"Nella negazione del diritto di studiare in Italiano nella nostra Università, riecheggia l’ultimo atto della decennale campagna strisciante di imperialismo culturale"
di Franco Denti*
Il Ticino si fonda sulla lingua italiana: il suo impiego sul nostro territorio precede di secoli la costituzione geopolitica del nostro cantone ed è stato il cemento che ne ha definito i confini. Guardando alla nostra università, tuttavia, noto il dilagare di una pericolosa deriva in direzione opposta.
Per i Master dell’Università della Svizzera Italiana viene scelto l’inglese come lingua ufficiale. Il corpo docente, per quanto preparato nella propria materia, non essendo per la quasi totalità di madrelingua inglese, si esprime in un idioma inelegante e, mi si dice, spesso scadente. Dall’altra parte della cattedra siede una popolazione studentesca, che a sua volta, comprende in modo altrettanto modesto tale lingua. Orbene, dal 2020 avremo un Master, che se ben organizzato, può costituire la nostra occasione per una Facoltà di Medicina della Svizzera italiana.
I primi studenti confluiranno nel Master USI, dal Politecnico di Zurigo o dall’Università di Basilea. È possibile che la scelta di tale lingua sia dettata da questa contingenza. Tuttavia, sia chiaro, questa deve essere una via provvisoria, per la fase del lancio. Per il futuro sarà invece imperativo formare medici nella lingua della Svizzera Italiana.
In Svizzera abbiamo tre lingue nazionali. Non ci bastano? Il medico formato alla nostra università, dopo aver memorizzato tutta la terminologia medica e giuridica in inglese, per essere abilitato, dovrà comunque superare l’esame di stato in tedesco o in francese.
In un mondo che mira alla sostenibilità e a una gestione oculata delle risorse, questo non è forse uno sforzo totalmente anti-economico, in termini finanziari, umani e di logica tout- court? Il colonialismo da parte della lingua inglese non è da ieri. Già nell’immediato dopoguerra, la CIA non lesinò investimenti per influenzare il mondo culturale, fondando giornali e tenendo a libro paga illustri intellettuali del calibro di Ignazio Silone e George Orwell e altri ancora.
Quella che l’allora sottosegretaria di stato Barret definiva “una vera e propria battaglia alla conquista delle menti” è proseguita come un rivolo sotterraneo all’interno della nostra società e delle nostre istituzioni scolastiche, grazie alla connivenza politica, tanto di destra quanto di sinistra. Nella negazione del diritto di studiare in Italiano nella nostra Università, riecheggia l’ultimo atto di questa decennale campagna strisciante di imperialismo culturale.
L’art. 1 cpv 6 della Legge sull’Università dice che la lingua ufficiale è l’italiano. Stop. In base a quali principi vogliamo cancellarlo? Mantenere questo caposaldo, piuttosto, è fondamentale per difenderci dalla omologazione di un mondo uniformemente anglofono e per preservare la nostra identità, in seno alla quale la lingua italiana, riveste un ruolo centrale per motivi storici, strategici e giuridici.
Parafrasando Umberto ECO: una lingua a cui manca l’università... è un dialetto.
*presidente dell'Ordine dei medici