LETTURE
Flavio Del Ponte: "Perché ho deciso di raccontare le guerre che ho vissuto"
Il medico valmaggese racconta la sua esperienza in un libro. "Il giorno in cui scoppiò la guerra della Russia contro l’Ucraina. Vidi in tv le prime immagini dell’invasione, e dissi a me stesso che non potevo più restare in silenzio"

Di Flavio Del Ponte

Prefazione al suo libro Dissonanze - Storie di un chirurgo di guerra - Armando Dadò editore

Perché adesso? Perché ho deciso di scrivere questo libro 15 anni dopo aver lasciato la mia professione di medico e di convinto sostenitore dell’aiuto umanitario? Certamente perché, da troppo tempo, sentivo amici e conoscenti dirmi che era mio dovere lasciare una traccia del vissuto nell’arco di ben 40 anni, tante volte raccontato a voce, e che sempre aveva suscitato curiosità, interesse, ma anche tanta apprensione.

Ma non c’è solo questo – la testimonianza di atrocità, errori e orrori, le sottovalutazioni, la mancata assunzione delle necessarie responsabilità – ma anche un messaggio ai giovani che volessero lanciarsi nella medicina dell’aiuto umanitario. Questo pensiero era dentro di me, e avvertivo il dovere di lasciarlo in eredità a chi verrà dopo di me.

Ma l’impulso più forte, perché non di sola ragione si tratta, il pungolo, se volete chiamarlo così, me lo dette quel 24 febbraio del 2022, il giorno in cui scoppiò la guerra della Russia contro l’Ucraina. Vidi in tv le prime immagini dell’invasione, e dissi a me stesso che non potevo più restare in silenzio. Avevo già seguito gli eventi per nulla rassicuranti nel Donbass sin dal 2014 e conoscevo personalmente alcuni colleghi svizzeri impegnati in prima linea nel campo politico e diplomatico. Ma per la prima volta fui costretto a essere, come tutti noi, solo spettatore inerme e paralizzato da una guerra che era entrata nella mia casa e nella mia vita con le immagini che la tecnologia del XXI secolo ormai consente. Un conflitto praticamente vissuto in diretta.

Non ci potevo credere e il cartoncino che da anni sta nel mio studio con la citazione di Einstein – «La guerra non si può umanizzare, si può solo abolire» – non mi poteva bastare più, perché il suo sostegno era diventato insufficiente. Fui preso via via da una grande ansia che penetrò inesorabilmente nel mio subconscio. Me ne potei liberare con fatica, e ci riuscii solo raccontando quello che avevo vissuto passando da una guerra all’altra. Dov’era finito quel motto – «mai più guerre» – che aveva fatto uscire uomini e donne dalla tragedia della Seconda guerra mondiale e che Paolo VI aveva ripreso dalla tribuna dell’Onu nel 1965 con il suo «mai più le guerre»?

Invece ecco il riarmo delle grandi potenze, e l’idea stessa dello scontro bellico come unica soluzione dei conflitti che riprende vigore, e il riaccendersi di contrasti che in verità non si erano mai del tutto sopiti. Dal 7 ottobre dell’anno scorso, subito dopo l’irresponsabile aggressione di Hamas a un campo di giovani in festa, è riesploso il conflitto in Medio Oriente, con l’indicibile sofferenza di migliaia di vite umane sacrificate a partire da quel giorno nefasto.

Il monito di Einstein è diventato una risonanza profetica, sta succedendo qualcosa di nuovo che dobbiamo evitare e combattere. Proprio noi, «adesso», abbiamo il dovere di sopprimere la guerra, che non si può mai umanizzare. E la prima azione indispensabile è quella di servirsi dell’aiuto umanitario come arma strategica «difensiva»: occorre salvare l’integrità e l’universalità dell’aiuto umanitario da chi vorrebbe strumentalmente utilizzarlo continuando lo stesso a fare la guerra.

Come osa un Netanyahu adesso avocare alla sua persona il diritto di usare l’aiuto umanitario, snaturandolo e profanandolo, e utilizzandolo addirittura come arma di guerra anziché come via di pace? E per giunta dopo aver tentato di tutto per screditare l’autorità dell’Onu anche in questo campo? E come osa un Haniyeh, allo stesso tempo, usare ancora il popolo palestinese come vittima sacrificale e arma di baratto con l’aiuto umanitario per scatenare e perpetuare la sua di guerra?

Due tristissimi personaggi – che si sono appropriati di un potere non affidato loro democraticamente, ma proditoriamente arraffato – pretendono adesso non solo di parlare a nome di Israele e della Palestina, ma portano avanti da sette mesi una guerra che ha il solo obiettivo di distruggere per sempre un popolo. Ignorando i richiami alla pace che giungono all’opposto dagli stessi cittadini Israeliti e Palestinesi. Possiamo ancora avanzare, anche se con passi stentati, e tentare di abolire la guerra? Per questo ho deciso di raccontare cosa sono state le guerre che io stesso ho vissuto, cos’ha voluto dire esserci dentro da medico, e cos’è stato per me l’aiuto umanitario. Proprio ora lo sguardo sul passato può forse tenere a freno il presente e la verità deve ritrovare il sopravvento. Le fake news ci confondono come lo fanno anche le occultazioni, i segreti, le dissimulazioni.

La VERITÀ va detta, per nuda e inerme che sia.

BIOGRAFIA

Pur essendo originario di un paesino della Valmaggia (Cevio, dove è cresciuto insieme alla sorella Carla), Flavio Del Ponte è un esperto di medicina umanitaria che ha fatto del mondo la sua abitazione. Impegnato su diversi fronti bellici - dalla Somalia al Ruanda passando per Pakistan, Afghanistan e Laos - ha lavorato per 14 anni come chirurgo di guerra. Nel 1996 il Dipartimento federale degli affari esteri lo ha inviato a New York come consigliere medico presso il Segretariato dell'ONU, nei reparti per il mantenimento della pace ("Peace Keeping"). Pochi anni più tardi Del Ponte è passato al settore dello sviluppo e della cooperazione dove ha svolto il ruolo di capo consigliere medico dell'aiuto umanitario, proseguendo così il suo lavoro nei Paesi di tutto il mondo. Forte di un'esperienza decennale, nel 2009 ha contribuito a preparare i medici che operano in zone di guerra ed è stato tra i promotori dell'Accademia del Master Europeo di Medicina di Catastrofe a Ginevra.

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