IL FEDERALISTA
Hamas, la guerra, l'antisemitismo, il ruolo della Svizzera... Intervista a tutto campo all'ambasciatrice di Israele
"Sono preoccupata per tutti i civili. Sono preoccupata innanzitutto per le persone rapite e ancora detenute a Gaza. Siamo come una grande famiglia che si preoccupa l'uno dell'altro"

di Claudio Mesoniat per il Federalista

Ifat Reshef Rapp è la donna che rappresenta lo Stato di Israele nel nostro Paese. Una donna colta (amante, ci dice, della cultura e della lingua italiana), segnata da una vita intensamente dedicata al proprio Paese. E se Israele ha certamente in comune con la Svizzera la passione per la democrazia, quel piccolo Stato (la metà del nostro per estensione ma con lo stesso numero di abitanti) vive sotto assedio sin dalla propria nascita (1948).

Nata nel nord di Israele da una famiglia ebraico sefardita, Ifat Reshef Rapp ha svolto il servizio militare obbligatorio da ragazza e dopo gli studi di diritto nelle università di Tel Aviv e Gerusalemme ha intrapreso sin dal 1993 la sua carriera presso il Ministero degli Affari Esteri israeliano. Ha svolto attività diplomatiche al Cairo, a Roma e a Washington, per divenire poi capo dipartimento presso il Center for Policy Research di Israele e dal 2018 al 2021 direttrice del Dipartimento per la Giordania, la Siria e il Libano. Dal 2021 è ambasciatrice del suo Paese a Berna.

Nota editoriale

In questa intervista, molto gentilmente concessaci, abbiamo cercato di far venire alla luce le ragioni di Israele nel condurre la guerra contro Hamas, privilegiando l’ascolto alla dialettica sulle modalità, a nostro parere spesso inadeguate, nel gestire le operazioni militari a Gaza. Non era questo il contesto, d’altra parte, per tornare sulla corresponsabilità storica di Israele alla radice del conflitto (che abbiamo a più riprese documentato sin dall’inizio di questa guerra). Quanto alle scelte discutibili -e da noi spesso discusse- dell’attuale Governo di Israele, non crediamo sia neppure il caso di ricordare che chi rappresenta diplomaticamente uno Stato riflette ovviamente i punti di vista dei suoi organi esecutivi legittimamente eletti.

Impossibile non chiederle, Signora Ambasciatrice, se abbia amici o parenti coinvolti in questa guerra e come stia vivendo personalmente questo momento.

Grazie per la domanda. Nella situazione attuale in Israele, il numero di vittime, di persone uccise, di persone ferite, di persone rapite è tale che non c'è casa, non c'è famiglia in Israele che non conosca qualcuno, personalmente, che sia stato toccato dagli avvenimenti recenti. E ora, con la guerra, purtroppo siamo tutti preoccupati perché abbiamo tutti, come me, soldati in servizio o riservisti cui siamo legati da vincoli di parentela. Quindi ovviamente sono preoccupata per loro, ma anche per tutti i soldati. Sono preoccupata per tutti i civili. Sono preoccupata innanzitutto per le persone rapite e ancora detenute a Gaza. Siamo come una grande famiglia che si preoccupa l'uno dell'altro. Personalmente sto bene e sto lavorando sodo. La guerra mi tiene occupata. Mi tiene concentrata sull'obiettivo, che è di nuovo quello di riavere tutti i nostri ostaggi vivi e vegeti, e di tenere Israele al sicuro, di eliminare la minaccia di Hamas.

La coincidenza con la Giornata della Memoria

E come ha vissuto lei questo momento in cui c'è stata la coincidenza della Giornata della Memoria e, nello stesso giorno, la prima sentenza del Tribunale dell'Aja sull’accusa di genocidio mossa a Israele: nel momento in cui si ricorda il genocidio dell'Olocausto, Israele è accusata di compiere un genocidio. Mentre sembra quasi che tutti dimentichino cosa è successo il 7 ottobre, cioè qualcosa di molto simile a un tentativo di genocidio. Che riflessione le viene da ciò?

Ho provato indignazione. Come molti israeliani, proprio per quello che lei ha detto. Siamo stati accusati dal Sudafrica di aver compiuto un genocidio. Lo Stato ebraico. Proprio ciò che abbiamo subito durante la Seconda Guerra Mondiale ha portato al termine legale di “genocidio”! Ecco, noi siamo accusati dal Sudafrica di aver commesso un genocidio per aver fatto la cosa giusta, difenderci, andare in guerra, in una guerra che non abbiamo iniziato, per difendere, per proteggere i nostri cittadini dall'organizzazione terroristica genocida Hamas: non potrebbe essere più assurdo. Ma mi sono sentita anche sollevata dal fatto che la Corte internazionale di giustizia abbia preso la giusta decisione di respingere la richiesta del Sudafrica, cioè un'ingiunzione di fermare la guerra. Perché anche i giudici hanno compreso che stiamo combattendo per proteggere le vite dei nostri cittadini, ed è un nostro diritto di autodifesa.

La questione delle vittime civili e la “fortezza” nascosta di Hamas

Io credo che un'ambasciatrice non possa parlare male del Governo in carica nel suo Paese… Però, che questo Governo abbia fatto e stia facendo gravi errori in questa guerra è evidente anche per chi abbia grande simpatia per il vostro popolo. Insomma: si poteva rispondere all'attacco di Hamas tenendo maggiormente conto dell’incolumità dei civili dentro la Striscia di Gaza. Sappiamo che Hamas usa in modo criminale le scuole, gli ospedali, le moschee come basi militari. Però è già successo in altre guerre e di recente, ad esempio, con gli americani e le forze della coalizione in Iraq, che quando si trattava di combattere nei pressi di un ospedale ci si fermava e si dava uno o più giorni di tempo per l'evacuazione. L'impressione è che invece adesso l'IDF, il vostro esercito, bombardi senza controllare, senza… 

…posso essere d'accordo con lei che questa è l'impressione. Il problema è che si tratta di impressioni sbagliate, che purtroppo molta gente fa proprie troppo rapidamente. Penso che se lei parlasse con generali americani o europei che hanno combattuto in Iraq, in Afghanistan, le direbbero che quello che l'esercito israeliano, quello che l'IDF sta affrontando a Gaza non è niente di simile a quello che è stato affrontato prima. Anche con le complicate zone di guerra dell'Afghanistan e dell'Iraq - e della Siria contro l’ISIS -, perché Gaza non è solo l'area urbana più popolata del mondo (e lei sa che la guerra urbana è molto complicata). Da dove escano i soldati o i militanti di Hamas è imprevedibile. A Gaza la situazione è unica: c'è una Gaza di superficie e una Gaza sotterranea, con reti di tunnel su cui pensavamo di avere buone informazioni. Si è scoperto che ne conoscevamo solo una piccola parte.

La signora Reshef Rapp ci fornisce una descrizione dettagliata di quanto IDF ha scoperto e divulgato su quella fortezza sotterranea diffusa che in vent’anni Hamas ha costruito nel sottosuolo di Gaza. E ci spiega come Israele, oltre a non averne colto la portata, sia stata ingannata da Hamas circa le sue intenzioni.

Noi credevamo che essi volessero prolungare lo stato di tregua. Invece stavano pianificando la guerra. Ecco perché non si sono uniti alla “Jihad islamica palestinese” nelle ultime due occasioni in cui quest’ultima ci ha sparato addosso: ci hanno completamente ingannato.

Il sostegno di Netanyahu ad Hamas

È per questo, dunque, che Netanyahu ha continuamente aiutato Hamas a crescere, chiedendo al Qatar di finanziarla nell’ottica -si dice- di contrapporla all’OLP di Abu Mazen?

Volevamo credere che Hamas fosse per la pace e la tranquillità. Volevamo credere che una volta che Hamas fosse diventata un Governo, ovvero detenesse il controllo della popolazione e del territorio, avrebbe avuto l'istinto politico della sopravvivenza, ciò che significa mantenere la gente soddisfatta, a un livello minimo di benessere. Per questo pensavamo volessero sempre maggiori benefici economici. “Vogliono pace e tranquillità per garantire il loro Governo”. Noi, noi israeliani, con tutte le nostre capacità intellettuali, non immaginavamo che stessero complottando per tutto questo tempo allo scopo di venire a ucciderci nei nostri letti, nelle nostre case.  L'odio verso Israele era più grande del loro desiderio di governare.

Restano comunque molte perplessità sulle modalità adottate dal vostro esercito nel chiedere gli spostamenti della popolazione civile di Gaza.

Hamas, oltre a nascondersi dietro e sotto installazioni civili, trasformandole in avamposti militari, e oltre a colpire continuamente la nostra popolazione civile, cerca allo stesso tempo di spingerci a causare il maggior numero di danni possibili alla propria popolazione civile. Quando noi chiediamo ai civili palestinesi di evacuare per sfuggire al pericolo, loro li chiamano a restare. È una situazione asimmetrica e aumenta, di molto, il numero delle vittime, cosa che noi non vorremmo assolutamente. Ma questa è una guerra, le guerre sono raccapriccianti. Le guerre sono crudeli e noi non volevamo questa guerra. 

Non la volevate, ma adesso il vostro Governo non mostra alcuna intenzione di fermarla…

Ma se fermiamo questa guerra prematuramente, non faremo altro che prolungarla perché, come è stato detto ai media dai leader di Hamas, loro verranno ancora e ancora e ancora. Quindi, ironia della sorte, la via per la pace in Medio Oriente, adesso, passa attraverso la guerra; e questa non è una cosa che volevamo, non è una cosa che il nostro Governo voleva. E si può avere o non avere simpatia per certi ministri, essere d'accordo con loro o non essere d'accordo con loro. Ma nessuno di loro, nessuno dei ministri israeliani ha deciso di entrare in guerra, ha iniziato una guerra. Questo è stato ciò che Hamas ci ha imposto il 7 ottobre. Ora che siamo in guerra, ci sono idee diverse su come fermarla, a quali condizioni, quale dovrebbe essere l'obiettivo ultimo. Ma nessuno di questo Governo ha chiesto di entrare in guerra il 7 ottobre. Questo è molto importante ricordarlo.

Gli aiuti umanitari

Che dire, Signora Ambasciatrice, dell’accusa pesante, in qualche modo rilanciata anche dai giudici dell’Aja, di non favorire, se non addirittura in alcuni casi di ostacolare, l’entrata e la distribuzione degli aiuti umanitari a Gaza?

Siamo disposti a continuare a lavorare con la Comunità internazionale per far arrivare a Gaza sempre più assistenza. Vogliamo che la popolazione riceva assistenza. È nostro interesse. Ma ripeto, se fermiamo la guerra ora, verranno ancora e ancora e ancora. E questo è ciò che ogni Paese avrebbe fatto se, Dio non voglia che accada mai, la gente si fosse svegliata in Svizzera, in Gran Bretagna, negli Stati Uniti, ovunque, per scoprire che più di 1000 persone erano state massacrate in un paio d'ore. I Paesi hanno il diritto di autodifesa. Il diritto internazionale non dice ai Paesi di suicidarsi, ma di proteggere i propri cittadini, ed è quello che stiamo facendo. Solo questo.

Il rapporto con la Svizzera

Una parola sul rapporto tra Israele e la Svizzera, che la riguarda molto direttamente: come si sta comportando la Svizzera secondo lei? Come giudica il comportamento della Svizzera di fronte a questa guerra?

Sono stata nel Ministero degli Esteri israeliano per 30 anni, ma è la prima volta che sono a capo di una delegazione, Ambasciatrice, e mi sento privilegiata e onorata che sia in Svizzera. Ma non importa se sono un’ambasciatrice relativamente da poco. Nulla può prepararti a uno stato di guerra. Tantomeno ad un attacco come questo. Quindi stiamo tutti cercando di trovare quale sia il modo migliore per servire il nostro Paese, io in Svizzera come sicuramente i miei colleghi in tutta Europa e nel mondo. Cerchiamo di difendere il nostro popolo, i nostri cittadini che vengono dalla Svizzera/abitano in Svizzera. E quindi vi dirò sempre che si può fare molto di più. Non mi sentirò mai soddisfatta.

Questo non vuol dire che non siano state fatte cose importanti. Innanzitutto, credo che il Consiglio federale svizzero abbia preso una decisione molto importante, quella di vietare Hamas, di approvare una legge che mette fuori legge Hamas. Penso che sia molto tempestiva e opportuna. La Svizzera non doveva rimanere l'unico, o quasi l’unico Paese europeo a non aver preso alcuna decisione contro Hamas, perché questo avrebbe solo incentivato Hamas a venire qui. Vorrei che il Parlamento approvasse il più rapidamente possibile la decisione. È un passo importante nella giusta direzione.

La questione dell'UNRWA

Proprio in questi giorni la Svizzera ha confermato di aver sospeso provvisoriamente i finanziamenti all’UNRWA, in particolare dopo la documentazione presentata da Israele sul coinvolgimento di impiegati dell’organizzazione onusiana nei crimini di Hamas.

Il messaggio del vostro Parlamento, come anche vostro del Ministro degli Esteri, è che questa organizzazione delle Nazioni Unite sta facendo qualcosa di sbagliato, perché abbiamo visto cosa esce dalle loro scuole e abbiamo visto come le loro installazioni, le loro scuole, le loro strutture vengono utilizzate da Hamas. Lo sapevamo già, ma ciò che è stato reso pubblico ora, ciò che è emerso ora è allarmante, davvero allarmante. Non importa che si tratti di 12 persone o non so quante: il fatto che sia successo, che le persone che prendono lo stipendio da UNRWA abbiano  partecipato a un massacro così orribile, o ancora che gli insegnanti di UNRWA abbiano celebrato su Telegram il massacro, è un campanello d'allarme per la leadership di UNRWA. Il 7 ottobre è stato un campanello d'allarme per noi israeliani, ma anche per la Comunità internazionale. E credo che le istituzioni e le agenzie delle Nazioni Unite, soprattutto quelle che operano a Gaza, debbano prendere questo campanello d'allarme molto, molto seriamente. Devono smettere di insegnare ai bambini l'estremismo, l'incitamento e la glorificazione dei terroristi. Quindi è necessaria una riforma radicale. E se vogliamo guardare al day after a Gaza e parlare della radicalizzazione di Gaza, il sistema educativo deve cambiare prima di tutto il resto.

E per restare all’ONU, cosa può fare a suo parere la Svizzera in questo periodo durante il quale fa parte del Consiglio di Sicurezza.

Il Consiglio di Sicurezza esamina i testi presentati dai diversi Paesi. Quindi vedo la Svizzera come un Paese che ora, in questo mondo particolare, ha una responsabilità speciale per i testi che vengono votati in questo periodo. Ed è molto importante, credo, per tutti i Paesi, compresa la Svizzera, che si votino solo testi che dicano la verità e che parlino del 7 ottobre. Israele non è l'aggressore. Israele è la vittima. Israele non ha deciso di entrare in guerra. E bisogna parlare di ciò che è successo il 7 ottobre per capire perché stiamo combattendo. La nostra lotta non è con la gente di Gaza, ma con Hamas. Sono sfortunati ad avere Hamas che li governa. Prego anche per loro, non solo per il mio popolo, affinché, una volta finita la guerra, non abbiano Hamas come governo, perché ad Hamas non importa nulla di loro. Gli interessa costruire una macchina da guerra per combattere Israele.

La soluzione dei due Stati

Non sembra si possa dire, Signora Ambasciatrice, che il vostro attuale Governo si stia adoperando per favorire, dopo questa guerra, il realizzarsi della soluzione dei due Stati, così come originariamente voluta dalla Comunità internazionale. Anzi, lo stesso Netanyahu -per non parlare di alcuni suoi ministri fautori espliciti di uno Stato ebraico esteso a tutta la Palestina- si dice contrario a questa soluzione. Lei può dirmi quale, a suo parere, potrebbe essere nel dopoguerra la soluzione che permetta a Israele di vivere in sicurezza ma anche ai palestinesi di avere una loro Patria?

Al momento non mi è chiaro precisamente se il Primo Ministro sia favorevole o contrario a questa ipotesi, perché lui pure in passato aveva parlato di una soluzione a due Stati. Quello che posso dirvi con molta sicurezza è che c'è un'ampia sensazione in Israele che siano prematuri in questo momento i molti tentativi di convincerci a entrare nel merito di questa soluzione dei due Stati. Siamo nel mezzo di una guerra feroce con un nemico feroce. Abbiamo 136 persone tenute in clandestinità nei tunnel. È una questione di sensibilità, gli israeliani hanno delle ferite aperte, non abbiamo nemmeno seppellito tutti i nostri morti, perché Hamas è in possesso di almeno 20-30 corpi, e stiamo seppellendo soldati ogni giorno. Non siamo al punto di poter discutere di soluzioni politiche salvifiche. Il nostro obiettivo immediato era quello di eliminare una minaccia alla sicurezza, che è Hamas, e di recuperare la nostra gente. Ora nessuno sa quando e come la guerra finirà.

Però, francamente, mi sembra che in Israele sia in corso, come lo era già prima del 7 ottobre, un acceso dibattito sulla questione della fattibilità della soluzione a due Stati…

Sì, ma come possiamo sostenere questa soluzione quando Abu Mazen stesso [il leader dell’Autorità Palestinese in Cisgiordania] non è chiaramente deciso? Non ha deciso se è disposto a scendere a compromessi e intanto non sta diventando più giovane o più sano (e non ha un successore). E il Medio Oriente è un luogo molto incerto, dove quando stringi la mano a un leader, non sai cosa succederà il giorno dopo. Dobbiamo essere sicuri con chi stiamo facendo un accordo, con chi stiamo firmando un accordo. E se non sappiamo cosa succederà in Cisgiordania, figuriamoci a Gaza. L'obiettivo immediato è sbarazzarsi di Hamas, del dominio di Hamas su Gaza e del suo possesso di capacità militari che ci mette in pericolo. Se e quando Hamas sarà fuori dai giochi, si tratterà di vedere chi si presenterà a Gaza per sostituirla. Solo quando in Israele si avrà la sensazione che vi sia un partner, un vero partner di cui ci si possa fidare, ricostruendo la fiducia che gli israeliani hanno perso nei confronti dei loro vicini palestinesi, potremo discutere di soluzioni politiche. Penso che ora sia molto prematuro dire se ci sarà una soluzione a due Stati. Con chi? Con Hamas non ci sarà una soluzione a due Stati. Con l'Autorità Palestinese, il cui leader non ha denunciato il massacro di ottobre e continua a pagare le famiglie dei terroristi? Non so se sarà un'Autorità Palestinese riformata o altro, ma quando vedremo dei leader palestinesi disposti ad accettare Israele (e non a dire che sono contro il terrorismo salvo poi continuare a sostenerlo), solo allora saremo pronti: ma non siamo ancora a quel punto. Dobbiamo essere molto cauti e graduali nel procedere verso un fine.

Un'ultima cosa. Lei ha costatato una crescita, un aumento dell'antisemitismo in Svizzera in questi ultimi mesi? Ne è allarmata?

L’aumento dell'antisemitismo c’è stato in tutto il mondo, con particolare attenzione a certe regioni dell'Europa e agli Stati Uniti. In Svizzera, posso dire che la situazione è ancora molto, molto, molto migliore, ma ogni minimo aumento è comunque allarmante. So che le organizzazioni che monitorano l'antisemitismo sono al lavoro per raccogliere i dati e analizzarli, e possono già parlare di una crescita. Ma quello che consiglio ai colleghi svizzeri a tutti i livelli, comunale, cantonale e federale, è di guardare a ciò che sta accadendo a Londra, a Parigi, in alcune parti degli Stati Uniti, specie nelle università negli Stati Uniti: questo è il punto a cui non dovete arrivare. Fate quello che potete ora per impedirlo. E c’è un moderno e sottile antisemitismo che non consiste nel girare con la svastica, ma che disumanizza gli ebrei, dicendo che non hanno il diritto di difendersi, dicendo che l'unico Stato ebraico non può davvero combattere per se stesso, cosa che ogni Paese avrebbe fatto; e poi accusando tutte le altre comunità ebraiche nel mondo di ciò che fanno gli israeliani, come se fossero responsabili di ciò che fa Israele. Quando invece sono cittadini svizzeri. Sono cittadini americani. Sono cittadini britannici o francesi. Non sono nemmeno cittadini di Israele. Io rappresento Israele, non loro, e non devono prendersi la colpa di quello che noi stiamo facendo.

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