Le riflessioni da Beirut di Claudio Mésoniat: "Il capo di Hezbollah, non deve compiere l'errore di Zelensky, che fino all'ultimo ritenne impossibile l'invasione di Putin. Solo così si potrà evitare un nuovo disastro."
di Claudio Mésoniat - contributo de ilfederalista.ch
Beirut. Gli agenti turistici della capitale, una splendida città che dalle verdi colline cosparse di cedri millenari scende verso gli spettacolari faraglioni simbolo di Beirut e si tuffa nelle acque blu e verdi del Mar di Levante, non si danno pace: “Perché in Europa si parla di guerra nel Libano e si bloccano i viaggi turistici? Qui non c’è nessuna guerra, vi sembra che Beirut sia cambiata dall’autunno scorso?”.
No Beirut non appare cambiata. La gente, qui, non parla di guerra, vive la sua laboriosa ma quieta normalità e la sera, se rimane qualche dollaro, lo va a spendere nei bar e nei ristoranti. E il conflitto con Israele, di cui sono piene le news? È un affare di Hezbollah, il resto del Libano non c’entra, non vuole averci a che fare. Ma… Ci sono tanti “ma”.
Per incominciare c’è la parte sud di Beirut, quella povera e abitata da musulmani sciiti, dove la guerra è uno spettro incombente. E non solo perché gran parte dei miliziani di Hezbollah mobilitati sul fronte sud del Paese sono i loro figli, appartengono alle famiglie dei quartieri meridionali di Beirut. Con i loro stipendi, pagati da Teheran, danno da mangiare ai parenti e fanno studiare i fratelli più piccoli; ma arrischiano la pelle: quasi ogni giorno qualcuno di loro viene accompagnato al cimitero da folle che, inneggiando al nuovo “martire della resistenza”, ne inalberano le gigantografie.
E poi c’è l’occhiuta intelligence di IDF (l’esercito di Tel Aviv), che ha già dimostrato di saper entrare chirurgicamente nelle case della città, infestata di spie al soldo di Israele, per eliminare questo o quel capo di Hamas o di Hezbollah. Peraltro IDF ha già mostrato di non essere affatto sempre infallibile nelle proprie operazioni “chirurgiche”, come ben sanno i palestinesi di Gaza.
Israele e la tentazione di farla finita con Hezbollah
Ma c’è dell’altro, c’è l’ombra di una minaccia ancor più nera che in queste ore grava sul Paese dei Cedri, proprio quando, finalmente, un cessate il fuoco tra Hamas e Israele sembra a portata di mano, con il logico riflesso di una distensione anche sul teatro di guerra settentrionale (sciaguratamente aperto dalla milizia libanese filosiriana –ricordiamolo- come segno di “solidarietà con i fratelli palestinesi”).
Eppure, il Governo Netanyahu continua a subire la tentazione di “farla finita”, costi quello che costi, con Hezbollah. Sul fronte opposto, paradossalmente, l’attuale Governo ad interim di Beirut non sembra consapevole della persistente minaccia di una guerra a tutto campo e lo stesso leader sciita libanese, Hassan Nasrallah, si professa fiducioso che “non vi sia motivo per temere l’estendersi dello scontro” con lo Stato ebraico.
“Nasrallah farà lo stesso errore di Zelensky?”, si chiede Antony Samrani oggi su “L’Orient Le Jour”. Il ragionamento fila, il paragone ci sta. Fatte, ovviamente, le debite distinzioni, giacché non si tratta di stabilire un’equivalenza tra la dittatura de facto imposta alla Russia dal tirannico Putin e la democrazia israeliana, che tale resta nonostante l’irresponsabilità del Governo che attualmente la guida.
Lo choc esistenziale del 7 ottobre
Quel che combacia è che come Zelensky, il quale fino al giorno prima dell’invasione russa non credeva (come del resto buona parte dell’Occidente) che Putin avrebbe osato di varcare il Rubicone, così Nasrallah tende a escludere che Netanyahu possa lanciarsi nell’impresa di un’invasione militare del Libano sfidando l’opposizione del suo fondamentale alleato americano e senza calcolare le ingenti perdite, sia umane che sul piano delle infrastrutture, che Israele subirebbe (le truppe di Hezbollah, lo ripetiamo da tempo, hanno un forza d’impatto valutata come dieci volte superiore a quella di Hamas).
Ciò che il leader sciita libanese sembra sottovalutare è che il massacro del 7 ottobre ha provocato in Israele uno choc esistenziale, una ferita che anche in Occidente non riusciamo a comprendere appieno.
D’altra parte, Netanyahu gioca la propria sopravvivenza politica sulla promessa –irrealizzabile- di annientare con la forza ogni possibile fonte di futura minaccia allo Stato ebraico. La distruzione delle infrastrutture di Hezbollah, fin dentro le regioni interne del Libano, a Tiro e Sidone, nella valle della Bekaa e nelle periferie di Beirut, sembra ora alla portata di un esercito mobilitato e pronto a tutto. Un’opzione che, stando ai sondaggi, gode del consenso di una maggioranza della popolazione israeliana.
I libanesi non perdonerebbero Nasrallah (né gli USA Netanyahu)
In conclusione, solo la certezza di una completa rottura, non solo diplomatica, con gli Stati Uniti di Biden e con la stessa Unione europea è lo scenario che può fermare un simile piano dissennato, sostenuto a spada tratta dagli esponenti dell’estremismo sionista all’interno dell’attuale Governo di Tel Aviv.
Quanto all’uomo chiave sul fronte libanese, Hassan Nasrallah, egli è certamente consapevole che l’essere all’origine di una nuova insostenibile guerra con il “nemico sionista” non gli sarebbe perdonato dalla stragrande maggioranza dei suoi concittadini.
Si tratterà, da parte sua, di dichiararsi espressamente pronto a immediate trattative sulle questioni aperte relative alle frontiere con lo Stato ebraico. Ne avrà l’occasione tra poche ore, in un discorso da poco preannunciato in occasione dell’incipiente Ramadan.