare nel tritacarne dell'1 contro il resto del Mondo (bellinzonese). Senza per giunta che quell'1 sia concretamente alternativo nella proposta e nella sostanza politica rispetto a chi si vuole sfidare.
E poi: pur sapendo di avere il candidato sindaco perché ben 1'428 elettori liberali radicali hanno dato il preferenziale a Branda (contro i 459 incassati da Bersani dalla lista della sinistra)? Hanno solo "votato male" per generosità oppure è un segnale politico? E ancora: il margine di elettori che Andrea Bersani può ancora raccogliere in casa sua - tra chi al primo turno ha scelto un altro candidato liberale radicale - e il tamponamento dell'emorragia di voti dal suo partito verso il sindaco di quindicina, possono essere sufficienti per colmare il gap e superare l'esponente socialista? Impossible is nothing, ma è molto, ma molto, ma molto difficile, secondo la nostra modesta esperienza.
E infine due parole su Mario Branda. Il sindaco di Bellinzona sembra davvero il Borradori di sinistra. Lo è per la trasversalità nei consensi che riesce a raccogliere, per lo stile felpato ed elegante - mai polemico e mai divisivo - per quel suo essere socialista (come Borradori è leghista) ma non troppo. E questo grazie a una "compensazione" fatta di pragmatismo, di rassicurante presenza mediatica, di moderazione in senso lato, di nessuna arroganza caratteriale, di quel buon senso semplice ma estremamente incisivo che sembra trovare espressione fisica nella sua falcata. Alla fine piace al centro e non dispiace alla destra. Nessuno tra gli elettori e tra i protagonisti della politica lo percepisce davvero come un avversario da battere. Neppure il PLR.
Il PS ha quindi in casa un vero e proprio gioiello. Un gioiello che un domani potrebbe essere decisivo per battaglie ancora più importanti. Sempre che alle bisogna non prevalgano invidie, rendite di posizione e stravaganti aspirazioni: sentimenti e logiche che infestano tutte le case della politica.