ANALISI
Sì al divieto d'indossare il burqa
Le ragione per opporsi a un indumento simbolo dell'Islam peggiore che offende i nostri valori

di Andrea Leoni

Sono favorevole al divieto d’indossare il burqa e cercherò di spiegare il perché, cominciando però con il concedere a chi lo avversa le ragioni che gli spettano.

È indiscutibile che tra i sostenitori della proposta in votazione vi siano anche islamofobi e razzisti, che strumentalizzano il velo integrale per fomentare un clima ostile verso chi prega Allah. E perciò comprendo il riflesso psicologico di una parte della comunità musulmana - pur sempre una minoranza che si sente sotto attacco - di reagire con un meccanismo di difesa a riccio: è umano. Sono anche d’accordo con chi sostiene che non sarà certo questo divieto a sanare le ingiustizie di cui le donne, musulmane e non, sono tutt’ora oggetto o a favorirne l’emancipazione. Infine, è vero, lo dicono i numeri, che non c’ è alcuna urgenza di legiferare in tal senso.

Purtroppo o per fortuna la democrazia diretta forma compagnie di viaggio tra uguali e diversi. Capita occasionalmente di dover condividere il posto con persone dalle opposte opinioni generali o, addirittura, succede di rispondere allo stesso modo ad un quesito ma per ragioni diverse. I temi su cui siamo chiamati ad esprimerci tramite le iniziative, ogni anno, di volta in volta, quasi mai portano in dote una necessità impellente d’intervento o un problema manifesto sfuggito ai radar di Governo e Parlamento. Spesso sono quesiti che toccano principalmente un segmento economico, sociale, culturale o etico della Confederazione, per poi diventare interrogativo a cui è chiamata a rispondere l’intera società. Non va sottaciuto che oltre alla pancia del Paese, un ruolo importante nella promozione delle iniziative lo giocano i partiti, i comitati d’interessi, le lobby d’ogni tipo. Raccogliere le firme costa e costa anche molto. C’è tanta politica e non bisogna essere ingenui. Tuttavia questo meccanismo imperfetto, talvolta contraddittorio, ma unico al mondo, ci tiene uniti sotto la stessa bandiera.

Chi scrive, e non mi stancherò mai di scriverlo, considera l’Islam una grande cultura del mondo e sono grato per il contributo che nei secoli ha portato all’umanità intera. E qui sta il primo punto: il burqa con la stragrande maggioranza dell'Islam non c’entra nulla. Parliamo principalmente di un indumento tribale, proprio di alcune aree del pianeta come l’Afghanistan o il Pakistan. Vi è poi il niqab, il velo integrale nero che lascia una fessura sugli occhi, che è espressione dell’Islam peggiore, quello più estremo, intransigente e intollerante. Il whabismo il cui epicentro è l’Arabia Saudita. Un piccolo segmento dell’Islam che disprezza le donne, i diritti umani e l’Occidente, verso il quale sento il dovere di oppormi politicamente e culturalmente con tutte le forze. Una frangia estrema di fanatici che andrebbe contrastata con ben altri provvedimenti rispetto al divieto d’abbigliamento. Ma poi ci sono i soldi - tanti soldi - di mezzo e allora prevale la realpolitik…

Il burqa e il niqab rappresentano dunque un simbolo estraneo e inconciliabile con i valori dell’Occidente. Valori a volte ipocriti, a volte annacquati. Passati, stravolti ed evoluti attraverso un percorso illuminato e violento fatto di mille traversie. Ma valori forti, figli di culture, esperienze e tradizioni millenarie, nei quali mi riconosco. Ci  sono affezionato, anche se non va molto di moda affermarlo di questi tempi.

Quegli indumenti offendono i nostri valori e sono quindi contrari alle regole della casa. Anche un solo burqa è un burqa di troppo in Svizzera, ed è per questo che la componente simbolica deve prevalere sulla problematica legislativa, che non esiste. Non credo sarebbe né offensivo né sbagliato, se la Svizzera dovesse chiedere di non indossare il burqa o il niqab per rispetto della cultura e delle tradizioni occidentali. E senza fare tante storie.

Non stiamo parlando del velo islamico, simbolo religioso che continuerò a rispettare e a difendere. E mi dispiace che una parte della comunità musulmana, che so essere pacifica e pienamente integrata, e pur con il disagio psicologico di cui dicevo in apertura, non colga questa differenza sostanziale. Perché non riuscendo a fare questa distinzione prestano il fianco ai pifferai islamofobi che continuano a suonare il ritornello - una delle più grandi puttanate del nostro tempo - secondo il quale esiste un solo Islam, unico e indivisibile, che va da Osama Bin Laden al più laico e mansueto dei fedeli occidentali. E chissenfrega se la stragrande maggioranza delle vittime del fondamentalismo islamico - intesi sia come morti che come diritti negati - sono proprio i musulmani…

Mi sia concessa un’ultima divagazione a margine del tema. Le regole della casa, si diceva, sono importanti. In qualunque casa. E non c’è nulla, ma proprio nulla, di cui vergognarsi nel chiederne il rispetto. Solo questo Occidente rincoglionito dal consumismo, dall’omologazione e dal politicamente corretto, tende purtroppo a scordarsene. Ogni volta che ho avuto il piacere di visitare una moschea mi sono sempre tolto rispettosamente le scarpe. E ho sempre apprezzato il rigore culturale con il quale alcuni Paesi islamici, impongono agli ospiti di rispettare i costumi locali, che sia indossare il velo, non stringere le mani alle signore o non consumare alcolici.

L’Islam è e rimane una religione ospite in Occidente, anche se qualcuno si ostina, per preconcetto politico, a negare questo dato di fatto scolpito nella storia. E in nessun caso può essere parificata a culture e religioni che hanno invece contribuito a costruire la nostra casa. Francamente continuo a non comprendere cosa ci sia di sbagliato in questa ovvia distinzione. Data la libertà religiosa, così come avviene in numerose terre islamiche, non si capisce il motivo per il quale dovremmo fare nostra una cultura che non ci appartiene. Loro non lo fanno, giustamente. E in questa differenza c'è la bellezza del mondo. 

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