Bruno Cereghetti: "Ieri è stato un (potenziale) dies irae. Il CF ben conosceva l'opinione della task force..."
*Di Bruno Cereghetti
Il 12 agosto 2020 non entrerà nella storia né negli annali. Per questo vale la pena ricordarlo subito (hic et nunc, come direbbero i latini). È infatti il giorno in cui le testate mediatiche nazionali aprivano con il seguente titolo (mutatis mutandis): “Coronavirus, impennata di contagi in Svizzera”. Ma contemporaneamente è anche il giorno in cui il Consiglio federale ha deciso che saranno di nuovo autorizzate le manifestazioni con oltre 1000 persone. E questo dal 1° ottobre prossimo; ossia, in termini temporali, appena dietro l’angolo.
Consiglio federale che ben conosceva il pensiero scientifico della Task force Covid-19 della Confederazione, che in sintesi ha raccomandato, rettamente e a ragion veduta, che in Svizzera il numero di partecipanti a eventi pubblici andrebbe limitato a un massimo di 100, facendo parimenti notare che i nuovi casi di contagio da coronavirus seguono una curva che si avvicina a una crescita esponenziale, e pertanto è necessario intervenire al più presto nella finalità di evitare nuove drastiche e costose restrizioni alle libertà individuali e all'economia derivanti da un aumento incontrollabile dei contagi. In buona sostanza per la Task force ulteriori allentamenti, come l'approvazione di grandi eventi, sono inimmaginabili. Indispensabile, di contro, un sano passo indietro rispetto alle discutibili scelte aperturistiche di qualche mese fa, che la stessa Task force, a giusto titolo, ha da subito fortemente criticato.
Ma il Consiglio federale ha bellamente ignorato tutto ciò.
Così come ha ignorato quanto proveniente da un altro fronte istituzionale, quello dei Direttori cantonali della sanità, i quali hanno espresso un forte scetticismo su un allentamento immediato, e gli eventuali scenari parlavano tutt’al più di fine anno, rispettivamente del 31 marzo 2021.
Così ci troveremo con un inizio di autunno contraddistinto da rischi accresciuti non indifferenti: al rientro dalle vacanze da Stati dal contagio elevato; all’apertura delle scuole in regime quasi ordinario, dove le regole, ben definite sulla carta, saranno lettera morta dopo la prima settimana, soccombenti sotto la fisiologica esuberanza di bambini e adolescenti; alla rilassatezza nella frequentazione dei bar, dove in pause caffè/pranzo, e più ancora negli aperitivi, la promiscuità è assai simile quella di prima della pandemia e le distanze sociali non si sa invero dove siano o come siano misurate; e all’ormai insostenibile titubanza governativa nel rendere obbligatorio l’uso delle mascherine nei grandi magazzini, nei bar, nei ristoranti, nei luoghi chiusi e uffici (come richiesto in modo puntuale e ineccepibile dai medici ticinesi), si in aggiungeranno anche quelli derivanti dai grandi eventi.
È cosa abituale dedicare un giorno dell’anno a qualcosa di particolare.
Seguendo questo filone, si potrà dire che il 12 agosto 2020 è (stato) il giorno dell’incongruenza istituzionale. E un (potenziale) dies irae.
*ex capo Ufficio assicurazione malattia