"Il mercato ha creato e crea più pace di tutti gli eserciti del mondo messi assieme. Ma affinché funzioni occorrono fiducia e speranza"
di Sergio Morisoli*
Sono un convinto sostenitore dell’economia di libero mercato e ritengo che a questa istituzione dobbiamo il riconoscimento sostanziale e morale di aver traghettato il mondo dall’economia di sussistenza individuale o del clan, dalle ruberie violente, a quella del benessere e della prosperità diffusa (anche se purtroppo non ancora ovunque).
Questa notevole “invenzione spontanea” che mette in relazione ogni minuto milioni di sconosciuti che si scambiano pacificamente merci e servizi non è sempre esistita, esiste, ma potrebbe anche smettere di esistere. Ci può sembrare strano ma il mercato ha creato e crea più pace di tutti gli eserciti del mondo messi assieme. Però nulla è scontato. Il libero mercato, specialmente oggi, per continuare ad esistere e a darci benessere e prosperità diffusa necessità del giusto humus. Si dibatte di condizioni quadro che favorirebbero il mercato in generale e l’economia locale in particolare; tutto vero ma di solito si discute di misure che lo Stato dovrebbe produrre per far accadere ciò che il mercato non saprebbe far accadere da solo.
Ad esempio si chiedono allo Stato misure per attirare imprese e lavoro, per vigilare sul livello dei salari, per abbassare le imposte, per proteggere i lavoratori indigeni e i prodotti indigeni e via dicendo; tutto giusto e necessario ma il mercato non vive di questi interventi. Il mercato vive e prospera essenzialmente con due condizioni quadro che non sono in senso stretto economiche: la fiducia e la speranza. Ammesso e non concesso che la politica possa o voglia ancora lavorare a favore del libero mercato, allora dovrebbe ragionare su queste due condizioni non solo quadro bensì cardinali: la fiducia e la speranza.
Cosa fa lo Stato per generare e promuovere fiducia tra chi produce e chi compra, tra chi sviluppa e chi produce, tra chi offre e chi domanda, tra chi possiede e le casse cantonali, tra cittadino e Stato, tra cittadini e cittadini che vogliono risolversi i problemi da soli? La fiducia è data se chi domanda non si sente fregato da chi offre, se chi domanda non è obbligato a comprare solo da un produttore, se chi offre è protetto dai concorrenti sleali, se i patti e i contratti sono fatti rispettare e se le sanzioni scattano in caso contrario, se chi vuol fare non è ostacolato dai pigri. Non sono domande da poco ma probabilmente l’economia andrebbe meglio e il libero mercato sarebbe in salute se la politica si concentrasse ad esempio meno sull’economia e di più sul buon funzionamento delle istituzioni, dei tribunali, del rispetto delle leggi, della pianificazione territoriale, dell’educazione cioè di quello che concorre a generare fiducia nel cittadino.
Se la politica, invece della fiducia, promuove in continuazione la cultura del sospetto su tutti e su tutto, allora il mercato, quello libero, cessa di pulsare da noi e si sposta altrove. La fiducia reciproca è un rapporto essenziale per fare affari, creare imprese, produrre oggetti e servizi. La speranza, per il mercato, è fondamentale. Cittadini senza speranza, senza desiderio portano un colpo letale al mercato; non solo in termini di consumo bensì in termini di voglia di fare, di migliorarsi, di crescere, di diversificare, di inventare, di creare.
La leva fondamentale del libero mercato è la speranza, anche da noi e non solo nei macrosistemi. Ad esempio, se non si fanno più figli tanto vale consumare subito e in fretta quello che si possiede, magari anche ciò che non si possiede (a credito); se un matrimonio su due salta perché creare delle nuove famiglie, se non si trova lavoro perché studiare e impegnarsi, se lo scopo è solo vendere e vendere perché puntare sulla qualità.
Ci sono, anche da noi, indicatori di malessere giovanile allarmanti nel sociale, nella scuola, nella disoccupazione, nella criminalità e nella salute che indicano quanto la speranza “nel futuro” e la fiducia del “vivere assieme” si stiano incrinando pericolosamente; basta leggere le statistiche dello Stato. Dal 25% di senza lavoro che non ha 30 anni, dal numero di beneficiari minorenni di assistenza pubblica ai ricoveri nei servizi sociopsichiatrici, dai delitti alle condanne di minorenni, dal tasso di insuccesso scolastico alle persone sole e molti altri.
Se la Politica vuole avere (ancora) un ruolo, non è quello di occuparsi, maldestramente per correggerlo, del mercato; ma di occuparsi con urgenza delle cause e degli effetti collaterali che lo possono uccidere: la distruzione della fiducia negli adulti e della speranza nei giovani.
Speriamo che nel 2020 si riesca a ragionarci sopra. Non è una questione di ministeri dell’economia, di accordi commerciali, e men che meno per noi di DFE. È una questione culturale, di rinnovato umanesimo.
*Economista - Presidente onorario AreaLiberale