Hauptman ha continuato a proclamarsi innocente; almeno fino al 2 aprile 1936, quando lo hanno accompagnato nel suo ultimo viaggio, destinazione la sedia elettrica del carcere di Trenton
di Massimo Picozzi
L’hanno chiamato “Il processo del secolo”, e ci sono volute 29 udienze e 162 testimoni, prima che il 13 febbraio 1935 Bruno Hauptmann fosse riconosciuto colpevole del rapimento e della morte di Charles Lindbergh Junior; lui continuerà a proclamarsi innocente fino al 2 aprile 1936, quando salirà sulla sedia elettrica nel carcere di Trenton.
Una storia terribile, che inizia il primo marzo del 1932 a Hopewell, nel New Jersey.
Sono da poco passate le otto di sera quando Betty Gow, la governante, mette a letto il piccolo, che ha solo due anni, mentre mamma Anne sta in poltrona, tranquilla e in felice attesa del secondo figlio. E’ rientrato a casa anche suo marito, l’eroe nazionale, quel Charles Lindbergh capace di attraversare in un volo solitario l’Oceano Atlantico, e per questo acclamato dalle folle e persino dal Presidente degli Stati Uniti.
Alle dieci Betty decide di coricarsi, non prima però di dare un ultimo controllo a Jiunior; ma quando si avvicina al lettino, scopre che al posto del bimbo c’è solo una lettera, la richiesta di un riscatto piena di errori di grammatica: “Egregio signore! Tieni pronto 50.000 dollari 25.000 in carte da 20 e 15.000 da 10 e 10.000 da 5. Dopo 2- 4 giorni diremo dove conseniare i soldi. Non parlare con nesuno e non avisare polisia. Bambino curato bene. Il segnale di riconoscimento di tutte le lettere è la frima e tre buchi.”
Non ci vuol molto a scoprire che il rapitore è passato dalla finestra, lasciando le sue impronte nel terreno; a pochi metri c’è uno scalpello, e poi una scala costruita a mano, in tre parti separate, montabile a incastro fino a un’altezza di due metri e mezzo.
La parte centrale ha i pioli spezzati, forse ha ceduto sotto il peso supplementare del bimbo. Sarà proprio questo, uno degli elementi che tradiranno il colpevole.
In casa Lindbergh è il caos: poliziotti, investigatori, politici, vicini di casa, tutti insieme a offrire il proprio aiuto. Tra i tanti, scende in campo l’ex preside e insegnante di matematica John Condon, settantuno anni, che fa pubblicare un annuncio sulle pagine di un quotidiano: “Offro tutto ciò che posseggo affinché una madre amorosa possa riavere il suo bambino e il colonnello Lindbergh possa sapere che gli americani gli sono grati dell’onore che egli ha conferito loro con il suo coraggio e la sua audacia”.
Inaspettatamente, il rapitore risponde, e tra il criminale e Condon inizia uno scambio di messaggi che si conclude con il pagamento del riscatto, 50.000 dollari dollari in certificati aurei, consegnati la notte del due aprile nel piccolo cimitero di St. Raymond, nel Bronx.
Il 12 maggio 1932, settantadue giorni dopo il rapimento, un passante scopre per caso il cadavere del piccolo Charles Lindbergh Junior, in un bosco a pochi chilometri da Hopewell.
Nonostante l’avanzato stato di decomposizione del corpo, è possibile stabilire che la causa della morte è un grave trauma al capo riportato durante il rapimento, forse per la caduta dalla scala che si è rotta.
Quel che è certo è che al momento della trattativa, il piccolo era già morto.
Trascorrono più di due anni e mezzo prima che la polizia s’imbatta in una traccia importante. Iniziano a circolare alcuni dei certificati aurei utilizzati per il riscatto e di uno è possibile individuare la provenienza; arriva da un distributore di benzina, e il gestore dell’impianto si ricorda benissimo che glielo ha dato un cliente, ma che lui, nel dubbio che fosse falso, aveva annotato sopra il numero di patente del guidatore.
La licenza di guida appartiene a Bruno Hauptmann.
Gli agenti fanno irruzione nell’appartamento dell’uomo, che si difende, gridando che lui non è un criminale; ma basta una sommaria perquisizione per recuperare buona parte del riscatto.
E non è l’unico indizio a carico di Hauptmann. Ci sono le perizie calligrafiche sui messaggi, poi l’esame della scala e dello scalpello usati nel rapimento.
Arthur Koehler, uno dei massimi esperti di botanica forense, analizza la scala, individuando gli strumenti e il legname usati per costruirla. Utilizzando i principi della dendrocronologia, la disciplina che stabilisce l’età di una pianta dal numero dei cerchi concentrici di una sezione, riesce persino a risalire al deposito nel quale è stato comprato. Inoltre il legno è di scarso valore, mai esposto alle intemperie e con quattro fori: quasi certamente è servito per il rivestimento di una soffitta o un garage.
Durante il sopralluogo nella casa di Hauptmann, gli investigatori si accorgono che una delle assi della soffitta è più corta delle altre di circa due metri. Koehler analizza il legno, il colore, gli anelli, trova la corrispondenza dei fori: un pezzo della scala senza dubbio proviene da lì. E ancora, nella cassetta degli attrezzi di Hauptmann ogni utensile è al suo posto, eccetto uno scalpello da tre quarti di pollice, del tutto simile a quello trovato sulla scena del crimine.
Per Bruno Hauptman la condanna è inevitabile. Anche se, durante il processo e per tutti gli anni ’30 e ’40, qualcuno ha sostenuto come il piccolo Lindbergh sia stato vittima di un incidente domestico, cadendo dalle braccia del padre, che non aveva osato confessare la sua colpa. Altri hanno suggerito l’ipotesi di un gesto di follia della più giovane delle sorelle di Anne Lindbergh, e chi ancora ha parlato di un’oscura macchinazione che avrebbe coinvolto il mondo politico ed economico dell’epoca.
Quel che è certo è che Hauptman ha continuato a proclamarsi innocente; almeno fino al 2 aprile 1936, quando lo hanno accompagnato nel suo ultimo viaggio, destinazione la sedia elettrica del carcere di Trenton