CORONAVIRUS
Luca Soncini: “Nessuno può ignorare il parere degli epidemiologi. Ma no a un conflitto tra esigenze sanitarie ed economiche. E dobbiamo dirci alcune verità”
Il professore di finanza all'USI spiega la sua visione della crisi: “Occorre garantire la vita socio-economica proteggendo al tempo stesso la salute di noi tutti. Ecco il mio modello per cercare di farlo”. E sui prestiti a fondo perso dice che…
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di Marco Bazzi

 

LUGANO - Luca Soncini è docente di finanza all’Università della Svizzera italiana, economista e membro del Consiglio di amministrazione di BancaStato. In questa intervista spiega la sua visione della crisi legata alla pandemia di Coronavirus e le sue idee per affrontarla.

 

Professore, i contagi sembrano aver imboccato la china discendente, ma già prima che si raggiungesse l’apice diversi esponenti dell’economia e della politica premevano per una ripresa delle attività e un allentamento del lockdown decretato dalle autorità federali e cantonali. Ora il Governo sta valutando i prossimi passi, ma i medici lanciano l’ennesimo allarme: riaprire prima di inizio maggio sarebbe un errore fatale. Lei da che parte si schiera?

“Nessuno, Governo compreso, può ignorare il parere degli epidemiologi. È evidente che ci troviamo in una situazione critica, e che ci sentiamo schiacciati tra l’incudine della crisi e il martello della pandemia. Ma ritengo che affrontare il problema con questo schema da bianco o nero sia un errore. Dobbiamo a mio avviso pensare, a questo punto, a garantire il sostentamento delle imprese, piccole, medie o grandi che siano, dei lavoratori e delle famiglie – senza illuderci che le risorse dello Stato siano illimitate -, evitando però di scatenare un conflitto tra le esigenze sanitarie e quelle economiche, che sono due facce della stessa medaglia”.

 

Cosa bisognerebbe dunque fare a suo avviso?

“Occorre garantire il sostentamento delle aziende, dei lavoratori e delle famiglie (la “vita socio-economica”) proteggendo al tempo stesso la salute di noi tutti (la “vita biologica”), di cittadini e lavoratori, con una particolare attenzione alle fasce più a rischio. Mi dirà che la risposta è ovvia. Certo, ma l’attuazione di questi obiettivi lo è molto meno. Dobbiamo quindi definire un piano d’azione politico, sociale, economico e sanitario coordinato e condiviso, a livello federale e cantonale, che, in base all’andamento delle due curve fondamentali - quella del contagio e quella dell’economia –, ci permetta di capire quali misure adottare, quali mantenere e quali revocare, e in quanti mesi potremo uscire da questo incubo”.

 

Lei che tempi immagina?

“Non sono un medico e nemmeno uno scienziato – del resto anche loro brancolano nel buio con questo nuovo virus -. Ma temo che con il problema Covid-19 sul piano sanitario ed economico dovremo convivere tutto l’anno, e che ci sarà una coda anche nei primi mesi del prossimo. Sarà lunga, insomma… Certo, molto dipenderà dal comportamento del virus, dalla responsabilità di ognuno di noi, dalle misure di precauzione che adotteremo, dall’evoluzione dei contagi e dalle armi che avremo per combatterli e limitarli. In altre parole dalla capacità di allestire quel piano d’azione diretto da una “sala comando” con i due cockpit fondamentali: indicatori sanitari e indicatori socio-economici”.

 

E sul piano economico che previsioni fa?

“Non buone, ovviamente. Ci sarà una riduzione del prodotto interno lordo tra il 10, come minimo, e il 20 per cento, seppure differenziato a dipendenza delle regioni e dei settori. Le vittime della crisi saranno molte e alla fine bisognerà fare la conta di chi l’ha superata, di chi vive momenti di difficoltà ma ha buone prospettive di farcela, magari riconvertendo o rimodellando il proprio business, e di chi purtroppo è rimasto sul campo. È un po’ come con il virus: c’è chi l’ha preso e ne è uscito, con conseguenze lievi o nulle, chi ha sofferto ma ha superato la fase acuta, chi ha avuto bisogno di cure intensive, e chi non ce l’ha fatta… Ci saranno delle vittime anche sul piano economico e sociale. Non possiamo nasconderci questa verità”.

 

Lei auspica un piano d’azione multidisciplinare. Ma ci sono molte variabili…

“Lo so che ci sono molte variabili, e che ce n’è soprattutto una: si chiama SARS-CoV 2, un virus che ancora non conosciamo, micidiale, imprevedibile e misterioso anche nella sua malattia Covid19. E quando ci si trova confrontati con elementi variabili, con tante incertezze, che si fa? Si immaginano degli scenari. I classici sono il best-case e il worst-case. Ma all’interno di questi due poli, tra il migliore e il peggiore, si possono declinare altri sotto-scenari”.

 

Proviamo a fare questo esercizio, o almeno ad abbozzarlo…

“Allora, sappiamo che la pandemia ha bloccato le due componenti fondamentali del sistema economico: la produzione e i consumi. Però non possiamo immaginare in questa situazione l’economia come un insieme unico e monolitico. Bisogna ‘sezionarla’ e suddividerla in settori e in tipologie di aziende. Le curve del contagio e della ripresa delle attività vanno disegnate settore per settore. Finora abbiamo dato priorità assoluta all’emergenza sanitaria. Giustamente. Ma adesso cominciamo a pensare a come evitare il dramma sociale, definendo un piano di riapertura graduale, segmentando la ripresa per settori economici, tipologie di aziende e per fasce di età, adottando ovviamente tutte le necessarie misure di protezione sanitaria”.

 

Alcuni medici hanno inviato la politica a non allinearsi soltanto alle misure federali ma soprattutto a quelle lombarde, a guardare a cosa succede a sud del Ticino più che a nord, insomma. Lei che ne pensa?

“Parzialmente corretto. Il piano d’azione dovrà sicuramente tenere conto anche di quello che succede sul piano sanitario ed economico a Sud, in Lombardia e in Piemonte in particolare, regioni con le quali siamo interconnessi a livello di produzione, di manodopera e di scambi commerciali. Ma anche attorno a noi. La pandemia è globale, le soluzioni vanno coordinate, nei “cockpit” ci devono essere anche gli indicatori delle parti di mondo legate a noi”.

 

Pensa che le misure messe in campo a livello federale e cantonale saranno sufficienti per sostenere le aziende?

“La Svizzera ha messo in campo in tempi brevissimi un piano di sostegno eccezionale: dal lavoro ridotto ai crediti a tasso zero garantiti dalla Confederazione, passando dall’IPG, le indennità per perdita di guadagno. Si è iniziato con 10 miliardi, poi altri 20 e adesso siamo a 60, senza contare le misure collaterali, comprese quelle di Banca Nazionale e FINMA. Un forte segnale di solidarietà nazionale e di politica sia sulla domanda che sull’offerta, sui lavoratori/consumatori (garantire stipendi/redditi) e sulle aziende (garantire liquidità). Altre misure seguiranno, perché queste comunque non saranno sufficienti e lo vedremo nelle prossime settimane, valutando anche i tassi di disoccupazione, di insolvenza e di crescita”.

 

Però, a parte le indennità per lavoro ridotto, che coprono fino all’80% dei costi salariali, i prestiti andranno prima o poi rimborsati…

“Chiaro, a un certo punto si porrà il problema dei rimborsi dei crediti e di eventuali interessi allo scadere del primo anno a tasso zero (per i finanziamenti inferiori a mezzo milione). In caso di escussione il garante, vale a dire la Confederazione, deciderà cosa fare nei confronti dei debitori che non saranno in grado di rimborsare i prestiti. Sarà tema a tempo debito. In una situazione di emergenza come questa è giusto secondo me procedere passo per passo, adeguando la velocità con un colpettino ogni settimana all’acceleratore o, se necessario, al freno, guardando gli indicatori sanitari e del sostentamento economico del “cockpit”. Da questo esercizio verranno fuori le decisioni in termini di  ripresa delle attività ai vari livelli”.

 

Però i debiti, anche quelli a tasso zero, peseranno sui bilanci delle società, rischiando di compromettere le linee di credito già aperte con le banche, o peggio ancora di costringere le aziende a depositare i bilanci in Pretura e di dichiarare fallimento…

“Calma, sono temi che andranno affrontati nei prossimi mesi con misure puntuali. Le aziende che hanno una certa solidità, prodotti e servizi da vendere, resilienza e risorse dinamiche proseguiranno la propria attività e rimborseranno i loro debiti come hanno sempre fatto; per altre sarà necessario verosimilmente ristrutturare importi, scadenze, condizioni; per altre ancora, quelle  dei settori maggiormente colpiti dalla pandemia, bisognerà prevedere una ulteriore fase di pacchetti di natura economica”.

 

Diversi imprenditori, piccoli e grandi, hanno auspicato l’erogazione di crediti a fondo perso. Lei che ne pensa?

“Prematuro parlare di crediti a fondo perso e non dimentichiamo che già le indennità di lavoro ridotto sono di fatto un contributo che non va rimborsato. Ora bisogna avere un quadro sulle ipotesi di ripresa e vedere cosa succederà nelle prossime settimane e mesi, poi se saranno necessari i prestiti a fondo perso li si potranno erogare, ma in modo puntuale, a chi ne ha davvero bisogno e sulla base di progetti sostenibili, mettendo in atto dei piani specifici e intervenendo in modo chirurgico per dare ossigeno dove è necessario e utile per la collettività. Altro discorso è il contributo sociale, a fondo perso, di sostegno ai singoli che risultassero vittime della crisi, che “restano indietro” e dovranno essere aiutati”.

 

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