Il Sindacato Unia Ticino e Moesa: "L' allentamento delle misure dovrebbe avvenire in armonia con quanto succede nelle zone italiane di frontiera e non considerando i dati di Argovia o di Basilea"
BELLINZONA – "Un preoccupante passo indietro in materia di protezione dei lavoratori e della popolazione". È cosi che il sindacato Unia Ticino e Moesa definisce l'ulteriore – e ultima – finestra di crisi concessa al Ticino. "Una chiusura accettata dal Consiglio di Stato – si legge nella nota – dopo le pressioni esercitate dal padronato anche a livello federale, e nonostante le perplessità di Unia. L'applicazione di misure specifiche più rigide rispetto al resto della Confederazione, che la “finestra di crisi” (strumento richiesto sin dall’inizio dai sindacati) ha finora consentito, hanno permesso l’abbassamento della curva dei contagi da coronavirus in Ticino. Un suo mantenimento andava dunque difeso per lasciare aperta la possibilità di una riattivazione. Sorprende dunque che il governo ticinese nella sua richiesta di deroghe alle disposizioni federali valide per la prossima settimana si sia affrettato a dire che sarà l’ultima".
"Questo significa che dal 3 maggio non sarà più possibile un approccio regionale nella lotta al virus. Ciò non può che allarmarci, perché il Ticino è di fatto una regione territorialmente legata alla Lombardia e l’allentamento delle misure dovrebbe avvenire in armonia con quanto succede nelle zone italiane di frontiera e non considerando i dati di Argovia o di Basilea".
Una linea chiara, coerente e trasparente.
"Assieme a una parte importante del mondo sanitario, il nostro sindacato è stato il primo a chiedere la chiusura delle attività economiche non essenziali. Poi, si sarebbe dovuto procedere con allentamenti scaglionati e grande cautela verso la ripresa delle attività. Fino a due settimane fa si è ragionato in questi termini, pur non riuscendo sempre a contenere le voglie di ripresa del mondo economico, in particolare di quello industriale. Da questa settimana siamo passati a passi troppo lunghi: di qui la nostra critica. Oggi, senza ancora poter valutare le aperture attuali, se ne decidono altre: pericolose, mal organizzate e non coordinate al livello sovraregionale. Un chiaro errore, che Unia non può che denunciare.
Le ulteriori aperture dovevano essere accompagnate da discussioni e analisi sul sistema di controllo: necessità sia per lavoratori (protezione diretta) sia per la popolazione (protezione indiretta contro il rischio legato a raggruppamenti di più 5 persone!). Ma anche per l'economia privata, per contestare quella sorta di "zona grigia" negativa per tutti gli industriali: se chi lavora male è denunciato, gli altri di riflesso beneficiano di più credibilità! Purtroppo, le nostre ripetute e pressanti richieste di garanzie da questi punti di vista non hanno sortito risultati".
La responsabilità delle associazioni padronali
"Ieri, con alcune fughe di notizie orchestrate ad arte, si è tentato di far passare il nostro sindacato come il responsabile di un eventuale rifiuto da parte del Consiglio federale del prolungamento della finestra di crisi fino al 3 maggio (che oggi è stata peraltro autorizzata, come largamente prevedibile) per non aver condiviso gli ulteriori allentamenti delle misure previsti.
La verità è che lunedì alla seduta settimanale con le autorità cantonali soltanto AITI si era pronunciata contro la proposta del mantenimento della stessa Risoluzione Governativa in vigore dal 20 aprile, come proposto dal Consiglio di Stato. In seguito questa è però stata modificata, su pressione di AITI e SSIC, rendendo impossibile un sostegno del sindacato, sia per i contenuti sia per la forma. Perché questo passo indietro da parte del Cantone? Perché alle richieste sindacali si risponde picche, mentre a quelle dell'economia segue perfino una modifica delle risoluzioni già preparate e già sottoscritte da altri partner sociali? Un comportamento pericoloso e in contraddizione con quanto fatto sin dall'inizio della crisi".