Theodore Kaczynski, docente universitario di matematica, l'uomo che per 17 anni seminò terrore negli USA tentando di far pubblicare i suoi j'accuse contro la società tecnologica
di Massimo Picozzi
David e sua moglie Linda sono proprio una bella coppia, e niente può incrinare la serenità del loro rapporto. Certo, c’è sempre la vecchia storia di Ted, il fratello maggiore di David, ma ormai sono passati anni da quando si sono sentiti l’ultima volta, e la ferita pare ormai rimarginata.
Ted, che fin da bambino si è rivelato un genio, tanto che l’hanno accettato ad Harvard che ha solo sedici anni; poi si è laureato all’Università del Michigan, e specializzato in teoria geometrica delle funzioni. Ted, che nel 1967, all’età di 25 anni, lo hanno assunto come professore di matematica a Berkeley, uno degli istituti più celebri del mondo.
Era destinato a una carriera brillante, ma due anni più tardi, improvvisamente, ha presentato le sue dimissioni. La spiegazione stava nel fatto che Theodore Kaczynski era tanto abile nella professione, quanto un disastro nei rapporti con gli altri. Desiderava avere amici, una ragazza, ma non sapeva avvicinarsi a nessuno in modo equilibrato, e alla fine si era convinto che era meglio mollare tutto, comprarsi un pezzo di terra in qualche parte sperduta del mondo, e dimenticare l’umanità che non lo capiva.
David e Linda sono proprio una bella coppia, ma sono anche due membri attivi della comunità, due cittadini orgogliosi d’essere americani, e per questo turbati da ogni nuova impresa di quell’assassino dinamitardo che tutti chiamano Unabomber.
La storia era cominciata la mattina del 26 maggio 1978, nell’area di parcheggio che stava davanti al campus della Northwestern University, Illinois, quando uno degli addetti della sicurezza aveva raccolto un pacco che gli era esploso in mano. Nei diciassette anni successivi, Unabomber aveva ferito ventitre volte e ucciso tre vittime innocenti, senza lasciare alcuna traccia di sè.
La svolta era arrivata nell’aprile del 1995, quando l’attentatore usciva allo scoperto.
Una prima lettera l’aveva spedita ai premi Nobel Phillip Sharp, genetista del MIT, e Richard Roberts, dei New England Biolabs del Massachussetts; a loro Unabomber aveva scritto “Sarà di beneficio per la vostra salute se smetterete le vostre ricerche sulla genetica”.
Contemporaneamente un secondo messaggio era arrivato al New York Times; parlando di sé al plurale, l’attentatore aveva proposto un accordo: “Vi offriamo un patto. Abbiamo un lungo articolo, tra le 29.000 e le 37.000 parole, e vogliamo che venga pubblicato”. Se fosse stato accontentato, aveva aggiunto, non avrebbe fatto più vittime umane; magari non si sarebbe fermato con i sabotaggi, ma basta morti e feriti.
E prima ancora che gli arrivasse una risposta, aveva spedito sia al New York Times che al Washington Post il suo manifesto con l’ambizioso titolo di “La società industriale e il suo futuro”; si trattava di un lungo e farneticante atto d’accusa sui disastri che la tecnologia stava procurando al mondo, rendendo tutti schiavi destinati a essere, nel futuro, controllati dalle macchine. Per evitare la catastrofe c’era solo un modo: ritornare alla natura, gettando via telefoni e computer e televisioni.
La decisione se pubblicare o meno il manifesto aveva suscitato feroci dibattiti, ma alla fine, il 19 settembre 1995 ne venivano messe in circolazione più di 850.000. Per Jane Kirtley, direttrice del Comitato per la Libertà di Stampa si era trattato di un errore, ma per il presidente Bill Clinton una mossa da approvare.
Tocca a Linda scoprire che c’è qualcosa di familiare nelle frasi del Manifesto pubblicato dai quotidiani. Gli sembra tanto di leggere le parole del cognato Theodore, che tutti chiamano Ted. Passa il giornale a David, che salta sulla sedia quando arriva a un passaggio dello scritto, una cosa che gli accende un ricordo.
Erano piccoli lui e Ted, e la loro mamma era solita intercalare i suoi discorsi con vecchi proverbi e modi di dire. Ce n’era uno in particolare che faceva così: “You can’t have your cake and eat it, too”, non puoi mangiarti il dolce e insieme conservarlo. Un pò come da noi dire “Non puoi avere la botte piena e la moglie ubriaca”.
Il fatto è che la donna sbagliava sempre, e invertiva la frase in “You can’t eat your cake and have it, too”.
Ma nonostante tutto, David ancora non vuole convincersi che Ted e Unabomber siano la stessa persona. Si rivolge a un paio di detective privati che si mettono a valutare tutti gli indizi, e alla fine consegnano a David una relazione, dove sta scritto che ci sono almeno il 60% di probabilità che suo fratello Ted sia il più famoso attentatore dinamitardo degli Stati Uniti. A questo punto David non può far altro che prendersi il lavoro dei suoi investigatori, e presentarsi all’FBI.
Il 3 aprile del 1996 Max Noel della squadra Unabomb, Tom McDaniel dell’Fbi e Jerry Burns dell’U.S. Forestry Service, fanno irruzione nella casa di Theodore Kaczynski.
Ci vuol poco anche a perquisire la casa, un buco di tre metri per tre, dove accanto a un mucchio di libri ci sono contenitori pieni di materiali per fabbricare bombe. Sotto il letto c’è anzi un ordigno già pronto per essere piazzato, anche se è difficile dire chi sarebbe stato il bersaglio, perché in mezzo a tubi e detonatori si trova un foglio con un lungo elenco di psichiatri, genetisti, professori di informatica e giornalisti.
La caccia è finita.
Gli psichiatri chiamati a esaminarlo, scoprono nell’uomo una grave forma di schizofrenia, ed è così che Unabomber evita la pena di morte. La sentenza al carcere a vita, con la condanna risarcire le vittime per un importo pari a 15 milioni di dollari, arriva il 4 maggio 1998.