CORONAVIRUS
Il Prof Cerny: "Non è il momento di riaprire! Ecco la mia prognosi"
"Riaprire (anche se dipende da cosa si intende per ‘riaprire’) il 14 aprile sarebbe secondo me sbagliato e manterrà l’epidemia viva a basso/medio livello. Il rischio è che..."
TiPress/Pablo Gianinazzi

di Andreas Cerny *

 

Quali misure andranno prese nelle prossime settimane e mesi? Per me da medico, ma per tutti penso, è una domanda estremamente complessa. Se per una pandemia si può aprire il cassetto e tirar fuori la busta gialla, poi quella arancione e poi la rossa, per il riavvio post epidemia non abbiamo degli scenari pronti.

 

Il fermo tocca tutti gli aspetti della vita sociale: l’economia con tutti i suoi settori: dalla fiorista agli alberghi, la mobilità pubblica, privata, internazionale, il settore della salute e benessere, l’insegnamento, dall’asilo agli atenei con studenti provenienti da Singapore al Brasile, eccetera…

 

Cina/Singapore/Corea del Sud e Hongkong hanno usato una strategia in sé semplicissima: un’attività o un servizio possono essere riavviati solo se possono garantire una sicurezza al 100%, sia per chi la offre sia per chi la consuma.

 

La semplicità si ferma li. La complessità sta nell’applicazione. Applicando questo criterio, infatti, l’onere della prova spetta a chi vuole riaprire la sua attività:

- uno studio medico deve garantire che tutti i collaboratori siano sani (COVID-19 immuni o negativi) e che le procedure permettano di gestire in sicurezza anche un paziente potenzialmente portatore del virus.

 

- nel caso di una palestra è già molto più complesso. Come faccio a garantire all’utente che tutti coloro che lavorano e che utilizzano la struttura siano sani, in un luogo dove si fanno attività fisiche emettendo goccioline ed aerosol in uno spazio chiuso?

 

- pensiamo poi agli aeroporti: ci vorrà tanto tempo per ricreare una rete di voli nazionali ed internazionali in un mondo dove ci saranno dei paesi dove l’epidemia non è ancora completamente controllata ed altri che sono “puliti” e super esigenti sui passeggeri che accettano come origine e destinazione dei voli.

 

- pensiamo alle nostre strutture e agli eventi turistici e culturali… il Festival di Locarno e molti altri: nessuno vorrà venire in Ticino o in Svizzera se non saremo in grado di garantire la sicurezza di chi ci visita, e che gli ospiti non siano contagiosi; lo stesso vale per l’USI, il Franklin college o l’Accademia d’architettura, l’IRB etc. etc.

 

Vengo al punto: chi pensa ad aprire in fretta qualche fabbrica secondo me non ha capito la complessità della nostra vita pubblica. È vero che una fabbrica sarà più facile da far ripartire, ma poi va considerata tutta la catena di produzione coinvolta – chi fornisce i materiali di base per la produzione, chi compra i prodotti, chi li trasporta… e la catena tra produttore e rivenditore esiste ancora o è fallita?

 

Chi pensa che il nostro Cantone potrebbe farcela da solo sbaglia: tantissimo dipenderà non solo dal farlo bene, ma anche dal farlo bene assieme al resto della Svizzera. La comunicazione deve essere trasparente, corretta e ben concertata: gli errori possono costarci tantissimo sia verso l’interno, nei confronti dei nostri concittadini, che verso l’esterno.

 

Sul Guardian avevo letto un articolo sul tema nel quale si diceva: “Fino a quando un Paese non ha dimostrato di aver controllato la trasmissione, la normale vita economica non può riprendere. I turisti non lo visiteranno e i viaggi internazionali non saranno ammessi, il che significa che, fino a quando non avranno il controllo del coronavirus all'interno dei propri confini, i paesi non saranno in grado di unirsi nuovamente alla comunità mondiale nell’ambito del libero scambio"

 

Una frase che riassume bene l’esperienza cinese e sarebbe anche la mia conclusione: agire diversamente non è una buona idea è incrementa e prolunga il danno.

 

Dopo una fase di decrescita dei contagi, che durerà circa 4-6 settimane (è una mia stima pensando ad una curva +/- simmetrica) ci sarà una fase con pochi nuovi casi. Non penso che arriveremo a zero casi nuovi, visto che non abbiamo fatto un completo “lock down”. In questa fase post epidemia si dovrà ritornare al “testing and contact-tracing”.

Se facessimo come il Veneto identificando a tappeto immuni e non-immuni saremmo meglio messi per il rapido depistaggio di nuovi casi e dei loro contatti.

 

Sulla fase nei mesi successivi diventa ancora più difficile fare una prognosi. Nessuno sa se il virus rimarrà nella nostra popolazione, molto dipenderà da quanto grande sarà la percentuale della popolazione infetta durante questo primo passaggio del virus. Forse sono già molto di più in % di quanto sappiamo. Forse si è formata una certa immunità di gregge…

Non sappiamo nemmeno se domani disporremo di un medicamento molto efficace contro il virus: se sì, basterà fare la diagnosi e prendere la ‘superpillola’ per qualche giorno. Non sappiamo, soprattutto, quando arriverà un vaccino ben tollerato e in grado di proteggere a lungo termine. Anche questa variabile cambierà le regole del gioco.

 

Detto tutto questo, penso che il Ticino non può inventarsi la propria strategia di riavvio post “lock down”, ma lo deve fare in maniera concertata con la Confederazione, che spero sia in grado di coinvolgere tutti partner della società civile toccati.

 

Riaprire (anche se dipende da cosa si intende per ‘riaprire’) il 14 aprile sarebbe secondo me sbagliato e manterrà l’epidemia viva a basso/medio livello. Il rischio è che la fiducia nelle istituzioni da parte della popolazione e dei partner nazionali ed internazionali venga erosa: ci saranno dei genitori che rifiutano di mandare i loro figli a scuola, degli insegnanti e una parte dei lavoratori a rischio, che si metteranno in malattia, ci saranno nuove epidemie in case per anziani, altri Cantoni o paesi che chiederanno la quarantena per chi proviene dal Ticino, eccetera.

 

Il Ticino ha assunto un ruolo di leader in questa prima fase dell’epidemia: il resto della Svizzera ci guarda attentamente.

 

* direttore Epatocentro Ticino

 

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