Il presidente dell'Associazione ticinese dei giornalisti replica al presidente UDC Piero Marchesi: "Chi getta benzina sul fuoco non è certo chi ha alzato la mano per dire che Regazzi è andato un po’ lungo"
di Roberto Porta*
A volte la politica è fatta di contorsioni semantiche, che servono a celare le proprie incongruenze. Ed è quello che sta succedendo dopo la vicenda di Regazzi e della sua reazione fuori misura in un dibattito alla RSI. La semplice critica a quelle esternazioni ha fatto scattare nella destra ticinese una sorta di teoria del complotto, secondo la quale quelle critiche fanno parte di un’operazione “orchestrata” dalla sinistra e dai giornalisti, ovviamente anche loro di sinistra (e vai con gli stereotipi), per screditare non solo Regazzi ma anche tutti coloro che sostengono l’iniziativa popolare che mira a ridurre il canone radiotelevisivo. “Prepariamoci”, scrive il presidente dell’UDC Piero Marchesi.
Primo appunto: questo fronte è già più che preparato visto che da 30 anni, ogni domenica, si scaglia regolarmente contro la RSI e contro la categoria dei giornalisti, anche di altre testate, definiti con spregio “di regime”. In altri termini chi getta benzina sul fuoco non è certo chi ha alzato la mano per dire che il senatore ticinese è andato un po’ lungo.
Secondo appunto: il settore dei media in Svizzera sta attraversando una crisi epocale, di cui si è accorto anche il consigliere federale Albert Rösti. Il ministro UDC delle comunicazioni si è di recente detto “preoccupato” per i tanti problemi che attanagliano i media elvetici, pubblici e privati. Il ministro ha anche detto una cosa fondamentale: “Le piattaforme straniere, Instagram, TikTok o Facebook e i motori di ricerca come Google prelevano entrate fiscali dal mercato svizzero, ma non investono in prodotti giornalistici per il pubblico svizzero”.
Ed è questo uno dei noccioli del problema visto che i miliardi persi dal mercato pubblicitario elvetico, sempre secondo Rösti, si aggirano attorno ai due miliardi all’anno. Un’emorragia estremamente dolorosa che necessiterebbe un intervento deciso, la politica sta invece sta facendo ben poco per tamponare questa falla, centro-sinistra compreso. Nella dichiarazione di Rösti ciò che dovrebbe saltare all’occhio, in particolare nella destra sovranista, è l’aggettivo “straniero”.
Sono infatti stranieri i colossi del web che stanno facendo man bassa del mercato pubblicitario svizzero. Parte del problema sta nel fatto che finora questo fronte ha fatto di tutto per non accorgersi del problema. Ha lanciato un referendum contro il pacchetto di aiuto ai media, poi bocciato dal popolo nel 2022. E ora se la prende con il canone radiotelevisivo. Con il rischio di azzoppare la SSR e favorire sempre di più non solo le piattaforme straniere ma anche i canali stranieri – radio e TV - che potranno fare una concorrenza ancor più agguerrita alle testate di casa nostra, anche quelle private.
E così il fronte del “prima i nostri”, quando di mezzo ci sono i media, si trasforma nel fronte del “prima gli stranieri”. È un’incongruenza dalle conseguenze nefaste, e dirlo non significa di certo essere “giornalisti rossi”. Tutto questo per garantire al cittadino un risparmio di 35 centesimi al giorno sul canone radio-televisivo….
*presidente Associazione ticinese dei giornalisti (ATG)