Il deputato UDC: "Se non si salva l'Occidente la vedo dura per la Svizzera. C'è solo un modo per cavarcela: abbozzare una ripartenza"
*Di Sergio Morisoli
Se fossi un politico, uno di quelli che parlano sulle piazze al 1. di Agosto, inizierei con una esortazione: Occidente, ricordati chi sei! Occidente, perché se non si salva l’Occidente la vedo dura per la Svizzera. Di fronte al demonio della pandemia, che mette in luce tutta la nostra fragilità e fa saltare le certezze in cui credevamo, c’è solo un modo per provare a cavarcela, quello di abbozzare una ripartenza. Ma su che basi? Su che fondamenta, quando alcuni piani dell’edificio sono ormai crollati. La ripartenza dell’occidente stanco, deluso, vecchio, auto colpevole e disarmato dalla speranza nel futuro; potrebbe, anzi dovrebbe, passare dal recupero della nostra identità. Una parolona il cui significato nella migliore delle ipotesi è bistrattato e nella peggiore è impugnato come una clava contro qualcuno. L’identità la si recupera soltanto se la si individua, la si scopre, la si rimette in sesto, la si educa ma a patto che sia ritenuta utile. Diversamente diventa un reperto archeologico messo in bacheca, da mostrare ogni tanto (all’occasione…) oppure, una cantilena senza senso da ripetere per riempire lo spazio vuoto prodotto dal pensiero debole. Quel pensiero che relativizza tutto, che insinua che in definitiva nulla è importante, che ci vuole addomesticare facendoci credere che una cosa vale l’altra, che benessere e prosperità cadono dal cielo, e che insiste nel dirci che la felicità e la verità è inutile cercarle perché impossibili.
Mi pare che la sensibilità di molti, nel ritenere che tutto non possa finire così stancamente e in rassegnazione stia riaccendendosi. Una certa ribellione intellettuale, ma anche popolar piazzaiola, che non accetta la decadenza annunciata e la rassegnazione ad essa collegata, qui e là, si sta manifestando. Forse in modo disordinato, ricuperando concetti vecchi, schematismi superati, invocando ritorni di fiamma improbabili, e altro; ma qualcuno seppur in modo improprio sta riflettendo sulle cause e il male che sembra paralizzarci.
Perché l’identità è fondamentale come punto condiviso per una ripartenza dell’occidente? E quindi toute proportion gardée anche del nostro piccolo triangolo territoriale svizzero e ticinese?
Perché se non ci fermiamo a capire da dove veniamo, dove siamo e dove andiamo, siamo persi. Le bussole (le tecnologie più sofisticate) e le mappe (il pensiero più avanguardistico) sono inutili se non riscopriamo perché l’Occidente è grande, se non ammetiamo con orgoglio e fuori dal politically correct che quella occidentale è la miglior società che l’uomo sia mai riuscito a costruire. Tant’è che tutti ci vogliono venire, nessuno la vuol abbandonare e in molti, per invidia la vorrebbero distruggere! Allora, lo scandalo è quello che per capire dove andiamo, dobbiamo capire se c’è interesse a volerlo sapere. Se c’è interesse a saperlo, non possiamo fare a meno di ri-capire come tutto sia iniziato e su quale traiettoria volenti o nolenti ci siamo messi da secoli e secoli. Se siamo quel che siamo (nel bene e nel male), se abbiamo saputo fare tutto ciò che sappiamo fare (nel bene e nel male), e se siamo assolutamente distanti numerosi secoli, in meglio, da altre forme sociali terrestri; è solo e soltanto perché l’occidente si è sviluppato a partire da un fatto concreto: il cristianesimo.
La storia di questo popolo occidentale e cristiano è la nostra identità. Una identità che precede e supera confini, regni, sistemi politici e sociali che si sono mutati nei secoli; una identità unica che va oltre appunto ai confini, alle razze, alle classi. Se si vuole sono i tratti di una globalizzazione “ante litteram” e forse anche “post litteram”.
L’occidente ripartirà nella misura in cui, deciderà e avrà il coraggio di andare a vedere all’indietro, oltre ai soliti due secoli illuministi, quale fu il motore che dalla caduta dell’Impero Romano d’occidente V secolo d.C. fino al XVII secolo, ha fatto miracoli economici e sociali impossibili altrove e ancora oggi irraggiungibili fuori dai confini delle terre occidentali. Le barbarie distrussero in buona parte tutto ciò che la cultura greco-romana aveva raggiunto sia in termini di pensiero che materialmente, e annientò quello che la cultura ebraico-cristiana aveva raggiunto nel campo del religioso pratico. Il dualismo equilibrato tra materia e spirito fu distrutto, sradicato dalle menti e dalla vita pratica delle generazioni che subirono alcuni secoli di barbarie.
Ripartire significava opporsi alla distruzione e al declino, arrivati a un punto di incontenibilità totale. Una reazione non attraverso la forza, non formando nuovi eserciti, non sulla base di un programma attrattivo ma affrontando l’essenziale che differenzia l’uomo dall’animale bruto e violento. Quell’essenziale che risponde al bisogno profondo di qualsiasi essere umano indipendentemente dal tempo e dal luogo, la ricerca della felicità: relazionarsi con il mistero (pregare) soddisfare in pace i bisogni materiali (lavorare). Ecco grazie ai benedettini (529 d.C.) e al loro programma: “ora et labora” l’Europa rinasce, non solo. Ma si sviluppa miracolosamente in modo esponenziale in moltissimi campi fino ai giorni nostri. I benedettini crearono delle piccolissime comunità che in modo rivoluzionario rispetto a ciò che li circondava, si occuparono non di grandi progetti, non di grandi visioni; al contrario si occuparono di fare in modo che le persone si potessero sostenere a vicenda scambiandosi attraverso il lavoro oggetti, prodotti e servizi, e attraverso la preghiera ottenere la pace necessaria per non cadere nel disastro che li circondava. Iniziarono a bonificare paludi, dissodare, costruire attrezzi, impianti, luoghi di scambio. A ricuperare, oggi diremmo, il know how dei secoli precedenti che erano riusciti a mettere al riparo dai barbari. Fondarono le prime comunità monastiche, che poi diedero origine a delle cittadelle, su su fino all’apogeo delle città stato toscane, lombarde, fiamminghe e inglesi del XIII secolo.
I benedettini riuscirono a fare l’impossibile: dare un senso coeso all’eredità latina con la forza distruttrice barbarica, incanalando il loro meglio nel cristianesimo. Ma cos’era in definitiva questa forza attrattiva cristiana che riuscì a far ripartire un continente distrutto? L’uomo non si arrende alla desolazione, vuole, cerca e pretende qualcosa di meglio. E l’uomo medievale capì che da solo non poteva farcela, capì che doveva mettersi con altri che avevano il suo stesso desiderio di ricostruzione: desiderio di bello, di giusto e di buono.
L’uomo del V secolo e per tutto il medioevo aveva chiaro cosa voleva: una buona vita (migliorare in continuo la sua condizione, stare bene materialmente) ma congiuntamente una vita buona (fare il bene, il giusto stare bene spiritualmente). Come ha scritto Christopher Dawson, riferimento mondiale per ciò che riguarda la storia del rapporto tra religione e cultura occidentale: “Il rinascimento fu strettamente legato ai suoi antecedenti cristiani. I grandi uomini rinascimentali furono di elevata spiritualità, anche quando erano più profondamente immersi nell’ordine temporale. Dalle risorse accumulate nel loro passato cristiano essi attinsero la forza necessaria per conquistare il mondo materiale e creare il nuovo ordine spirituale.” Oggi diremmo benessere materiale e salvezza eterna. La congiunzione di queste due aspirazioni, cercando di perfezionarle in continuazione, è stata per secoli e secoli il “programma” di sviluppo dell’occidente.
La ripartenza, che è poi la nostra identità, può essere solo una: quella cristiana. Significa mettersi al lavoro dal basso come i benedettini e i grandi santi, nelle paludi moderne senza avere la pretesa di vedere la fine e il successo del proprio lavoro. Significa assumere la mentalità dei costruttori e degli operai di cattedrali medievali che facevano il progetto consapevoli che non avrebbero mai visto l’opera finita; o la mentalità dei navigatori che partivano senza sapere se arrivassero e con la quasi certezza di non poter tornare indietro. O più semplicemente lo spirito delle madri che mettono al mondo i figli senza sapere cosa diventeranno. Significa spirito di sacrificio per qualcosa di più grande, cioè fare le cose giuste e buone quotidiane anche se non portano gloria e fama mondana. Il rilancio passa dall’educazione di un popolo a conoscere l’origine del proprio successo. In inglese oggi si direbbe bench mark e best practice. Senza la libertà cristiana, cioè la capacità del singolo di intraprendere mosso dal desiderio di perfezione ma cosciente del suo limite, nessuna scoperta geografica, nessuna scoperta scientifica, nessun progresso tecnico, nessuna pietà sociale, nessuna prosperità commerciale e industriale sarebbero avvenute. Il grande professore americano di scienze sociali, Rodney Stark, nelle sue opere e nelle sue ricerche fa suo un dato di fatto irrefutabile e certificato dal rigore scientifico: “Nei cosiddetti secoli bui il progresso fu tale che, non più tardi del XIII secolo, l’Europa si era ben spinta oltre Roma, la Grecia e il resto del mondo. Perché? Principalmente perché il cristianesimo insegnava che il progresso era “normale” e che “nuove invenzioni sarebbero sempre state prossime”. Questa era l’idea rivoluzionaria. E la fiducia nel progresso non si limitava solamente alla tecnologia e alla cultura più elevate. L’uomo medievale europeo era altrettanto incline a sviluppare modi migliori per fare le cose.” E’ ovvio che oggi non si possono riprodurre lo spirito del tempo che va da S. Benedetto (V secolo) a S. Bernardino da Siena (XV secolo); e a noi moderni difficilmente ci piacerebbe, materialmente, vivere a quelle condizioni senza i nostri comfort. Ma una cosa la si può riprodurre: il messaggio e la leva cristiana che ha animato e guidato l’uomo per moltissimi secoli. Un messaggio che è sempre attuale e di una potenza eccezionale perché sempre vero, siccome tocca direttamente il singolo uomo e non i suoi sistemi organizzativi.
Dopo un paio di secoli passati a fare come se “Dio non ci fosse”, Ratzinger ci suggeriva di provare adesso a vivere come se “Dio ci fosse”. Per noi che successo e salvezza ormai non hanno nessun legame comune, per noi che bene e male sono categorie relative, per noi che il peccato è una categoria astratta, per noi che giusto e sbagliato dipendono dalle circostanze; scegliere una via unica precisa come quella cristiana e trovare il sistema per convincere il “secolo” a provarci di nuovo è veramente un’impresa. Ma la si può tentare, non è impossibile. Uno ce l’ha fatta anche in condizioni ben peggiori. Non è un caso che San Benedetto da secoli sia il patrono dell’Europa, finché qualcuno non deciderà di abbattere anche la sua statua. Buon primo d’agosto.
*Deputato UDC